Il caso Rolling Stone e la banalità del bene, la nota rivista rotola e finisce gambe all’aria

La rivista Rolling Stone ultimamente è balzata agli onori della cronaca per una campagna, con tanto di manifesto, contro l’italica cattiveria, personificatasi sotto le demoniache sembianze di Matteo Salvini.
Nel documento, scritto con toni a metà tra l’apocalittico e il moraleggiante, si vaneggia un richiamo ai valori di civiltà e convivenza, infarciti di richiami all’abbandono di paure ancestrali, già sperimentate nel corso della storia. Ora, tralasciando il fatto che questi signori possano conoscere veramente o meno la storia, fa sorridere come essi si sentano inconfutabilmente dalla “parte giusta della barricata”.

Leggendo il testo in questione, sembra che sia in corso un ritorno alla barbarie e all’età della pietra. Ciò aiuta a comprendere come siano spaesati e furenti tali soggetti, pronti ad accanirsi su un uomo che è in carica da poche settimane, descrivendolo come un criminale della peggior risma.

Dov’erano lor signori, piuttosto, quando l’onorevole – e venerabile – Mario Monti affamava gli italiani in nome dell’austerity imposta da Bruxelles; oppure quando il “Rottamatore” andava in giro per l’Europa a lustrare le scarpe dei suoi pari, riducendo l’Italia ad un magazzino? Lì non si sono sentiti in dovere di alzare la voce per difendere i più deboli, in un paese che colava – e ancora rischia di andarci – a picco?
Attenzione particolare, inoltre, merita l’elenco delle “grandi firme” che hanno sottoscritto il documento. Oltre alla più che scontata presenza di Fabio Fazio(so), per esempio, troviamo gente del calibro di Ernia e di Emma Marrone, personaggi che hanno sempre fornito un contributo imprescindibile alla cultura nostrana, e che rende bene l’idea della autorevolezza dei soggetti scesi in campo per questa battaglia di civiltà.

Come se non bastasse, a rendere ancor più comica l’iniziativa, è stato l’episodio che ha visto protagonista il direttore del tg di La7, Enrico Mentana. Egli, come ha spiegato sui social, era stato contattato dal direttore di Rolling Stone, che gli aveva proposto di diventare firmatario del documento. Ma, nonostante il diniego ricevuto dal re delle maratone tv, è stato inserito comunque nella ambitissima lista dei buoni. Mentana ha così chiarito di non voler prendere parte a prese di posizione solo per ottenere un poco di pubblicità gratuita in più. Da ultimo, magistralmente, ha ricordato a queste teste vuote che Salvini è ministro poiché è stato legittimamente eletto dalla maggioranza del popolo, dando, così, una lezione di saggezza e di democrazia a chi democratico lo è solo quando prevale la sua idea.

Per concludere è spendibile per questi banali “filantropi”, fedeli perlopiù al modello liberal a stelle e strisce, una citazione del filosofo francese Alain De Benoist: “L’immigrazione è un fenomeno padronale. Chi critica il capitalismo approvando l’immigrazione, di cui la classe operaia è la prima vittima, farebbe meglio a tacere. Chi critica l’immigrazione restando muto sul capitalismo, dovrebbe fare altrettanto”. È bene che tengano a mente queste parole in futuro, prima di aprir bocca.

 

Andrea Salerno

Referendum Costituzionale: tra comunicazione e incomunicabilità

Siamo solo alle schermaglie iniziali, il voto è previsto per il prossimo 4 dicembre, ma le strategie di comunicazione messe in campo dagli opposti schieramenti sul Referendum Costituzionale appaiono già molto ben delineate.

Da una parte troviamo schierata compatta la maggioranza di governo, contraddistinta dal linguaggio spiccatamente social del suo leader e presidente del consiglio Matteo Renzi, dall’altra le opposizioni, frastagliate e disomogenee che abbracciano politicamente leader antisistema,  sinistre non allineate ed uno spicchio significativo del ceto intellettuale italiano.

Quello che emerge è un dialogo, o meglio dire uno scontro, a due velocità che più che testimoniare una divergenza di idee certifica modi differenti di rapportarsi al mondo. Emblematico è stato il confronto della settimana scorsa, tra il Presidente Matteo Renzi e l’illustre costituzionalista Gustavo Zagrebelsky andato in onda lo scorso venerdì nel salotto di Enrico Mentana. Da una parte l’arroganza giovanile fatta di semplificazioni e di linguaggio immediato, dall’altra la cattedratica affabulazione di chi è sicuro delle proprie tesi ed è convinto delle proprie ragioni.

Giornali, blog e opinionisti si sono scatenati per stabilire chi avesse vinto il confronto riguardo al Referendum Costituzionale, ma in realtà non c’è stato alcuno scontro. Il tema referendario è rimasto sullo sfondo per lasciare spazio ad un dibattito generazionale fine a se stesso che sembra incarnare la rivolta degli ultimi della classe contro i secchioni e i docenti. L’impressione è che alla gente le parole interessino sempre meno e che al prossimo referendum la maggioranza schiacciante continuerà ad essere quella del non voto. La totale sfiducia nei meccanismi democratici rappresenta la più grave minaccia per il futuro del nostro Paese e solo un profondo cambiamento del sistema partitico può invogliare i cittadini ad appassionarsi alla politica.

La consapevolezza che, a prescindere dal proprio voto, le condizioni generali non muteranno non è una illusione propagandistica dell’antipolitica, ma una consapevolezza dell’incapacità dei partiti di mettere in moto meccanismi virtuosi capaci di dare una prospettiva al Paese. Da queste prime schermaglie possiamo allora già stilare il de profundis per il prossimo, inevitabile, flop elettorale dove tutti avranno vinto. Gli unici a perdere saremo soltanto noi.

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