Renato Serra, il critico umanista

Poco riconosciuto dalla cultura italiana fortemente influenzata dall‘ estetica crociana, Renato Serra (Cesena, 5 dicembre 1884 – Monte Podgora, 20 luglio 1915) durante la sua breve esistenza (mori’ a soli 31 anni, colpito a morte davanti al Podgora durante la prima guerra mondiale), ha anticipato la figura dell’intellettuale antifascista, che avrebbe preso il largo nei decenni successivi, distaccandosi dalle analisi di Benedetto Croce. Riconosciuto più come critico poetico che letterario, Serra, inizialmente convinto della superiorità dell’essere  un uomo di lettere  rispetto all’esistenza ordinaria, ha preso coscienza dei limiti che quella condizione offriva; consapevolezza maturata proprio con l’avvento della guerra, di fronte alla quale il letterato è solo un uomo illuso.

Nato da una famiglia benestante e di tradizione risorgimentale, Renato Serra si forma presso il Regio Liceo Ginnasio Vincenzo Monti di Cesena dove termina gli studi a  soli sedici anni, senza sostenere l’esame di maturità dati i voti altissimi. Si  iscrive  presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna e segue le lezioni di insegnanti  celebri come  Carducci e Severino Ferrari, di quest’ultimo apprezza molto anche le idee socialiste. Si laurea  nel 1904 con una tesi sullo “Stile dei Trionfi del Petrarca”.

Qualche anno dopo Renato Serra torna a Cesena, dove svolge  il servizio militare di leva, l’anno successivo  si trasferisce a Torino, e collabora  con Luigi Ambrosini alla creazione di un dizionario Italiano-Latino e pubblica molti articoli per la rivista <<La Voce>> entrando in contatto anche con Croce. Diviene anche  direttore della Biblioteca Malatestiana di Cesena. Carducciano e tradizionalista, Serra dovrà fare ben presto i conti due eventi che lo sconvolgeranno, uno di portata mondiale, la prima guerra mondiale (come si è  già accennato), e l’altro, privato, ovvero il matrimonio della donna che amava con un altro uomo. Questi fatti incideranno fortemente anche sul pensiero critico di Serra.

Il critico  riflette ed espone le sue posizioni nella sua opera più importante, “Esame di coscienza di un letterato” del 1915; egli condanna la guerra e gli intellettuali di propaganda, difende il valore salvifico della letteratura e la letteratura stessa come fosse una fanciulla in pericolo e lo fa con tutta la passione che lo ha sempre contraddistinto; è convinto che si vada in guerra per dare un significato alla propria esistenza, non per la patria, e questa profonda motivazione inizialmente ha spinto anche lui ad arruolarsi abbandonando ogni razionalità, ogni ragione intellettuale. Come afferma egli stesso: << […] non ho distrutto quello che era nella mia carne mortale, che è più elementare e irriducibile, la forza che mi stringe il cuore. È la passione.>>

Esame di coscienza di un letterato

Renato Serra parte per il fronte ma dopo aver compiuto il suo esame di coscienza, dopo essersi confessato, dopo aver oscillato tra la voglia essere nella storia e di partecipare agli eventi e il desiderio, proprio degli intellettuali, di isolarsi dal mondo, contrapponendo alle barbarie del mondo la bellezza e la purezza della letteratura. Prevarrà la concezione ungarettiana della guerra come occasione per riscoprire il senso di umanità, la fratellanza tra gli uomini, un modo per rigenerarsi. Non c’è più alcuna superiorità intellettuale, nessun rifugio dalla storia (Serra ne rifiuta la concezione provvidenzialista-razionalista hegeliana), ma solo bisogno di sentirsi fratelli gli uni con gli altri, di condividere passioni (intese come pathos, sofferenza).

La poesia non può e non deve contemplare la bellezza ma  essere un mezzo per  promuovere un ‘esistenza  autentica e vera; con questo invito Serra preannuncia la stagione neorealista, la stagione dell’impegno sociale, strada che deve essere sempre percorsa da chi si dichiara uomo di cultura.  A differenza di Croce che pare non scandalizzarsi di fronte alle tragedie delle vita, non soffrire davanti alle sofferenze che la guerra porta, Serra è “umano”, come Carducci, il quale <<eleva l’arte all’uomo>>, e non è un caso  che il critico accosterà Croce a D’Annunzio.

Un critico da riscoprire e per molti da scoprire, da prendere come modello da tutti gli intellettualoidi odierni che si atteggiano a depositari della verità, sterili, imbrigliati nella retorica, senza aver compreso il valore rivoluzionario delle parole, il cui scopo è scrivere per convincere, estraneo al critico emiliano.

Se oggi fosse in vita, Renato Serra parlerebbe di “educazione al cambiamento”, e di “rivoluzione della coscienza” in un’epoca dove la critica letteraria “sembra” scomparsa.

 

 

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