‘I Macchiaioli. Una rivoluzione en plein air’, dal 24 febbraio al 6 giugno 2021 presso il Forte di Bard, Valle d’Aosta

La stagione 2021 delle mostre d’arte al Forte di Bard si apre con un’importante esposizione dedicata ai Macchiaioli, movimento artistico attivo soprattutto in Toscana che ha rivoluzionato la storia della pittura italiana dell’Ottocento. Dal 16 febbraio al 6 giugno 2021, il polo culturale valdostano ospita la mostra I Macchiaioli. Una rivoluzione en plein air.

Curata da Simona Bartolena, prodotta e realizzata da ViDi – Visit Different in collaborazione con il Forte di Bard, la mostra presenta 80 opere di autori in grado di analizzare l’evoluzione di questo movimento, fondamentale per la nascita della pittura moderna italiana.

Nella seconda metà dell’Ottocento, Firenze era una delle capitali culturali più attive in Europa, punto di riferimento per molti intellettuali provenienti da tutta Italia. Al Caffè Michelangelo, si riuniva un gruppo di giovani artisti accomunati dallo spirito di ribellione verso il sistema accademico e dalla volontà di dipingere il senso del vero. Nacquero così i Macchiaioli, il cui nome, usato per la prima volta in senso dispregiativo dalla critica, venne successivamente adottato dal gruppo stesso in quanto incarnava alla perfezione la filosofia delle loro opere.

Giovanni Fattori, Lettera dal campo

«In un momento di grande difficoltà e smarrimento come quello che stiamo attraversando è indispensabile continuare ad investire nella cultura, prezioso motore di sviluppo per il territorio – evidenzia la Presidente del Forte di Bard, Ornella Badery -. Questo nuovo progetto si colloca bene nella filosofia espositiva del Forte di Bard che ogni anno propone appuntamenti di grande richiamo dedicati all’arte. L’auspicio, nonostante le tante incertezze che stiamo vivendo, è che anche questa mostra possa incontrare i favori del pubblico e della critica ed esser anche motivo ed occasione di crescita e arricchimento personale».

«Questa mostra offre molti spunti per rileggere la storia risorgimentale e quegli anni complessi – spiega il Direttore del Forte di Bard, Maria Cristina Ronc -. Anni rivoluzionari, costellati di nomi e personaggi da riscoprire e da rileggere nella prospettiva del tempo che è intercorso. Il Forte di Bard non è “solo” un luogo espositivo ma prima ancora è un edificio storico e come tale in questa occasione, più che in altre, amplia e dialoga con l’esposizione dei Macchiaioli e con le vite e le opere di questi pittori soldati. Ci piace ricordarne uno. Nino Costa, arruolato nel reggimento dei Cavalleggieri d’Aosta a Pinerolo che dopo varie peregrinazioni si sposta a Firenze e frequenta il Caffè Michelangelo. Lì conosce Giovanni Fattori, certamente il nome più noto tra i Macchiaioli, e che lo stesso Costa rammenterà come colui che “gli aprì la mente e lo incoraggiò”».

Il percorso espositivo all’interno delle Cannoniere del Forte di Bard, prende avvio dalle opere di Serafino de Tivoli, precursore della rivoluzione macchiaiola, che si confronteranno con un lavoro giovanile di Silvestro Lega, dallo stile ancora purista, per giungere alle espressioni più mature della Macchia con Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Raffaello Sernesi, Odoardo Borrani e Cristiano Banti, che si allontanano definitivamente dalla tradizionale pittura di paesaggio italiana ma anche dalla lezione della scuola francese di Barbizon, particolarmente incline a indugiare in tendenze formalmente raffinate e legate al romanticismo, per scegliere un approccio più asciutto e severo, cogliendo impressioni immediate dal vero.

Non mancano i dipinti a interesse storico, con i soldati di Giovanni Fattori, né tantomeno quelli firmati dai protagonisti del gruppo dopo gli anni sessanta, quando la ricerca macchiaiola perde l’asprezza delle prime prove e acquisisce uno stile più disteso, aperto alla più pacata tendenza naturalista che andava diffondendosi in Europa. La mostra si chiude con una riflessione sull’eredità della pittura di Macchia.

‘Capolavori della Johannesburg Art Gallery Dagli Impressionisti a Picasso’ in mostra al Forte di Bard

Capolavori della Johannesburg Art Gallery. Dagli Impressionisti a Picasso, a cura di Simona Bartolena, è la mostra che il Forte di Bard ospiterà dal 14 febbraio al 2 giugno 2020. In esposizione, una selezione di 64 opere dallo straordinario valore artistico, provenienti dalla Johannesburg Art Gallery, il principale museo d’arte del continente africano.

La collezione nel suo insieme conta oltre cento opere tra olii, acquerelli e grafiche, che portano la firma di alcuni dei grandi maestri della scena artistica internazionale tra Ottocento e Novecento, da Degas a Dante Gabriel Rossetti, da Corot a Boudin e Courbet, da Monet a Van Gogh, da Mancini a Signac, da Picasso a Bacon, Liechtenstein e Warhol, fino ai più recenti protagonisti del panorama artistico sudafricano, primo fra tutti William Kentridge. Una serie inaspettata di capolavori che permettono di percorrere un vero e proprio viaggio nella storia dell’arte del XIX e XX secolo, spaziando dall’Europa agli Stati Uniti, fino al Sudafrica.

L’esposizione al Forte di Bard inizia con un’opera di Antonio Mancini, un ritratto a Lady Florence Phillips, fondatrice della Johannesburg Art Gallery e prosegue con le opere dell’Ottocento inglese tra cui i lavori del grande protagonista del romanticismo britannico Joseph Mallord William Turner, dei Preraffaelliti Dante Gabriel Rossetti e John Everett Millais e di Sir Lawrence Alma-Tadema.

Un nucleo di opere francesi della seconda metà dell’Ottocento sono le protagoniste della sala successiva: in esposizione la veduta delle falesie normanne di Étretat di Gustave Courbet, un piccolo gioiello che ben rappresenta la fase più vicina ai barbizonniers di Camille Corot e opere di François Millet e Henri-Joseph Harpignie.

Il percorso continua con la straordinaria novità del linguaggio impressionista delle opere di Monet, Sisley, Degas e Guillaumin e con alcuni protagonisti della scena postimpressionista, artisti che seppero prendere le distanze dalla lezione di Monet e compagni, suggerendo nuove ipotesi espressive e nuove strade alle generazioni successive. Notevole spazio ha in mostra il pointillisme, lo stile nato dalla radicalizzazione delle teorie impressioniste, grazie alla presenza di due capolavori di Paul Signac (un acquerello e lo splendido La Rochelle), un paesaggio di Lucien Pissarro, figlio dell’impressionista Camille, in bilico tra nuove ricerche e memorie della pittura paterna, e un importante lavoro di Henri Le Sidaner.

Segnano, invece, il passaggio al XX secolo i disegni di due grandi scultori: Auguste Rodin e Aristide Maillol. L’arrivo nelle collezioni della Johannesburg Art Gallery di opere datate al Novecento è piuttosto tardivo grazie ad acquisizioni e donazioni successive. In mostra, al rigore del ritorno a una figurazione dagli accenti tradizionali di André Derain fanno da contrappunto l’approccio già avanguardista di Ossip Zadkine, in bilico tra sintesi cubista e recupero di una rinnovata solidità classica, e l’inconfondibile eleganza del segno di Amedeo Modigliani. Quattro grafiche e una significativa Testa di Arlecchino a matita e pastello raccontano la ricerca di Pablo Picasso.

Il percorso nelle avanguardie prosegue con la ricerca sensuale e luminosa di Henri Matisse, presente in mostra con tre notevoli litografie.
La collezione storica dedicata al secondo Novecento è frutto di acquisizioni e donazioni recenti e comprende, oltre che lavori di artisti locali, anche opere di europei e statunitensi. La mostra ne ospita quattro significativi esempi: un tormentato ritratto maschile di Francis Bacon, un intenso carboncino di Henry Moore, e due capolavori pop di Roy Lichtenstein e Andy Warhol.

L’ultima sezione della mostra è dedicata all’arte africana contemporanea che ricopre un ruolo importante nel percorso espositivo: una vera scoperta, un’occasione per incontrare una realtà pittorica ben poco nota al pubblico europeo.

La collezione della Johannesburg Art Gallery 

Aperta al pubblico nel 1910, la Johannesburg Art Gallery è il principale museo d’arte del continente africano e ospita una collezione di altissima qualità.

Principale protagonista della nascita e della formazione della collezione fu Lady Florence Philips. Nata a Cape Town nel 1863, si trasferisce a Johannesburg dopo il matrimonio con Sir Lionel Philips, magnate dell’industria mineraria. La galleria, finanziata da investimenti del marito e di alcuni altri magnati, nasce con l’obiettivo di dotare la sua città di un museo d’arte, convinta di voler trasformare quello che all’epoca era un centro minerario in una città improntata al modello delle capitali europee. La nascita di una galleria d’arte pubblica sarebbe stata inoltre un’opportunità di crescita culturale per tutta la popolazione oltre che fattore di prestigio per l’alta società locale.

Altra personalità che ebbe una parte rilevante nella fondazione del museo fu Sir Hugh Percy Lane, esperto d’arte e mercante anglo-irlandese. Già curatore per la Municipal Gallery of Modern Art di Dublino, fra i primissimi estimatori e collezionisti dell’Impressionismo francese, aiutò Lady Philips nell’impresa, consigliando possibili acquisizioni.

Fino dalla sua apertura, il museo presenta una selezione di opere di straordinaria qualità e modernità, un nucleo arricchitosi negli anni, grazie a nuove acquisizioni, lasciti e donazioni.

 

‘On Assignment, una vita selvaggia’: le fotografie di Stefano Unterthiner al Forte di Bard

La mostra On Assignment, una vita selvaggia presenta per la prima volta al pubblico al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, dal 14 dicembre 2019 al 2 giugno 2020, le immagini dei reportage realizzate dal fotografo Stefano Unterthiner nel periodo dal 2006 al 2017 su commissione del National Geographic Magazine.

Una retrospettiva che vuole invitare il pubblico a scoprire il mondo della fotografia naturalistica provando a raccontare, attraverso la vita e lo sguardo di un grande fotografo, il nostro rapporto con la natura e le altre specie.

La mostra documenta, in particolare, il lavoro realizzato da Unterthiner per il celebre magazine americano, di cui è collaboratore dal 2009 (e primo italiano nella storia della fotografia moderna). Ben 77 le immagini esposte, suddivise in dieci storie che mostrano un grande ritratto del mondo animale: dalle fotografie realizzate nel remoto arcipelago di Crozet, a quelle prodotte, sulle tracce del puma, in Cile; dalle suggestive immagini sul cigno selvatico, ai drammatici scatti che documentano il declino del cinopiteco in Indonesia.

L’immagine del cinopiteco ‘Troublemaker’ realizzata nel 2007 lungo la costa di Tangkoko. Il nome, che letteralmente significa ‘combina guai’, gli fu dato da alcuni ricercatori per il carattere curioso e particolarmente dispettoso del giovane maschio.

I dieci reportage sono:
. Crozet (2006-2007): pinguino reale e altre specie subantartiche
Una spedizione lunga cinque mesi in uno tra i luoghi più selvaggi e incontaminati del nostro pianeta.
. Giappone (2010): cigno selvatico
Un ritratto poetico di uno dei simboli della natura del grande Nord.
. India (2010): entello
Una primate venerato che lotta per sopravvivere in una delle regioni più aride dell’India.
. Cile (2011): fauna della Patagonia andina
Una spedizione sulle Ande per fotografare il più elusivo e misterioso tra i felini: il puma.
. Seychelles (2011): sterne tropicali
Un reportage che documenta alcune popolazioni di sterne che rischiano di scomparire per il cambiamento climatico.
. Indonesia (2012): varano di Komodo
Spedizione tra i ‘draghi’ di Komodo in compagnia del ricercatore Claudio Ciofi.
. Italia (2013): fauna alpina
Un grande ritratto del primo Parco Nazionale italiano: il Gran Paradiso.
. Indonesia (2007 e 2015): cinopiteco
Un reportage che racconta le cause del declino di uno dei venticinque primati più minacciati di estinzione.
. Italia (2016): falco grillaio
Una città storica, Matera, e una piccola specie di rapace. Quando la convivenza tra uomo e natura diventa possibile.
. Australia (2017): varie specie di Macropodidi
Simbolo dell’Australia, oggi il canguro è oggetto della più grande caccia legale al mondo.

A questi dieci reportage si aggiunge un’anteprima del progetto “Una famiglia nell’Artico”, dedicato al soggiorno di un oltre un anno, che il fotografo e la sua famiglia stanno trascorrendo alle Isole Svalbard, con l’intento di documentare e comunicare il fenomeno del cambiamento climatico. Sarà inoltre presentato il documentario “Una vita selvaggia” che racconta il lavoro di campo di Stefano Unterthiner attraverso il materiale inedito girato nel corso di alcuni assignment realizzati dal fotografo e presentati in mostra.

«Il mestiere del fotografo naturalista non è facile – ha dichiarato Stefano Unterthiner – può far sognare molti, ma pochi possono immaginare cosa voglia dire realmente vivere di fotografia. Qualcuno lo ha definito ‘il mestiere più bello del mondo’ ma ho imparato sulla mia pelle che questa definizione è vera solo in parte. Le immagini raccolte in questa mostra sono una piccola parte della mia produzione di questi due decenni di attività, ma credo possano ben rappresentare quello che ho fatto in questi anni. Fotografie che raccontano, soprattutto, la mia decennale avventura con il Magazine americano: quella mitica pubblicazione che per tanti anni mi aveva fatto sognare. Ricordo che, da ragazzo, non appena ricevevo l’ultimo numero andavo subito a cercare la rubrica di chiusura. Il suo titolo era On assignment e raccoglieva la testimonianza di uno dei fotografi che avevano contribuito a quel numero. La rubrica è poi scomparsa ma ho fatto in tempo ad esserci anch’io in occasione della prima storia che ho pubblicato. Appaio ritratto con indosso una cerata gialla, alle mie spalle un mare di pinguini reali. La mia vita selvaggia iniziò lì».

L’esposizione si inserisce a pieno titolo nella linea culturale che il Forte di Bard dedica all’esplorazione e alla documentazione fotografica dell’ambiente naturale attraverso artisti di livello nazionale e internazionale.

Il fotografo
Zoologo, fotografo naturalista e divulgatore, Stefano Unterthiner è autore di otto libri fotografici e abituale collaboratore del National Geographic. Le sue immagini sono pubblicate ed esposte in tutto il mondo e regolarmente premiate al Wildlife Photographer of the Year.

Volume fotografico. Edizioni Ylaios, 180 pagine

World Press Photo, il più prestigioso premio di fotogiornalismo, torna in Valle d’Aosta dal 6 dicembre

Dal 6 dicembre 2019 al 6 gennaio 2020 torna al Forte di Bard, World Press Photo, il più prestigioso premio al mondo di fotogiornalismo. Giunto alla 62esima edizione il concorso, ideato nel 1955 dalla World Press Photo Foundation, organizzazione indipendente senza scopo di lucro con sede ad Amsterdam, premia ogni anno i migliori scatti che hanno documentato e illustrato gli avvenimenti del nostro tempo sui giornali di tutto il mondo.

In esposizione le 140 immagini vincitrici e più rappresentative del 2018, divise in otto diverse categorie: Contemporary issues, Environment, General news, Long Term Projects, Spot news, Nature, Portraits, Sport e Spot news. Le fotografie sono state scelte da una giuria composta da 17 professionisti e presieduta da Whitney C. Johnson, vice-presidente della sezione che si occupa di contenuti visivi ed immersivi del National Geographic.

Tre fotografi italiani finalisti per il World Press Photo 2019, sono Marco Gualazzini, Lorenzo Tugnoli e Daniele Volpe. Marco Gualazzini ha ricevuto il primo premio nella categoria Ambiente – Storie; Lorenzo Tugnoli, primo classificato, grazie alla sua serie Yemen Crisis, nella categoria General News – Stories; Daniele Volpe con lo scatto sul soggiorno di una casa abbandonata a San Miguel Los Lotes, in Guatemala, secondo classificato nella categoria General news, foto single.

Vincitrice di questa edizione è Crying Girl on the Border di John Moore. Lo scatto mostra la piccola Yanela Sánchez, originaria dell’Honduras, che si dispera mentre la madre viene perquisita da agenti della polizia di frontiera statunitense a McAllen, in Texas.

Novità di questo anno l’introduzione del Premio World Press Photo Story of the Year, che ha visto premiato l’olandese Pieter Ten Hoopen con The Migrant Caravan. L’immagine mostra un gruppo di persone che corre verso un camion che si è fermato per dare loro un passaggio, fuori Tapanatepec, in Messico, il 30 ottobre 2018, per raggiungere gli Stati Uniti.

Ogni anno il premio coinvolge fotografi provenienti da ogni parte dal mondo: in questa edizione hanno partecipato al concorso 78.801 fotografie di 4.738 fotografi di 129 paesi, tra cui l’Italia.

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