Erich Auerbach e la critica stilistica di scavo retorico

Erich Auerbach è uno dei massimi critici e tra i più importanti filologi  tedeschi e mondiali e tra gli iniziatori della cosiddetta critica stilistica. Nato a Berlino nel 1892, muore negli Stati Uniti, a Wallingford nel 1957. Fu successore di Leo Spitzer all’università di Marburgo come professore di romanistica. Costretto dal regime per le sue origine ebraiche ad abbandonare la Germania, si trasferisce in Turchia dove insegna presso l’università di Istanbul  dal 1936 al 1947; dalla Turchia si reca negli Stati Uniti dove dal 1950 prestò la sua opera presso l’università di Yale. Di rilievo mondiale è la sua attività di dantista svolta per oltre un trentennio i cui risultati hanno condizionato tutta la moderna esegesi del poeta medievale.

Il primo saggio di argomento dantesco Dante als Dichter der irdischen Welt s’inserisce nella discussione sull’interpretazione crociana del romanzo teologico come una difesa della struttura nella Divina Commedia. Il saggio Figura pubblicato nove anni dopo sulla rivista  Archivum romanicum  è il risultato più cospicuo di un lungo periodo di riflessione intorno al problema semantico, succeduto alla sistemazione e alla definizione dell’universo dantesco svolto nel lavoro precedente. Dall’indagine sui rapporti tra struttura e poesia nella Commedia l’analisi si sposta sul terreno della ricerca del principio di costruzione dantesca e sul suo modo d’invenzione. Essa stabilisce tra due fatti o persone un nesso per cui l’uno non significa soltanto sé stesso, ma anche l’altro, e l’altro comprende e adempie sempre il primo. Qui le estensioni e le modifiche del principio figurale non contravvengono mai dall’esigenza che aveva dettato quella formula e l’aveva resa straordinariamente efficace: la lettura unitaria del poema.

L’ampiezza dell’indagine dantesca di Auerbach è determinata anche da quell’attenta opera di ricerca e di scavo retorico e stilistico, attraverso la quale particolari della lingua o dell’espressione, modificazioni sintattiche e lessicali divengono spie di un uso o di innovazione di gusto da ricondursi a una trasformazione dell’interpretazione della vita. Anche questa strada è percorsa dal critico che mette a fuoco atteggiamenti e caratteri dei personaggi della Commedia.

Forse la più grande ricerca del critico tedesco resta il suo Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale. L’opera è composta da due volumi e si propone di esaminare in venti capitoli la realtà rappresentata nel romanzo. La realtà è sempre presente nell’opera artistica in modi più o meno diversi: già Dante – di cui è ripreso l’episodio con Farinata nel canto X dell’Inferno -, nel suo viaggio ultraterreno, si porta dietro buona parte del suo mondo fisico, politico e sociale. Anche dopo la fine del romanzo realistico ottocentesco per eccellenza, la realtà permane, nonostante il turbamento delle strutture spazio temporali (si pensi all’opera di Virginia Woolf).

Il tema è affrontato da Auerbach in modo singolare: usando come pretesto la poca disponibilità di letture della biblioteca di Istanbul Auerbach traccia una storia generale della rappresentazione realistica considerando solo una ventina di testi nella storia della letteratura; di ogni testo esamina solo un breve brano, secondo il modello della critica spitzeriana. Il brano viene utilizzato poi per estendere lo studio all’opera omnia dello scrittore inquadrandolo nell’ambiente storico e culturale in cui questi ha operato. Questo procedimento gli assicura un’analisi totale, mai incompleta, arguta ed originale.

Di fondamentale importanza è la raccolta degli Studi su Dante, nei quali il critico definisce il concetto di figura nella cultura tardo-antica e ricostruisce il complesso rapporto tra struttura e poesia nella Divina Commedia. L’autore giunge al risultato allargando l’indagine a tutta la civiltà cristiana e mostra come l’intelligenza di Paolo, Agostino, Tertulliano sia necessaria per una lettura totale del capolavoro dantesco. Afferma lo studioso tedesco:

“Il fatto terreno è profezia o figura di una parte della realtà immediatamente e completamente divina che si attuerà in futuro. Ma questa non è soltanto futura, essa è eternamente presente nell’ochio di Dio e nell’aldilà, dove dunque esiste in ogni tempo o anche fuori del tempo, la realtà vera e svelata. L’opera di Dante è il tentativo di una sintesi insieme poetica e sistematica, vista a questa luce, di tutta la realtà universale”.

Ciò che emerge dalla lettura dei saggi di Auerbach è che la sua cultura, seppur rigorosa, è aperta al fascino dell’universale, infrangendo ogni barriera linguistico-culturale. Secondo il critico, Dante esprime nella dimensione narrativa di un viaggio la consonanza del proprio destino con quello dell’umanità peccatrice e redenta e la quintessenza del pathos umano della anime dell’aldilà, prendendo spunto dalle riflessioni di Hegel. Senza dubbio Erich Auerbach ha posto una pietra miliare nella bibliografia su Dante e ha spianato un campo interpretativo ancora molto fertile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Addio a Cesare Segre, semiologo di fama internazionale

Si  è spento il 16 marzo scorso a Milano il grande critico e filologo  italiano Cesare Segre, curatore della celebre edizione critica de “L’Orlando Furioso”.

Classe 1928,  il critico letterario, saggista, semiologo e filologo Cesare Segre, era  nato a Verzuolo (Cuneo) da una benestante famiglia  israelitica,  ha vissuto e ha studiato a Torino, dove si è laureato nel 1950. Ha attraversato gli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale e delle persecuzioni razziali.  Libero docente di filologia romanza dal 1954, ha poi insegnato presso le Università di Trieste e di Pavia, dove, più tardi, è diventato ordinario della materia. In questo periodo cura l’edizione critica di molti capolavori della letteratura tra i quali “Orlando Furioso secondo l’edizione del 1532 con le varianti delle edizioni del 1516 e 1521”, “La chanson de Roland” , e le “Satire di Ariosto”. Accademico della Crusca, Segre è stato anche visiting professor presso le Università di Manchester, Rio de Janeiro, Harvard,Berkeley,Princeton. Ha collaborato a numerose riviste: tra le quali, <<Studi di filologia italiana>>, <<Cultura neolatina>>, <<L’Approdo letterario>>; è stato direttore, con  D’Arco Silvio Avalle  Dante Isella e Maria Corti, di <<Strumenti critici>>, condirettore di <<Medioevo romanzo>> e della collana <<Critica e filologia>> dell’editore Feltrinelli.

Inizialmente  Segre  si  era dedicato  alla critica stilistica  seguendo le orme di Benvenuto Terracini, per poi imporsi come uno dei più autorevoli e brillanti esponenti italiani dello strutturalismo. La sua produzione è molto vasta, frutto di un’ intensa attività di studio: “I segni e la critica”, “Le strutture e il tempo”, “Semiotica filologica”, “Testo e modelli culturali”,  “Avviamento all’analisi del testo letterario”, “Fuori del mondo. I modelli nella follia e nelle immagini dell’aldilà” , “Intrecci di voci. La polifonia nella letteratura del Novecento”, “Notizie dalla crisi. Dove va la critica letteraria?”, “Per curiosità. Una specie di autobiografia”, “Ritorno alla critica”, “La pelle di San Bartolomeo”, “Discorso e tempo dell’arte”, “Tempo di bilanci. La fine del Novecento” . Proprio poche settimane fa Mondadori gli aveva dedicato un Meridiano, “Opera critica” che raccoglie parte della produzione del critico.

Anche la sua vita privata è  stata segnata dalla presenza della filologia: sposò infatti Maria Luisa Meneghetti, docente di filologia romanza proprio come lui.

 Cesare Segre è stato un convinto sostenitore dell’importanza di una migliore conoscenza della lingua italiana, e ha considerato inutili tutte quelle campagne didivulgazione dell’inglese, se non si conosce bene prima la lingua madre.

Un esploratore che si è addentrato nei complessi meccanismi della lingua quindi, che si è sempre chiesto dove sarebbe andata a finire la critica letteraria nel saggio “Notizie dalla crisi.Dove va la critica letteraria?” che rivela tutta l’attenzione del critico per l’oggetto in relazione agli insiemi testuali, partendo da maestri come Foucault, Greimas, Barthes. Un sottile senso della contraddizione (e come non potrebbe essere altrimenti) e rigore cartesiano contraddistinguono questo mirabile testo.

Per Segre la filologia è uno strumento validissimo per comprendere la realtà nella sua totalità, totalità che oggi risulta meno cercata e ambita dalla critica. Illuminanti sono state anche le riflessioni del critico piemontese sulle corrispondenze biografiche e di sensibilità profonda tra Giacomo Debenedetti e Marcel  Proust, come dimostra anche un articolo del critico su <<Il Corriere della Sera>>, dal titolo “Debenedetti: il mio amico Marcel Proust”.

Cesare Segre, sottile medievista ed appassionato novecentista (leggeva con piacere Primo Levi, Sereni e Gadda), lascia un grande vuoto nella cultura italiana, la sua ironia ed eleganza stilistica ne hanno fatto un teorico di primissimo piano nel panorama critico letterario internazionale; fulminante e veritiero il suo giudizio riguardo al linguaggio contemporaneo usato soprattutto dai politici:

“La nostra classe politica, che in tempi lontani annoverava ottimi parlatori e oratori, tende sempre più ad abbassare il registro, perché pensa di conquistare più facilmente il consenso ponendosi a un livello meno elevato. È la tentazione, strisciante, del populismo. Naturalmente questo implica il degrado anche delle argomentazioni, perché, ai livelli alti, il linguaggio è molto più ricco e duttile”.

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