Gente in Aspromonte: la Calabria di Alvaro

Gente in Aspromonte è una raccolta di racconti dello scrittore calabrese Corrado Alvaro, ed è considerata tra le più alte espressioni della letteratura meridionalistica, esempio di neorealismo novecentesco. Pubblicato per la prima volta a Firenze da Le Monnier nel 1930, è un’opera che racconta la difficile vita dei pastori in Aspromonte, nei primi del Novecento che vivono nelle case costruite di frasche e di fango,  dormono insieme agli animali e vanno in giro coi lunghi cappucci attaccati ad una mantelletta triangolare che protegge le spalle.

Gente in Aspromonte: trama, contenuti e stile

L’inizio della vicenda è un’evocazione della vita in Aspromonte, che diviene un tutt’uno con il paesaggio severo, aspro e solenne, con le precarie capanne abitate dai pastori nella stagione invernale, con i pellegrinaggi al Santuario della Madonna di Polsi e le manifestazioni popolari, con i canti accompagnati dal suono della zampogna. Segue poi l’inizio della storia con modi narrativi più spezzati, ma con lo stesso ritmo delle immagini. Protagonista di Gente in Aspromonte è la famiglia del pastore Argirò, che sogna la possibilità di riscattarsi dalla propria miseria, dalla subordinazione ai padroni delle terre e delle mandrie,  e di portare almeno uno dei figli al compimento degli studi. Argirò sottopone sé stesso alle fatiche più aspre, ma una serie di avvenimenti, dalla perdita dei buoi che aveva avuto in custodia dal padrone Mezzatesta, che cadono in un burrone, all’incendio doloso della sua stalla, gli impediscono di raggiungere i suoi obiettivi. A questo punto, il figlio Antonello, matura dentro di sé la coscienza della posizione di sottomissione della sua famiglia e della classe sociale a cui appartiene, e si ribella disperatamente alle ingiustizie che si ripetono ciclicamente: dopo aver sterminato le mandrie del padrone e distribuito la carne ai compaesani, getta il fucile e si consegna ai carabinieri e dice: «Finalmente potrò parlare con la giustizia, che ci è voluto per poterla incontrare, e dirle il fatto mio!».

Il mondo pastorale viene presentato da Alvaro attraverso la poetica trasfigurazione del ricordo di chi vive altrove, ma è nato in quella terra aspra. La rievocazione del mondo calabrese è una denuncia della vita  dei pastori, delle ingiustizie sociali e di una certa mentalità superstiziosa e chiusa di quella gente. Con Gente in Aspromonte, Corrado Alvaro non solo ha inaugurato un tema legato alla sua terra, il quale risulterà costante nella sua produzione letteraria, ma ha apportato nuova linfa alla tradizione della narrativa regionale e meridionale, quella tradizionale di Verga, Capuana, De Roberto, e Pirandello, sebbene in Alvaro vi sia una differenza: alla società meridionale senza speranza di questi autori, lo scrittore calabrese contrappone un mondo arcaico dove prevalgono l’ignoranza e la fatalità che però non sono immutabili; non a caso Alvaro riesce a cogliere di quel mondo culturalmente arretrato segni di trasformazione che infondono speranza.

Una delle pagine più belle di Gente in Aspromonte è quella in cui l’autore evoca la propria terra d’origine attraverso il ritratto di Melusina che incarna il desolato Aspromonte ignorato dalla storia e dal progresso: è una figura che sfuma nel simbolo: “Questo paese è dove è rimasta Melusina, e la sua bellezza d’una vita finita, d’una tradizione abbandonata, d’una natura spenta e inodora”. I sentimenti e i pregiudizi di Melusina, che Alvaro coglie sottilmente nel loro affiorare ancora confuso e inconsapevole, sono elementari e ancestrali: dal pittore che scruta la sua figura per ritrarla, Melusina si sente come violata e “compromessa”.

 

Corrado Alvaro, il cronista calabrese

Il nome di Corrado Alvaro (San Luca, 15 aprile 1895 – Roma, 11 giugno 1956), non compare molto spesso nei manuali scolastici e nei libri di testo e la sua notorietà è legata al suo capolavoro Gente in Aspromonte, in cui mette inaugura il cosiddetto “tema calabrese” che poi risulterà ricorrente nella sua produzione. Probabilmente ad Alvaro la cultura italiana ha preferito la tradizione della narrativa di ispirazione regionale e meridionale di Verga, Capuana, De Roberto e Pirandello, trascurando però una differenza sostanziale: alla società meridionale vista, dagli autori citati, come qualcosa di immutabile e senza speranza, dove nulla possono né la storia né gli uomini, Alvaro contrappone, forse in maniera troppo elementare, nonostante non tralasci il lirismo neorealista (aspetto questo che ha potuto giocare a  sfavore di Alvaro sull’opinione e sui giudizi della critica), un mondo arcaico tragico, fatto di ignoranza, superstizione e povertà e che però non è immutabile: è un mondo in trasformazione che può essere giudicato soltanto con gli occhi della memoria. Ma come raccontare un mondo chiuso e già di per se elementare?

Poeta, scrittore e giornalista italiano Corrado Alvaro nasce a San Luca (piccolo paese sul versante ionico calabrese ai piedi dell’Aspromonte) nel 1895. Figlio (primo di sei) di Antonio e Antonia Giampaolo; frequenta il collegio gesuita di Villa Mondragone a Frascati, studiando avidamente e iniziando a comporre le prime poesie. Qui entra in contatto con i rampolli dell’alta borghesia romana, coloro che andranno poi a costituire la futura classe dirigente italiana.
Compie gli studi liceali a Catanzaro fino al 1915, anno in cui parte per la prima guerra mondiale. Il periodo che precede la sua partenza è davvero importante per la sua formazione intellettuale. Iniziano a delinearsi i termini di quel problema meridionale dietro il quale Alvaro percepisce la frattura dell’Italia postrisorgimentale, ma che allora sente come conflitto individuale, personale di giovane studente meridionale perduto.

Nel 1916, durante la guerra, viene ferito nei pressi di San Michele del Carso e fa così ritorno a Roma iniziando a collaborare al Resto del Carlino finchè non ne diviene redattore. Nello stesso anno si trasferisce a Bologna con la sorella Maria e sposa Laura Babini. Gli anni che seguono sono molto intensi: nel 1919 si trasferisce a Milano come collaboratore del Corriere della sera e nello stesso anno consegue la laurea in Lettere all’Università di Milano. Nel 1921 diventa corrispondente a Parigi de Il Mondo di Giovanni Amendola; nel 1928 è a Berlino dove continua la sua attività di giornalista collaborando con La Stampa e L’Italia letteraria; infine nel 1925 è tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.

Nel 1930 la casa editrice Le Monnier pubblica per la prima volta un romanzo che racconta la dura vita dei pastori: Gente in Aspromonte. Raccolta di tredici racconti considerati la più alta espressione della letteratura meridionalistica, se non addirittura tra le più significative del neorealismo del Novecento. Il primo racconto non solo è ambientato in Calabria, in una delle zone più depresse (l’Aspromonte appunto) dove i pastori sottostanno alle condizione che la natura e i padroni impongono, ma è anche il racconto più lungo a cui seguono gli altri dodici considerati minori.

Il 1942 è l’anno del romanzo Il viaggio, dove lo scrittore mette in evidenza l’insofferenza per ogni soprastruttura imposta dalla civiltà industriale all’antica civiltà contadina, non minore dell’idea tormentata di uscire dalla propria terra, di emigrare verso il mondo moderno. Emerge non solo una propensione a rifugiarsi nei ricordi d’infanzia, ma anche un’aperta sollecitudine verso i problemi sociali e culturali per le sorti dell’umanità, della libertà e della giustizia.
Nel 1943 assume la direzione del Popolo di Roma, già critico teatrale dal 1940 al 1942. In seguito all’occupazione tedesca di Roma, Alvaro si rifugia a Chieti sotto il nome di Guido Giorgi e si guadagna da vivere impartendo lezioni d’inglese.
Dal 1 al 23 Marzo 1945 riesce a ricoprire un ruolo importante: direttore del giornale radio nazionale della Rai, nominato da Luigi Rusca.

Nel 1951 vince il premio Strega con Quasi una vita,  Anno questo detto della “grande cinquina” in cui figurano oltre al romanzo di Alvaro, L’orologio di Carlo Levi, Il conformista di Alberto Moravia, A cena col commendatore di Mario Soldati e Gesù, fate luce di Domenico Rea. E questo fa capire quanto fosse di  ricca, competitiva e soprattutto di qualità la compagine letteraria di quel periodo.

Alvaro, in cui convivono sia l’uomo antico che moderno, ha dimostrato di saper cogliere tutte le novità e i segni di cambiamento della sua epoca e che la società meridionale stava vivendo, giudicando severamente e al tempo stesso vivendo in maniera passionale la sua gente. Segni tangibili nell’arrivo di strade, nell’estendersi dell’istruzione, nell’emigrazione che certamente migliorarono le condizioni economiche della Calabria:

«Ora la strada cui lavorano da vent’anni sta per bruciare all’arrivo con l’ultima mina… i buoi portano dall’alta montagna i tronchi d’albero legati a una fune trascinandoli in terra senza carro… Ma per poco ancora. Come a contatto dell’aria le antiche mummie si polverizzano, si polverizzò così questa vita. È una civiltà che scompare, e su di essa non c’è da piangere, ma bisogna trarre, chi ci è nato, il maggior numero di memorie».

 

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