“Il prete bello”, il best seller di Goffredo Parise

Il romanzo più bello, audace e sincero di Goffredo Parise sancito da un grandissimo successo di pubblico, Il prete bello (1954) ha avuto molte edizioni italiane e numerose traduzioni presso le più importanti case editrici del mondo. La storia di uno scandalo, quello che coinvolge il giovane e affascinante sacerdote di un paesino del Veneto degli anni ’30, don Gastone, al centro delle fantasie di molte donne ma innamoratosi della bella Fedora, la nipote della vedova del fotografo venuta ad abitare nello stabile, rigogliosa come la primavera, la quale riceve spesso visite di militari in libera uscita.

A narrare la vicenda nella cattolica provincia vicentina è Sergio, un bambino che vive con la madre, il nonno malato ed alcuni amici, tra i quali spicca l’inseparabile Cena, con il quale si rende protagonista di una serie di scorribande in caccia di cibo e denaro per il quartiere. Nel caseggiato dove abita Sergio vive un’umanità variegata: Parise ci presenta con simpatia la signorina Immacolata, zitella e padrona dello stabile, le signorine Walenska, anch’esse nubili come la Botanica e Camilla, il ciabattino Bombana, lo smanioso cavalier Esposito, che vive con cinque figlie che si vanta di essere l’unico a possedere il gabinetto in casa, considerato un grandissimo privilegio.

Nel paese opera il parroco del rione, don Gastone Caoduro, uomo di Dio pieno d’iniziativa, non rigido e soprattutto bello e affascinante. Egli commissiona alle zitelle la propria biancheria di lino da rammendare, suscitando ambiguità. Il sacerdote sceglie Sergio per recitare alcune poesie durante uno spettacolo di beneficenza e lo affida alla signorina Immacolata per lo studio e la preparazione delle liriche. La donna è vittima di una fortissima ed inconsapevole attrazione nei confronti di don Gastone e ben presto si avvale dell’aiuto di Sergio per essere informata dettagliatamente sui rapporti del sacerdote con le altre zitelle del quartiere. Il furbo ragazzino, insieme a Cena, riesce a sfruttare la situazione a proprio vantaggio, tanto da ottenere la tanto agognata bicicletta Bianchi di colore rosso tutta per sé, mentre don Gastone riceve dalle sue ammiratrici, oltre ad una Balilla cabriolet color amaranto, il finanziamento per il gruppo di fasciste cattoliche Fede e Ardimento. Il sacerdote è immune alle coraggiose avances delle sue corteggiatrici, addirittura riceve in dono da loro delle pillole ricostituenti che, in realtà, servono a combattere la debolezza sessuale da cui, secondo le audaci donne ignorate, sarebbe afflitto don Gastone. Ma non sarà immune alla bellezza di Fedora.

Sergio, Cena e i suoi amici proseguono la loro divertente attività di informatori, ma intanto esce dal carcere il Ragioniere, un ladro che organizza furti insieme a Sergio e Cena; ma durante queste imprese il Ragioniere muore ucciso da una guardia e quest’ultima, a sua volta, viene uccisa da Cena. Sergio scappa con la refurtiva, ma l’amico viene arrestato. Il giorno della visita di Mussolini, Sergio, scelto per lanciarsi sull’auto del Duce e baciarlo, nel frastuono del corteo chiede la grazia per Cena. Proprio quando Mussolini è in visita al paesello veneto, l’amatissimo bagno del cavalier Esposito crolla, quasi come fosse un simbolo di un’epoca che si sta concludendo. E il simpatizzante fascista don Gastone muore di tubercolosi lasciando Fedora sola e incinta. Termina amaramente perfino l’infanzia di un bambino, quella del narratore Sergio, il quale è costretto a riflettere sul tragico destino di Cena che, dopo essere fuggito dal riformatorio, viene investito da un tram e, assistito dall’amico, muore in ospedale, a soli dodici anni.

Ne Il prete bello, Goffredo Parise ritrae in maniera grottesca e commovente un’epoca, un ambiente e la miserabile parabola esistenziale, dal sapore picaresco, di due ragazzini e quella del loro parroco, arricchendo la vicendo di elementi autobiografici, in cui si spazia dall’elemento popolare della miseria, allo scandalo di una storia di fede e di sesso, che non può non suscitare spesso morboso interesse. L’autore non risparmia al lettore un linguaggio forte, caratterizzato dalla presenza di molte parolacce, e surreale, soprattutto quando effettua delle similitudini. Un appassionato romanzo di morte come già preannuncia il soprendente incipit: «Il nonno aveva un cancro alla prostata», un romanzo che come ha notato il critico Emilio Cecchi sul <<Corriere della Sera>>, è attraversato da una “vena di angosciosa poesia, un dono verbale agile e impetuoso”.

 

 

Emilio Cecchi: l’assolutezza dell’arte

Il critico letterario e d’arte Emilio Cecchi (Firenze, 14 luglio 1884 – Roma, 5 settembre 1966) ha sempre riconosciuto il suo stato d’animo in immagini e figure, estraneo all’enfasi, propenso per un linguaggio colloquiale ed elegante come dimostrano i suoi saggi (specialmente “Saggi e viaggi”).

“I grandi romantici inglesi”

Il credo estetico di Cecchi  ha come obiettivo un’arte considerata bellezza assoluta,ma non puà formulare un giudizio, una critica definitiva a tal proposito, ma solo in maniera approssimativa. Influenzato sia da Carducci che da D’Annunzio, la ricerca sperimentale del critico toscano dissente dal pensiero di Benedetto Croce,  considerato fuori dal reale, solo l’arte per Cecchi ha valore assoluto, non c’è filosofia o verità che tengano. Appassionato di letteratura inglese, il critico traduce nel 1903  la “Defence of Poetry” di Shelley, ponendo la sua attenzione in particolar modo sulle questioni morali. Durante la sua permanenza presso la rivista “La Voce” scrive articoli sulla  letteratura russa, tedesca e inglese; quest’ultima oggetto di diversi interventi nel corso del 1906, in particolare quelli su Swinburne, controverso poeta nell’età vittoriana  dallo stile ampolloso ma grandioso nella tecnica versificatoria, e sull’ironico G. Meredith che nelle sue opere mette a nudo l’ipocrisia della società britannica.

Emilio Cecchi  probabilmente è stato il primo critico italiano a segnalare l“‘Ulisse” di Joyce,oltre che l’italiano Dino Campana, da lui considerato “il migliore poeta che abbiamo”. Nel 1918 collabora a “L’Astico” di Piero Jahier, conosce personaggi come  Michele Cascella, Riccardo Bacchelli, e Gaetano Salvemini. In missione a Londra, incontra Chesterton; collabora col Manchester Guardian e con lo Observer. Nel 1919  fonda insieme ad altri intellettuali  “La Ronda”, la rivista letteraria romana che auspicava un ritorno alla tradizione letteraria dopo gli eccessi delle avanguardie. Nel 1925 è tra i firmatari del “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, redatto da Benedetto Croce.

Nel 1920 Cecchi esordisce su “Valori plastici“; dal dicembre 1923 fino al 1927 scrive su”La Stampa”; nel 1927  è stabilmente tra i collaboratori del “Corriere della Sera”. Infine diige la rivista “Vita Artistica”. C’è spazio anche per delle esperienze cinematografiche, Cecchi infatti lavora con i registi Camerini e Blasetti, Lattuada e Castellani; (Cecchi è anche il padre della celebre sceneggiatrice per il cinema Suso Cecchi D’Amico) negli anni Trenta collabora all'”Enciclopedia italiana” diretta da Gentile.

Dirige con Natalino Sapegno la “Storia della letteratura italiana”, pubblicata dell’editore Garzanti in 10 volumi negli anni 1965-1969.

Sostenitore di una discendenza della pittura moderna dagli impressionisti e dai macchiaioli, il critico fiorentino è stato tra i primi estimatori di Armando Spadini, tra i maggiori esponenti della cosiddetta “Scuola romana”, di tendenza espressionista, criticando ferocemente i “neoclassici”.

“Messico”

Si puònotare in Cecchi una certa nostalgia per un Umanesimo ormai perduto che lo ha portato ad un ritorno a Francesco De Sanctis e quindi ad autori come Foscolo, Leopardi e Manzoni oltre al già citato Carducci; il rimpianto è soprattutto verso quella religiosità che manca nella società moderna.

Senza dubbio il miglior scritto di Emilio Cecchi è rappresentato dal saggio “Messico” contenente preziosi appunti di viaggio con mirabili ritratti.


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