‘Mediterranea’: dieci racconti di fantasy tutto italiano ispirati ai culti e ai miti dell’area mediterranea

Qualche settimana fa le pagine del giornale hanno ospitato un articolo di Francesco La Manno, presidente di Italian Sword&Sorcery, in cui veniva rilevata l’esistenza di una scena ben nutrita di autori che, nei loro libri, si riferiscono al Mediterraneo, con i suoi miti, le sue tradizioni e il suo folclore. Questa corrente vuole sottolineare la validità del sostrato presente nel Mare Nostrum in un contesto fantastico, attraverso delle produzioni che vadano oltre il fantasy moderno e si discostino dagli, oramai commerciali, immaginari celtici e norreni. Mediterranea, un’antologia di racconti recentemente pubblicata da Italian Sword&Sorcery Books, si colloca esattamente su questa lunghezza d’onda. Come scrive La Manno nella sua Introduzione al testo:

la nostra intenzione è quella di esaltare i miti, i culti e le tradizioni folcloristiche della nostra terra e dell’area mediterranea, che non hanno nulla da invidiare rispetto a quelli nordici e che per molto tempo sono risultati assenti dall’attenzione dei lettori e degli addetti ai lavori.

Mediterranea è composta da dieci racconti, le cui tematiche vengono presentate nell’introduzione. Di seguito, si opererà un confronto tra quanto evidenziato dal curatore e i riferimenti diretti ai testi, al fine di sviscerare i contenuti dell’antologia. Scrive La Manno:

La fantasia eroica mediterranea ricalca gli stilemi tipici dello sword and sorcery, adottando l’ambientazione, i miti, i culti, le tradizioni folcloristiche dei territori adiacenti al Mare Nostrum. I protagonisti, come è facile intuire, sono ben lontani dall’essere cavalieri senza macchia e senza paura, ma si ha a che fare con mercenari, guerrieri, assassini, ladri, imbonitori, infidi diplomatici, negromanti e reietti, il cui obiettivo è quello di realizzare il maggior profitto per sé stessi, oppure di salvare la pelle.

Nel recente passato, su queste pagine, sono state presentate due facce, per certi aspetti antitetiche, dello sword and sorcery: quella possente di Conan il Barbaro e quella tormentata di Elric di Melniboné. Nella raccolta in questione si ritrovano richiami più o meno espliciti a queste opere. Nel racconto Shardana di Riccardo Brunelli, ad esempio, il protagonista Dannu sembra sintetizzare in se stesso i patimenti di Elric con la furia battagliera di Conan:

Dannu ascoltava il racconto attonito, con la fronte corrucciata. Strinse i pugni tanto da sbiancarsi le nocche. Avrebbe voluto gridare al cielo ed agli dei. Avrebbe voluto chiedere perché tutti questi patimenti si abbattevano sul popolo degli Shardana. Ma non disse nulla. Risparmiò il dolore e la rabbia per un altro momento. Per il prossimo nemico da abbattere.

Come rilevato da La Manno, il Mediterraneo è sì il minimo comune denominatore dell’opera, ma in una forma eterogenea, nello spazio e nel tempo, che varia di racconto in racconto. Si passa dalla preistoria de Il ponte della morte di Donato Altomare, alla fase immediatamente successiva della battaglia di Maratona del 490 a.C. di Alberto Henriet ne La spada di Aeskylos, fino all’occupazione romana dei territori sanniti ne Gli occhi di Angizia di Adriano Monti Buzzetti Colella e alla dominazione bizantina della Sicilia (iniziata nel VI secolo d.C.) ne Il banchetto di Andrea Gualchierotti e Lorenzo Camerini. Andrea Berneschi ambienta Il figlio di Asterione a Creta, in cui trovano rifugio dei profughi cartaginesi a seguito della conquista romana della loro terra. Qui l’autore adatta la mitologia cretese alle sue esigenze narrative, facendo intervenire il figlio del Minotauro in soccorso dei protagonisti, annunciando l’avvento di una nuova epoca, dalle caratteristiche moderne:

È passata l’epoca dei sacrifici, e anche quella degli Dei, se è per questo. Una nuova era sta sorgendo. Non è più tempo di tragedie, ma di corse di cavalli. Niente religioni, solo giochi nell’anfiteatro e scherzi di mimi. Dimenticata la Grande Madre, i figli si accapigliano tra loro contendendosi confini del tutto immaginari. Non più i corridoi fatali di labirinti di pietra intrappolano gli uomini, ma le infinite scelte che sono liberi di compiere, tutte probabilmente senza senso.

Il carattere fanta-storico delle ambientazioni viene arricchito da ulteriori elementi di fantasia, la stregoneria e l’orrore soprannaturale, che contraddistinguono in modi differenti le narrazioni. La Vieja Bruja in Altomare, la negromanzia in Una ballata di fuoco e di mare di Francesco Brandoli e la vicenda dell’eroina egizia Arabrab ne Il culto degli abissi di Alessandro Forlani sono esempi in questo senso. In più racconti compaiono le lamie, la cui natura viene messa a nudo senza mezzi termini ne Il ponte della morte:

Erano mostri, erano furie, erano bestie che usavano affilatissimi artigli per tagliare le gole, erano serpenti impossibili da colpire tanto si muovevano veloci, erano aquile capaci di compiere balzi incredibili senza ali, erano felini dalle fauci mostruosamente grandi in grado di strappare mezza gola con un solo morso. E sembravano ombre, impossibili da colpire con le loro armi.

Un ruolo significativo è riservato anche all’amore e ai sentimenti ad esso connessi. Parlando dell’erotismo La Manno precisa come esso sia presente, senza però mai assumere i toni beceri di taluni libri di terz’ordine tanto in voga oggi, ma mantenendo sempre un decoro degno delle più alte forme di letteratura classica. In Più tenace della morte, Enzo Conti realizza un adattamento del mito di Alcesti e Admeto in chiave heroic fantasy. In un primo momento, il principe Admeto, che si presenta come il venditore di indovinelli Ilioneo di Corinto, si fa sedurre da una lamia. L’attrazione fisica è troppo forte per poter resistere alla tentazione:

Una impetuosa sensazione di piacere gli sta salendo lungo il fisico e d’un tratto si rende conto che la creatura, con un sensuale movimento del bacino gli si è abbarbicata addosso e ha fatto in modo che lui la penetrasse. È stato come immergersi in un vaso di miele avvelenato. Non riesce a fermare le spinte fameliche del proprio corpo. Il piacere dell’accoppiamento lo travolge. Grida e si aggrappa a lei. Neppure si accorge dei denti che gli premono sulla giugulare.

L’intervento di Alcesti si dimostra tardivo, in quanto, dopo essere stato liberato dalla possessione della lamia, il principe è morto. Tuttavia, la principessa decide di sacrificare se stessa alla Morte in cambio della vita del suo amato. Una volta rinvenuto, Admeto sfida la Morte ad una gara di indovinelli: se vince, lui e Alcesti vivranno; se perde, entrambi periranno. A seguito di un confronto estenuante, il principe si gioca la sua ultima possibilità:

Più tenace della Morte,
dura il tempo di un sorriso.
Timoroso, dolce, forte,
vive insieme al pianto e al riso.

La Morte non riesce a pensare a nulla che sia più tenace di lei e, così, grazie all’Amore i due riescono a sconfiggere la divinità, che deve riconoscere a malincuore:

Così, tutta la mia scienza e tutta la mia filosofia non mi sono servite a un bel niente. Sono stata beffata. Grazie all’unica cosa che non potrò mai conoscere realmente.

Nel racconto forse più complesso di tutti quelli presenti nell’antologia, L’Artiglio della Fenice Nera, Mauro Longo si interroga sul destino e la capacità dell’arbitrio umano di sottrarsi al volere divino, attraverso le vicende del suo protagonista:

Gli uomini non sono responsabili di dove vengono al mondo, della fama dei propri padri, delle usanze del proprio popolo» replicò Sheban. «Se fossimo nati khemiti, probabilmente saremo anche noi contadini e pescatori. Se fossimo nati garamanti saremmo stati guerrieri e mercanti, come voi. Ma le Moire ci hanno fatto nascere tra i popoli del mare, le nostre madri ci hanno insegnato a onorare i loro dei e i nostri padri a impugnare le spade piuttosto che l’aratro. Non è forse il nostro destino deciso dai numi immortali?» Lo sherdenita indicò le stelle, che dall’inizio del mondo tracciavano i destini degli individui.

A questa visione iniziale, prettamente fatalistica, se ne contrappongono altre nel corso della narrazione, che portano Sheban a stravolgere la sua posizione. Scampato a quella che sembrava essere un’infallibile profezia, ucciso quello che sarebbe dovuto essere suo fratello (se non fosse stato sacrificato ancora in fasce dalla sua famiglia al volere divino), e per queste ragioni ancora perseguitato dal rancoroso Moloch, sul finale proclama le sue blasfeme intenzioni:

Ecco quindi cosa ho in animo: ho in animo di smettere di scappare. Ho in animo di attaccare per primo, prima che il Dio della Morte colpisca i miei cari. Ho in animo di cercare Moloch fin giù nella cloaca dove si nasconde, fargli crollare addosso i suoi templi, sterminare i suoi servitori e la sua progenie, infilargli in petto qualcosa che può ammazzarlo, strappargli via il cuore e gettarlo ai cani, e poi uccidere anche quei cani e gettare i loro resti nel fuoco. Stavolta il Dio della Morte si è messo contro il mortale sbagliato.

A conclusione del lavoro ci sono due brevi saggi. Nel primo, Marco Maculotti, direttore della rivista AXIS mundi, presenta la concezione del Sacro presso i Greci, che lungi dal poter essere interpretata come una “religione” strictu sensu, si fonda su una fitta rete di corrispondenze mitico-storico-astrologiche. Maculotti riconosce due fasi principali di questo sviluppo: la prima, definita orizzontale, contraddistinta dalla sola presenza di Chaos e Gaia, e per questo incentrata sulla Terra; la seconda, verticale, caratterizzata dal susseguirsi dei reggitori divini Urano, Kronos e Zeus, rivolta alla venerazione dei Cieli e del Cosmo. Nel secondo, Enrico Santodirocco, autore del recente saggio Conan. La Leggenda, ricostruisce il percorso della fantasia eroica nei fumetti, rilevando la partecipazione di case prestigiose, come la Marvel e la Dark Horse, a questo processo editoriale. Insomma, Mediterranea si presenta come un insieme eterogeneo di contributi, legati da un sostrato comune, in grado di costituire una sorta di manifesto per un movimento culturale in grado di offrire un’alternativa più ricercata rispetto alle pubblicazioni di massa che troppo spesso limitano l’immaginario del fantastico contemporaneo.

 

Lorenzo Pennacchi

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