‘’Le lettere a Nora’’ di Andrea Carloni: l’audace scambio epistolare fra James Joyce e Nora Barnacle

‘’Le lettere a Nora’’ è il libro di Andrea Carloni pubblicato da Alter Ego Edizioni in cui l’autore racconta il legame carnale di James Joyce con Nora Barnacle attraverso un intenso scambio epistolare dalle passionali sfumature erotiche. Se tanto si conosce su James Joyce, molto poco si sa sulla figura che è stata fonte di ispirazione e passione dello scrittore; l’incontro fra Nora e James risale al 10 giugno 1904 ma la relazione fra i due inizia il successivo 16 giugno.

Questa data, in seguito, è stata poi scelta dallo stesso Joyce per ambientare il suo più celebre romanzo, Ulisse, che si svolge appunto in una sola giornata a Dublino. La data ha poi raggiunto una certa notorietà tanto da esser celebrata in tutto il mondo come Bloomsday. Il copioso scambio epistolare fra Nora e James permette al lettore di entrare nell’intimità di un rapporto controverso e sopra le righe, ma soprattutto di captare al meglio chi, davvero, possa essere stata Nora Barnacle nonostante le informazioni su di lei siano esigue. Andrea Carloni nell’introduzione di ‘’Le lettere a Nora’’ scrive:

 Nora la vittima, Nora l’innamorata, Nora l’ingenua, Nora la ribelle, Nora l’ignorante, Nora l’emancipata, Nora la sacrificata…

Ma chi era Nora?

Una personalità controversa, ribelle, emancipata, di spirito semplice, ma sensuale. E così, l’autore nella prefazione che introduce l’intenso scambio epistolare fra i due amanti, raffigura Nora come una donna dallo stile di scrittura fluente ma istintiva, che non si cura della forma come della sintassi o dell’ortografia; un modo di scrivere che rimanda al flusso di coscienza di Molly Bloom, come lo stesso Andrea Carloni sottolinea. Figura eterea e, al contempo, libidinosa l’autore sottolinea come Joyce amasse di Nora l’anima semplice e la capacità di stare accanto a lui nonostante le incombenze, le difficoltà economiche e la lontananza. Ed è proprio per la lontananza che Nora acconsente a uno scambio di missive erotiche,  avendo timore che James potesse supplire all’assenza di lei frequentando prostitute.

 

La tenerezza di uno scambio epistolare intriso di erotismo

 

L’amore fra James Joyce e Nora Barnacle è viscerale, selvaggio, carnale, possessivo; un rapporto considerato osceno per il tempo ma che comunque non si basa esclusivamente sull’effimera libidine perché, nello scambio epistolare, i due amanti si raccontano, l’un l’altro, porzioni di vita; debiti, incombenze, delusione, malattie, l’amore. Ogni tassello si posiziona in un sfondo tinteggiato di erotico che rende la narrazione globale e fluente, facendo carpire al lettore chi davvero sono stati questi due amanti teneri e selvatici che, 120 anni fa, tenevano in vita il loro amore attraverso il potere delle parole e della fantasia. Il carteggio, infatti, appartiene agli anni in cui Nora Barnacle e James Joyce non erano, fisicamente, insieme. Nello specifico, le lettere riportate nel libro di Andrea Carloni vanno da giugno a ottobre 1904: l’incontro e la frequentazione dei due, prima di lasciare l’Irlanda.

La corrispondenza si sposta poi dal 1909 al 1912, quando la coppia si è stabilita a Trieste e si separa per alcune visite a Dublino. Infine, il carteggio copre l’arco di tempo dell’ Agosto 1917, quando Nora si trasferisce a Zurigo prima di James. È  interessante notare come l’autore si concentri anche sul tema dei viaggi che diventa protagonista indiretto degli scambi epistolari fra i due; la lontananza è sia combustibile che alimenta lo scambio epistolare generoso che unguento saliente che lenisce la pena dell’assenza. I viaggi, i trasferimenti, le città: tutto raccontato con dovizia, attraverso uno stile scorrevole e un linguaggio semplice e diretto.

Andrea Carloni

La dualità di Nora e l’imperituro legame viscerale con Joyce

 

Nora non è una donna amante delle faccende domestiche, non è  Estia  la dea del focolare e della famiglia; eppure è una buona moglie e una buona madre che all’occorrenza sa farsi bramare da Joyce e divenire l’oggetto dei suoi desideri. Una delle prime lettere riportate nel libro di Andrea Carloni, datata fine luglio 1904, sottolinea come la mescolanza di emozioni contrastanti, l’erotismo e un viscerale senso di appartenenza imbevuto da una evidente connessione mentale legasse Nora e James:

 

‘’[Fine luglio 1904] 60 Shelbourne Road, Dublino

Mia particolarmente imbronciata Nora, ti avevo detto che ti avrei scritto. Ora scrivimi tu e dimmi che diavolo avevi l’altra sera. Sono sicuro che qualcosa non andava. Mi sembrava tu fossi dispiaciuta per qualcosa che non era accaduta – che sarebbe cosa molto da te. Ho cercato di consolare la mia mano da allora ma senza riuscirci. Dove sarai sabato sera, domenica sera, lunedì sera, dato che non potrò vederti? Adesso, adieu, carissima. Ti bacio quella fossetta miracolosa sul collo, il Tuo Cristiano Fratello di Lussuria.

J.A.J.

Quando tornerai di nuovo lascia i bronci a casa – pure i corsetti’’

 

Si noti  come Joyce utilizzi l’appellativo ironico e allo stesso tempo moderno ‘’Fratello di lussuria’’: un linguaggio estremamente contemporaneo e intimo, riflesso di una relazione sfaccettata ed eclettica. Nell’agosto del 1904, invece, Nora scriverà al suo James:

 

‘’[…] Mi sembra di essere sempre in tua compagnia nelle più svariate circostanze possibili parlare con te camminare con te incontrarmi con te improvvisamente in posti differenti finché inizio a chiedermi se il mio spirito se ne vada dal mio corpo nel sonno e vada a cercarti, e per di più trovarti o forse questa è solo una fantasia[…]’’

 

Una passionalità concreta che si riconosce nella visione carnale, angelica ed erotica, al contempo, che Joyce ha della sua donna e che si scorge anche nelle descrizioni che lo scrittore fa di Nora, come in questa lettera dell’agosto 1909:

‘’Ti ricordi i tre aggettivi che ho usato ne I morti per parlare del tuo corpo? Sono questi: “musicale e strano e profumato”.

Sono trascorsi 120 anni da queste lettere ma il libro di Andrea Carloni appare come la fotografia di un amore senza tempo: nonostante il fluire dei giorni,  le difficoltà della vita e la lontananza imposta questi due amanti –  quasi come eterni bambini  – continuano a giocare al gioco dell’amore; un amore passionale, tenero, energico, erotico, eclettico trasmesso attraverso la maestria dell’autore, la cura, la traduzione e l’utilizzo di  un linguaggio contemporaneo che racconta un’esistenza libera e un rapporto conteso fra dimensione eterea e passionalità.

Donne ed erotismo nei racconti degli anni settanta di Moravia

Egemone è il ruolo dei personaggi in tutta la letteratura moraviana. Nell’intervento C’è un crisi del romanzo?, pubblicato su “La fiera letteraria” del 1927 e unico articolo firmato dall’autore con il nome di battesimo Alberto Pincherle, lo scrittore avverte come causa prima della crisi del romanzo novecentesco la frattura che si è originata tra narratore e personaggio, tra commento psicologico e azione. L’antidoto, per il romanziere, sta nel restaurare la funzione dell’eroe, affinché possa riacquistare autonomia nel dialogo con gli altri e con il narratore: «tornare indietro vuol dire, in questo caso, andare avanti, lasciando da parte l’inutile zavorra psico-analitica». Moravia, in quanto scrittore esistenzialista e perciò interessato al fatto individuale, interiore e psicologico, intrattiene anche con i propri personaggi un rapporto fondamentalmente esistenziale:

Il mio approccio […] è dunque esistenziale, cioè premorale, prerazionale, presociale: o i fati sociali incidono sull’emotività e la psicologia dell’individuo, e possono essere visti e analizzati in funzione del suo divenire interiore, o non mi interessano; voglio dire non mi interessano come narratore.

Ed proprio in virtù del ruolo fondamentale dei personaggi che risulta utile analizzare tutte le figure che compaiono nelle tre raccolte di racconti al femminile, scritte e pubblicate da Moravia nel corso degli anni Settanta: Il paradiso, Un’altra vita e Boh.
Per caratterizzazione dei personaggi si considera, rifacendoci alle parole di Tomasevskij, quel procedimento che ha come fine il riconoscimento del personaggio, nonché l’insieme di tutti quei motivi che lo compongono, tanto psicologici quanto estetici: «intendendo con ciò il sistema dei motivi indissolubilmente legati ad esso».

Le donne moraviane: una esteriorità a misura della loro psicologia

Le tre raccolte, Il Paradiso, Un’altra vita e Boh, abbracciano un totale di novantacinque racconti, ciascuno caratterizzato da un numeroso sistema di personaggi; perciò, per districarsi con maggiore agilità, in questa sede è stata attuata una suddivisione sistematica, inevitabilmente un po’ rigida ma giustificabile con il fine di rendere il lavoro più chiaro. Tutti i personaggi principali sono figure femminili, donne o ragazze , che parlano in prima persona e attorno alle quali è costruito ogni racconto.

Incessantemente la figura femminile ha incuriosito e interessato Alberto Moravia, tant’è che i personaggi femminili risultano sempre rilevanti e centrali in tutta la sua opera narrativa, a partire da Carla del romanzo d’esordio Gli Indifferenti fino a Nora dell’ultimo romanzo incompiuto, La donna leopardo. Questo interesse dello scrittore verso il genere femminile non solo rimane intatto anche nella sua ultima stagione, dagli anni Settanta in poi, ma sembra anzi essersi rinforzato; basti pensare al romanzo La vita interiore del 1978, costruito come un’immaginaria intervista rilasciata dalla giovane Desideria all’autore. Nei racconti in questione, tutti in prima persona con focalizzazione interna fissa, Moravia lascia la parola, e il timone, alle figure femminili. Per la prima volta tutti i personaggi principali sono solo ed esclusivamente donne: novantacinque storie con novantacinque protagoniste.

Nella triade Il paradiso, Un’altra vita e Boh i personaggi femminili principali sono gli unici a godere di una descrizione a tutto tondo: figure mutevoli che nel corso del racconto evolvono, o per lo meno tentano di evolvere, acquistando progressivamente una maggiore coscienza di sé e della propria situazione. Per lo più la loro caratterizzazione è diretta: sono loro stesse a descriversi, a fornirci un loro dettagliato identikit, tanto estetico quanto psicologico. In altri casi, più rari, la caratterizzazione prende forma da informazioni che il lettore trae dai dialoghi e da allusioni messe in bocca ai coprotagonisti. Tomasevskij, in La costruzione dell’intreccio, si sofferma su un particolare tipo di caratterizzazione «il procedimento delle maschere», metodo molto caro e, come emergerà in seguito, spesso usato da Moravia. Il procedimento delle maschere consiste nell’elaborazione di descrizioni esteriori costruite su misura del carattere psicologico del personaggio. In questa categoria Tomasevskij fa rientrare le descrizioni dell’aspetto estetico, dell’abbigliamento, dell’arredamento delle abitazioni e i nomi propri.

I luoghi comuni “fisici” di Moravia

In gran parte dell’opera di Alberto Moravia, a partire da Gli Indifferenti, i personaggi sono delineati con descrizioni plastiche, attente ai dettagli esteriori. Niente è lasciato all’immaginazione del lettore, niente è solo alluso. Moravia, o i suoi personaggi per lui, ci propongono di continuo ritratti immediati e concreti.

Nella prima raccolta, Il Paradiso, la maggioranza delle protagoniste è snella, slanciata e bella («flessuosa e snella come un serpente», «per me, che sono bruna e slanciata», «sono bella, molto bella», «Sono una donna grande e bella, forse troppo grande, e, in certo senso troppo bella»). Per esempi di altre donne che si presentano come belle e slanciate si rimanda ad altri due racconti del Paradiso: L’orgia e La chimera. In opposizione a queste figure energiche e vitali, compaiono alcune donne dalla corporatura assai magra, quasi scheletrica, come le protagoniste dei racconti I consumi e I prodotti; oppure donne piccole, di bassa statura. Nel racconto L’immaginazione la protagonista ci fornisce subito una sua descrizione, definendosi «piccola, ma con un corpo ben tornito, solido ed energico. Questa sproporzione tra la mia testa e il mio corpo è indicativa. Allude alla analoga sproporzione tra la mia immaginazione e la realtà».

La grottesca disparità tra una testa troppo grossa e un corpo troppo piccolo, come asserisce Fausto Curi in Moravia e la filosofia europea, è un leit-motiv presente in tutta l’opera moraviana, a partire dal romanzo d’esordio Gli Indifferenti.
Superfluo osservare che le “spalle strette” e la “grossa testa” del corpo femminile sono, in Moravia, una sorta di locus communis o di leit-motiv di cui il narratore si giova non per collegare il personaggio di un’opera a quello di un’altra opera, ma per creare un ‘tipo’ di donna, o meglio un corpo femminile paradigmatico, di cui è importante mettere subito in luce le imperfezioni, le ”disparità”, le disarmonie fisiche.

All’interno della raccolta Un’altra vita la maggioranza delle donne ha un corpo giovane, robusto, con gambe slanciate e per lo più dotate di un seno vistoso e preponderante. Alcune di esse presenta la già vista caratteristica di una testa piccola su un corpo grande: «Bisogna sapere che sono grande, robusta, ben fatta e persino formosa; ma con una testolina come di scimmietta». Così si descrive Tilde nel racconto che dà nome alla raccolta, ed è proprio da questa sua «testolina di scimmietta» che le deriva il soprannome di Scimmia.

Un corpo non è mai soltanto un corpo, tanto nella realtà quanto in un’opera letteraria. I corpi umani sono la concretizzazione dell’esistenza umana e perciò portatori di significati che oltrepassano l’immediata sfera anatomica, affermandosi come costrutti simbolici.
La concrezione umana in carne e ossa non è pensabile, non è percepibile al di fuori di modalità di pensiero e percezione culturali e culturalmente condizionate. Tutto ciò che sappiamo sul corpo esiste per noi in una qualche specie di discorso esplicito o implicito.

Erotismo e sessualizzazione della letteratura come strumento conoscitivo della realtà

La tematica erotico-sessuale ha lontana origine e lunga vita nella letteratura europea, a iniziare dai classici greci e latini. In particolare nel Novecento si è assistito a una progressiva accettazione di tale argomento in primis in campo scientifico, grazie alla psicoanalisi e alle ricerche di Freud – disciplina e autore centrali nella formazione di Alberto Moravia – che hanno esteso la nozione di sessualità ben oltre i limiti della tradizione.

Addentrandosi nel ventesimo secolo, con l’eredità freudiana appena alle spalle e i sempre più radicati presupposti di un’imminente rivoluzione e liberalizzazione sessuale, tra gli anni Sessanta e Ottanta, la dimensione erotica diviene centrale non solo a livello sociale e culturale, ma inizia a trovare spazio e attenzione anche sul piano narrativo.

Nell’Introduzione a Verba tremula, Catelli, Iacoli e Rinoldi considerano, da un punto di vista stilistico-letterario, il Novecento come un secolo portatore di aperture e novità, «che irrompe nella storia delle forme erotiche con il suo carico di rappresentazioni esplicite e controverse». Si aprono così nuove possibilità di ampliamento del poetabile, con la proliferazione di immagini erotiche in svariate opere. Anche Pasolini, nell’intervento Tetis contenuto in Erotismo, versione, merce del 1973, si interroga su quali siano i confini del rappresentabile, in particolare in ambito erotico, dopo aver rappresentato nelle sue opere gesti e atti sessuali fino al dettaglio: «in un momento di profonda crisi culturale (gli ultimi anni Sessanta) […] mi è sembrato che la sola realtà preservata fosse quella del corpo. […] Era in tale realtà fisica – il proprio corpo – che l’uomo viveva la propria cultura», laddove «il simbolo della realtà corporea è il corpo nudo: e, in modo ancora più sintetico, il sesso». Ma questa non è la sola motivazione che Pasolini adduce. Aggiunge inoltre che, se è stato spinto a rendere il sesso protagonista della sua intera produzione tanto letteraria quanto cinematografica, ciò è dipeso da una parte per la sempre maggiore importanza che esso ricopre nella vita quotidiana.

L’erotismo come argomento fondante dei romanzi di Moravia

Anche Marco Antonio Bazzocchi nell’Introduzione a Il codice del corpo, sulla base di alcuni testi scelti di autori del panorama letterario italiano novecentesco, si interroga se sia possibile un legame tra sessualità e letteratura e se concetti e immagini sessuali possano essere usati per interpretare una struttura linguistica complessa. Diverse sono le domande di partenza che si pone il critico: «perché la sessualità, e in generale il tema della rappresentazione corporea, possono diventare utili nell’analisi dei testi letterari?»; oppure «possiamo ricondurre al corpo e in particolare alla sessualità un discorso intorno alla “verità” su cui si impostano le strutture retoriche del testo?»; e ancora «può un meccanismo retorico essere indagato sulla base di un dato sessuale? È lecito “sessualizzare” la letteratura?». L’obiettivo di Bazzocchi è quello di rileggere i testi selezionati in base a questa nuova prospettiva, tenendo conto delle pratiche discorsive di diversa origine che si generano alla luce dell’inedito rapporto tra corpo, sessualità e verità che si insinua nel discorso letterario.

«Tu hai descritto molti personaggi erotici, anzi l’erotismo nella tua scrittura, che alcuni hanno definito invece pornografia, è l’elemento principale dei tuoi romanzi, da cui scaturiscono le storie, l’intreccio». Così Dina D’Isa classifica l’erotismo come l’argomento fondante di tutti i romanzi di Alberto Moravia. La tematica sessuale ricopre un ruolo centrale in tutta la produzione moraviana: sesso, potere, famiglia e danaro sono i fili conduttori di tutte le sue opere. In Alberto Moravia e la filosofia europea Fausto Curi giustifica la presenza della tematica erotica nei testi dell’autore romano come radicata e propria della nuova visione del mondo di cui gli stessi libri si fanno promotori:
occorre infatti guardarsi dal credere che il corpo e il sesso, così presenti e rilevanti, siano solo il prodotto di una vocazione personale (qualcuno forse direbbe “ossessiva”), quando invece costituiscono gli elementi portanti di una visione del mondo.

Moravia considera il sesso come argomento di giusta pertinenza di uno scrittore nel momento in cui egli affronta tale tematica senza alcun tabù. L’autore attribuisce un valore cognitivo e ermeneutico all’erotismo – valore spesso ribadito in svariate dichiarazioni – che si configura come uno dei tanti strumenti umani di conoscenza del reale, in virtù della sua matrice sia naturale che culturale: «l’erotismo è un elemento indispensabile, di qualsiasi operazione conoscitiva». Nella scrittura esistono diverse chiavi per aprire le porte del reale e Moravia ha scelto quelle della sessualità, un mezzo per conoscere il mondo, l’altro e se stessi: «il rapporto sessuale diventa l’unico, disperato appiglio con la realtà: l’unica corda che lanciata in tempo, salvi dall’incomunicabilità e dalla estraneità».

È questo, secondo Fausto Curi, il valore che acquista il sesso per il personaggio di Cecilia in La Noia: per Cecilia l’attività sessuale costituisce il solo momento in cui diventa consapevole di sé e del mondo. Cecilia conosce concretamente la realtà attraverso il sesso, e solo attraverso il sesso. Il sesso, per Cecilia, […] è soprattutto conoscenza. […] Diventa veramente partecipe della vita.
La ragazza, impermeabile al mondo esterno perché invasa dalla noia, da un’indifferenza esistenziale, riesce a costruire un rapporto con la realtà, a rinnovare la conoscenza delle cose esterne solamente attraverso nuovi coiti.

Moravia reputa la libertà di affrontare l’argomento erotico-sessuale una conquista dell’epoca moderna, il risultato di un processo di liberazione da divieti e tabù secolari. Nella Prefazione a La storia dell’occhio di Bataille Moravia si sofferma sul rapporto tra cultura e erotismo, dove quest’ultimo, inizialmente inconscio, viene riconosciuto e riscoperto dal crescente sviluppo della cultura, la cui fine coincide proprio con la totale scoperta e il pieno riconoscimento dell’erotismo:

in fondo dunque, la forma di conoscenza propria dell’erotismo riguarda unicamente l’erotismo. […] Così le culture nascono dalla soppressione, ignoranza e incoscienza del fatto erotico; e si sviluppano e muoiono secondo il progresso di una scoperta che è contemporaneamente distruzione.

Il sesso dunque diviene narrativamente interessante per l’autore romano nel momento in cui diventa insignificante, nel senso letterario del termine, cioè nel momento in cui risulta privato di tutti quei significati aggiunti e traslati imposti dalla società nel corso della storia.

Un giudizio di stile nel trattamento dell’argomento sessuale viene dato anche da Guido Anselmi in Il fallo parlante e altre voci in riferimento al romanzo Io e lui. Nella critica di Anselmi è rimarcato il carattere analitico e impersonale della scrittura dell’autore romano. Il critico sottolinea la necessità, mancata, di dare al fallo moraviano un linguaggio particolare, che lo detonasse e lo distinguesse da tutti gli altri personaggi. Anselmi lamenta «il solito linguaggio omogeneizzato e indifferenziato», una «lingua franca tecnologica e problematica, ugualmente condivisa dal campionario di personaggi dello scrittore», e ancora «lingua sterilizzata e totalmente significante, intollerabilmente informativa». Questo linguaggio, secondo il critico, risulta banale e fuori luogo messo in bocca a un personaggio grottesco come un fallo parlante, meritevole di un linguaggio di gran lunga più originale.

 

Camilla Longo Giordani

Alberto Bevilacqua, filologo di se stesso

La poesia è registrazione rapidissima di momenti chiave della nostra esistenza. In ciò è pura, assoluta, non ha tempo di contaminarsi con nulla. Nemmeno con i nostri dubbi.” (Alberto Bevilacqua).

Se nè andato questa mattina, all’età di 79 anni, uno degli uomini più eclettici della nostra letteratura, del nostro cinema, del nostro giornalismo, della nostra vita. Se n’è andato Alberto Bevilacqua (Parma, 27 giugno 1934-Roma, 9 settembre 2013). Una morte strana, che si copre di dubbi, domande, interrogativi che, per il momento, attendono risposte. Ricoverato lo scorso Ottobre presso la clinica Villa Mafalda per alcuni accertamenti, i risultati avevano portato l’autore ad un lungo ricovero per problemi cardiocircolatori. La sua compagna, l’attrice e scrittrice, Michela Miti, aveva più volte richiesto il trasferimento del compagno in una struttura attrezzata, nel tentativo di sconfiggere quel male che, questa mattina, ha portato via al nostro paese un uomo che, mai, potrà essere dimenticato. Ma, non essendo sposati, la Miti non presentava alcun diritto e così, questa mattina, dopo quell’ultimo respiro, dopo le lacrime, il dolore, per la perdita di uomo le cui parole hanno emozionato in tutto il mondo sin dagli anni ’50, arriva la richiesta presso il pm della procura di Roma, Elena Neri, di procedere all’autopsia, per verificare le reali cause del decesso. Ed eccoli i contrasti, tra una donna che legalmente non ha diritti sull’uomo che ha amato e difeso e tenuto accanto a se per 17 anni, e la famiglia che, forse, vuole solo vivere quel momento che dovrebbe essere concesso quando una vita si spezza.

La prima raccolta di racconti è “La polvere sull’erba” (1955), sulla guerra partigiana in Emilia. Rimasto inedito fino al 2000, anno in cui viene pubblicato nei Tascabili Einaudi, mostra un giovane poco più che ventenne pronto ad urlare, denunciare. Parole che lasciano Leonardo Sciascia e Pier Paolo Pasolini quasi attoniti, per l’intensità di ogni singolo momento narrato. E poi, la sua Parma. “Parma è la mia città di supporto, una città che ho “odiosamato”. Nel 1982, arriva il meno famoso, ma senza alcun dubbio esplicito richiamo alla sua terra, “La mia Parma”. Una città che, nei suoi romanzi, riflette la storia di un intero paese, della nostra Italia. Ma è del 1964 il capolavoro di un uomo che ha dedicato la sua vita ad emozionare il mondo, “La Califfa”. Il romanzo, da cui fu tratta la versione cinematografica nel 1970, portando sullo schermo una straordinaria  Romy Schneider, dallo stesso Bevilacqua, ci mostra una donna bella, piena di vita e che fa della sua sensualità la sua stessa forza. “Il cinema per è un’arte minore, ma mi ha offerto delle straordinarie possibilità. Un periodo molto felice è stato quando, intuendo i miei strumenti di prontezza immaginativa e la mia capacità di immedesimarmi e impostare subito la situazione, sono stato usato da grandi registi, come Rossellini, Visconti, De Sica, Zampa. Più avanti ho stabilito una sintonia micidiale, dolcissima e feroce con Fassbinder.”

Ed eccolo quel mondo femminile che porta con se le relazioni complesse, ostacolate dalla vita, dal destino, ma pur sempre fatte di amore, quello affettuoso, forse difficile da gestire, ma proprio per questo, degno di essere raccontato. “La felicità è una botta di ebbrezza che ti aiuta, ti apre i polmoni, ti ripulisce il cervello; è una vincita alla roulette, un colpo di fortuna, che poi sparisce. E’ una condizione di privilegio momentaneo, interiore. Fa sparire tutti i dolori e le angosce, ma non è stabile. L’atto della scrittura non è felicità, da un piacere di tipo erotico”.

E dopo quella restia approvazione, dati gli anni, data da Sciascia, giungono con enorme e meritato successo “Una città in amore”, “La califfa”, appunto e “Questa specie d’amore”, vincitore del premio Campiello del 1966 e dei David di Donatello nella versione cinematografica con Ugo Tognazzi e Jean Seberg. E ancora onori per Bevilacqua con il Premio Strega del 1968 con “L’occhio del gatto”, dove la sua città sembra nascondersi, così come il discorso diretto.

Il 10 Marzo 1995, Bevilacqua, verrà chiamato a comparire in sede processuale nel processo contro Pietro Pacciani per i delitti del mostro di Firenze, in quanto persona offesa dal reato di calunnia. E, nel 2010, la collana “I Meridiani” gli dedica un intero volume.

Un autore ricco, geniale, che lascia al mondo opere indimenticabili: “Il viaggio misterioso” (1972), “Una scandalosa giovinezza “(1978), “Festa parmigiana” (1980), “Il curioso delle donne (1983), La grande Giò(1986), I sensi incantati (1991), L’eros (1994), Gli anni struggenti” (2000), “Lui che ti tradiva” (2006) . Passando, nel corso degli anni, ad una scrittura quasi onirica, con quei tratti autobiografici che resteranno nella storia della grande letteratura italiana. “Lettera alla madre sulla felicità” (1995) e “Tu che mi ascolti” (2004). Giungendo alla raccolta di poesia, La camera segreta e il premio alla carriera del Meridiano Mondadori, 2010. Chiudendo con quella “Roma Califfa”, quel luogo in cui, oggi, ha chiuso gli occhi per l’ultima volta.

“Mi spingeva una voglia di andarmene, lasciare tutto. Ma non sapevo dove, la mia voglia non aveva un volto, era una velleità infantile.”

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