‘Fino all’ultimo respiro’: il noir revisionista di Jean Luc Godard a 60 anni dalla sua uscita

Fino all’ultimo respiro, pellicola rivoluzionaria del 1960 di Jean-Luc Godard, in un certo senso imita una tendenza tipica della Hollywood degli anni Quaranta, il film noir o poliziesco. Questo genere di film trattava di investigatori cinici, gangster e uomini ordinari tentati dal malaffare; spesso una femme fatale attraeva il protagonista in una missione pericolosa il cui scopo non è dato sapere, basti pensare a film come Il mistero del falco o La fiamma del peccato.

L’intreccio del capolavoro Fino all’ultimo respiro, lo collega ad un comune motivo noir, il film di “fuorilegge” con dei giovani criminali in fuga, ad esempio La donna del bandito di Nicholas Ray del 1949. La storia ha per protagonista un ladro d’auto che uccide un poliziotto in moto della stradale e fugge a Parigi per trovare i soldi per riparare in Italia. Tenta anche di convincere Patricia (Jean Seberg), una studentessa d’arte americana e aspirante scrittrice con cui inizia una breve relazione, a seguirlo.

Dopo aver equivocato per qualche giorno, la ragazza capisce e proprio quando Michel sta per ricevere il contante di cui ha bisogno, Patricia chiama la polizia e lui viene ucciso.

Tuttavia la presentazione di questa storia da parte di Godard non potrebbe mai essere spacciato per un patinato prodotto degli studios: il comportamento di Michel è indotto dai film che Fino all’ultimo respiro imita, si passa infatti i pollici sulle labbra in omaggio all’idolo del regista francese, Humphrey Bogart, ma, nonostante questo è un bel ladro (interpretato da Belmondo) la cui vita sfugge al suo controllo e può solo fantasticare di essere una romantica testa calda di Hollywood.

Film manifesto della Nouvelle Vague, Fino all’ultimo respiro si pone in modo ambivalente nei confronti del cinema hollywoodiano e ne pervade sia la forma che la tecnica. Per contrasto il film di Godard appare goffo e casuale, quasi amatoriale, rende ambigue le motivazioni dei personaggi e indugia su dialoghi secondari, mentre il montaggio ha salti frenetici e, mentre i noir venivano girati negli studios dove ci si avvaleva di luci che rendevano i personaggi meditabondi, Fino all’ultimo respiro ricorre a luci esterne.

Queste tecniche rendono la storia di Michel stravagante, precaria e priva di glamour, la cui azione si muove a scatti irregolari inserita in brevi sequenze che si alternano a lunghi dialoghi in apparenza insignificanti, ad esempio è opportuno soffermarsi sulla lunghissima conversazione tra Michel e Patricia, i quali, per quasi venticinque minuti chiacchierano nella stanza da letto della ragazza; la maggior parte della conversazione è banale, come quando Michel critica il modo della ragazza di mettersi il rossetto. I due cercano di prevalere l’uno sull’altra in modo sconclusionato fino a quando Patricia dice che non fuggirà con lui perché non sa se lui la ama e Michele risponde: <<Quando lo saprai?>>, Patricia: <<Presto>>, Michel: <<Cosa significa presto? Fra un mese, un anno?>>, Patricia: <<Presto significa presto>>.

Anche se i due fanno l’amore, alla fine della scena non si ha un passo in avanti o indietro nel sentimento di Michel verso Patricia, e lui non ha compiuto nessun progresso nemmeno verso la fuga. Da queste scene si capisce che Michel è un delinquente errante che si lascia distrarre facilmente, più che un tormentato eroe noir.

Il finale del film è enigmatico perché non solo Michel non riuscirà a portare a termine i suoi obiettivi ma morirà dissanguato pronunciando come ultime parole: <<E’ davvero uno schifo>>, mentre Patricia lo guarda e poi guarda fissa nella telecamere lasciandoci con tante domande.

Con Fino all’ultimo respiro, Godard ha infranto le regole della fluidità delle immagini e dei suoni, facendone un film discontinuo che si propone di revisionare la tradizione in modo grezzo, avvalendosi di tecniche certamente non tradizionali, come il motivo dei misteriosi sguardi lanciati dai personaggi dritti nella macchina da presa, quasi ad interrogare lo spettatore.

Godard, che non ha mai voluto criticare i film di Hollywood, ha dato alle convenzioni identificate con il cinema hollywoodiano uno sfondo contemporaneo ed europeo creando un nuovo tipo di eroe ed eroina che avrebbero avuto i loro epigoni nei protagonista della Rabbia giovane di Terrence Malick, Bonnie e Clyde di Arthur Penn e Una vita al massimo di Tony Scott.

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