‘Il Signore degli Anelli’ di Tolkien, un mondo immaginario ma reale nella recensione del poeta Auden

Al mondo esisteranno pure lettori che non amano le Gesta Eroiche, però io non ne ho mai incontrati. Per molti di noi costituiscono il più piacevole genere letterario, al punto che non possiamo fare a meno di divorarne le pagine anche quando la nostra capacità critica le bolla come spazzatura. Chiunque ricordi Lo Hobbit come il miglior racconto per bambini degli ultimi cinquant’anni non potrà che aprire la nuova opera del professor Tolkien con le più alte aspettative, e tuttavia La Compagnia dell’Anello le supera tutte. Sarebbe alquanto sorprendente se entro il prossimo Natale il libro non lo rendesse ricco.

Nel parlare di un romanzo di questo tipo il recensore si trova in difficoltà, perché non deve rovinare il gusto della lettura rivelando la trama, che in questo caso è intrigante almeno quanto quella de I Trentanove Scalini. Di norma i racconti epici trattano di un oggetto arcano di cui il Nemico si è impossessato, o che terrificanti guardiani proteggono da quanti ne sono indegni; nessuno può recuperarlo se non l’eletto, il cui compito è appunto quello di trovarlo. Ne La Compagnia dell’Anello, l’oggetto arcano (che somiglia all’Anello dei Nibelunghi, ma ancora più minaccioso) è già all’inizio in mano all’eroe. Il Nemico che lo ha creato lo credeva perduto per sempre, ma ora ha scoperto dove si trova e dispiega i suoi mezzi demoniaci per recuperarlo. E poiché nemmeno i giusti possono farne uso senza soccombere al male, deve essere distrutto: questo però si può fare soltanto in un certo modo e in certo luogo, che si trova purtroppo nel cuore del regno Nemico. La Missione, quindi, consiste portare l’Anello nel luogo della sua disfatta, senza mai essere intercettati.

Questa Missione si svolge all’interno di un mondo scaturito dall’immaginazione di Tolkien, con tanto di paesaggi, storia, abitanti. Nelle sue linee generali, questo mondo è Celtico e Scandinavo, più che Mediterraneo. L’eroe, il signor Frodo Baggins, appartiene a una razza di creature note come Hobbit. Nonostante la statura di tre piedi soltanto e la peluria plantare, gli Hobbit ricordano molto nel modo di pensare e nella sensibilità gli arcadici paesani che popolano i racconti gialli inglesi. Per mille anni questi esseri rurali hanno goduto di un’esistenza idilliaca all’interno di una fertile regione denominata la Contea, poco informati (e per nulla interessati) sulla vita oltre il confine. In realtà, la Contea è una piccola oasi in un mondo in decadenza: quelle che erano un tempo grandi città ormai sono cadute in rovina, fertili pianure si sono trasformate in sterili distese, le strade e i ponti sono uno sfacelo, ovunque si è braccati da bestie feroci e poteri maligni. Oltre agli Hobbit e alla loro infantile innocenza, incontriamo Elfi (che conoscono il bene e il male, ma non hanno sperimentato la Caduta), Nani e Uomini (buoni o cattivi). Alcuni di loro sono eroici combattenti, e discendono da sovrani del passato, altri sono stregoni. L’incarnazione più recente del Nemico è Sauron, Signore di Barad-dûr, la Torre Nera della Terra di Mordor. Sauron è a capo di un esercito di Troll, Orchi e altre creature ancora più letali, e ogni giorno accresce il suo potere sulle menti degli uomini.

Uno scrittore contemporaneo che si prefigga di creare un universo immaginario ma convincente ha davanti a sé impresa molto più ardua di quella affrontata dagli autori dei romanzi cortesi, perché non può scrivere né essere letto senza tenere a mente la letteratura del verosimile e la ricerca scientifica degli ultimi secoli. Per questo, darà una qualche idea del portento di Tolkien il fatto che sono riuscito a trovare solo due dettagli poco plausibili da contestargli. I dettagli stessi illustrano bene le differenze fra i lettori del ventesimo secolo e i contemporanei di Edmund Spenser. In primo luogo, leggiamo che gli Hobbit hanno conosciuto molti anni di prosperità, immuni da guerre, pestilenze e carestie, e che di norma sono longevi e hanno famiglie numerose. In tal caso, non riesco a concepire come la sovrappopolazione non li abbia costretti a emigrare dalla Contea. In secondo luogo (dettaglio quasi irrilevante) il prosciugamento del fiume Sirannon viene attribuito ad una diga, che ha creato un lago. Questo lago è però pieno da anni: dove vanno a finire le sue acque?

Il primo problema che si presenta a chi crea un mondo immaginario è lo stesso che si presentò ad Adamo: deve stabilire un nome per ogni cosa e ogni creatura; questi nomi devono essere appropriati e coerenti fra loro. Già in un universo ‘comico’ il compito è arduo; in uno ‘serio’, il successo sembra quasi un miraggio. Posso solo dire che l’abilità di Tolkien al riguardo supera quella di qualsiasi altro scrittore a me noto, morto o vivente. Il paesaggio del suo racconto è vastissimo: da est a ovest, dalle Colline Ferrose al Golfo della Luna, corrono milleduecento miglia, e da Nord a Sud, da Carn Dum al delta dell’Anduin, ne passano millecento. In questa regione vivono numerose specie dotate di parola: ognuna ha la sua nomenclatura, la sua storia e la sua politica, eppure l’autore trova senza difficoltà apparente nomi che sembrano ineluttabili. Vero che è un filologo rinomato, però chi dei suoi colleghi saprebbe inventarsi linguaggi ‘buoni’ e ‘malvagi’ convincenti quanto i seguenti esempi?

A Elbereth Gilthoniel,
silivren penna míriel
o menel aglar elenath!
Na-chaered palan-díriel
o galadhremmin ennorath,
Fanuilos, le linnathon
nef aear, sí nef aearon!
Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul,
ash nazg thrakatulûk, agh burzum-ishi krimpatul

E ancora: quale altro creatore di paesaggi immaginari possiede un altrettanto acuto occhio per la topografia? Perché un viaggio sembri reale, il lettore deve poter vedere i luoghi attraversati come li vedrebbe il viandante, vale a dire diversamente a seconda del mezzo di trasporto e delle circostanze della missione. Alla fine del libro Frodo Baggins ha percorso all’incirca milletrecento miglia, in gran parte a piedi, coi sensi costantemente all’erta per via della paura, scrutando ogni angolo del cammino in cerca dei suoi inseguitori; eppure, Tolkien riesce a convincerci di non aver tralasciato nemmeno un dettaglio di quelli colti dai suoi eroi. In effetti, è talmente accurato che il lettore che consulta la bellissima cartina a fine libro si accorgerà subito che il percorso effettuato fra il Ponte sull’Hoarwell e il Forte di Bruinen è disegnato in modo errato.

Nelle circostanze critiche che caratterizzano le trame eroiche, le reazioni contemplate non sono molte (combattere o fuggire, essere leali o tradire), e le sfumature caratteriali non sono possibili né importanti. I personaggi devono rappresentare gli archetipi letterari fondamentali: il Saggio, il Forte, lo Spensierato, il Cauto, la Dama Bianca, il Signore Oscuro. Tolkien riesce intelligentemente a dare ad ogni archetipo una profondità e una solidità fuori dal comune, e racconta per ognuno di loro una storia che è rappresentativa del clan a cui appartiene. Il passato di Aragorn, ad esempio, parla non solo di lui ma di tutti i Raminghi. Soltanto un personaggio non gli è riuscito, ma forse si tratta di antipatia personale. Sam Gamgee, lo scudiero fidato, è senz’altro un personaggio rispettabile e suppongo dovremmo apprezzarlo, però a me fa solo venir voglia di prenderlo a calci.

Probabilmente la più grande impresa di Tolkien è esser riuscito a scrivere un romanzo epico che sembra del tutto pertinente alla realtà dell’epoca in cui viviamo. Quando leggiamo storie medievali del medesimo genere, per quanto piacevoli le possiamo trovare, siamo talvolta tentati di domandare al Cavaliere Errante: la tua missione è così importante? Persino nella ricerca del Sacro Graal, il successo o il fallimento sono rilevanti soltanto per quelli che la intraprendono. È difficile scrollarsi di dosso il sospetto che, nel caso dei suddetti Cavalieri, la loro ‘vocazione’ sia un termine altisonante che designa il passatempo a cui i più ricchi possono giocare mentre il duro lavoro è svolto dai ‘villani’. Ne La Compagnia dell’Anello, al contrario, il destino dell’anello segnerà l’esistenza di popoli interi, che magari nemmeno l’hanno mai sentito nominare. Inoltre, come accade nella Bibbia e in altre fiabe, l’eroe non è un Cavaliere, a cui il lignaggio e l’educazione abbiano donato una aretè fuori dal comune, ma un hobbit non diverso da tutti gli altri. Non è il saggio Gandalf, o il potente Aragorn, che viene chiamato a compiere questa missione pericolosa e potenzialmente mortale, ma Frodo Baggins, il quale volentieri ne farebbe a meno; e se ci domandiamo perché proprio lui, e non uno delle centinaia come lui, l’unica risposta è che il caso, o la Provvidenza, lo ha scelto, e lui non può che obbedire.

Se esistono persone per le quali leggere La Compagnia dell’Anello può essere dannoso (e probabilmente ce ne sono), si tratta di coloro che ne trarranno un parallelismo troppo letterale alla nostra attuale situazione. In un romanzo è giusto e naturale che le idee malvagie siano incarnate in creature malvagie, ma se guardiamo alla storia questa è una teoria pericolosa. Viviamo purtroppo in un’epoca nella quale se pensiamo a ideologie perverse, subito possiamo localizzare sull’atlante la posizione di Dol Guldur e Barad-Dûr (credo di essere in grado di identificare Minas Tirith, anche se il New Statesman, da sinistra, non mi darebbe ragione); sarebbe un errore, tuttavia, concludere che tutti gli abitanti ad Est dell’Anduin siano Orchi da sterminare.

Null’altro ho da aggiungere su quest’opera magnifica se non che è piuttosto indelicato da parte dell’editore non pubblicare contemporaneamente al primo i due volumi successivi, Le Due Torri e Il Ritorno del Re: mi è insopportabile dover aspettare per scoprire cosa accada al Portatore dell’Anello. Spero poi che nella seconda edizione infileranno la mappa in una busta al posto di incollarla alla copertina: come me, infatti, molti lettori la staccheranno per poter seguire il percorso della storia, col rischio di perderla. Per finire, a chi (come il sottoscritto) scorre nelle vene sangue Nano, piacerebbe che il signor Tolkien disegnasse anche una carta geologica.

 

Wystan Hugh Auden

 

Fonte

http://www.pangea.news/auden-recensione-tolkien-signore-anelli/

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