2 giugno, 4 libri da leggere

2 giugno 2016: in occasione della festa della Repubblica, consigliamo di scegliere tra 4 libri:

1. Autobiografia di una Repubblica. Le radici dell’Italia attuale, di Guido Crainz. L’autore si chiede come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto e quali siano le nostre radici e cerca le risposte a queste e ad altre domande non in vizi plurisecolari del paese ma nella storia concreta della Repubblica, muovendo dall’eredità del fascismo, dalla nascita della ‘repubblica dei partiti’ e dagli anni della guerra fredda. L’analisi, brillante e sintetica si sofferma soprattutto sulla ‘grande trasformazione’ che ha inizio negli anni del ‘miracolo’ e prosegue poi nei decenni successivi: con la sua forza dirompente, con le sue contraddizioni profonde, con le tensioni che innesca. In assenza di un governo reale di quella trasformazione, e nel fallimento dei progetti che tentavano di dare ad essa orientamento e regole, si delinea una ‘mutazione antropologica’ destinata a durare. Il punto di vista dell’autore è più o meno schierato: Crainz infatti guarda alla storia d’Italia “da sinistra”; tuttavia, non risparmia critiche ai partiti progressisti italiani, di cui viene messo in evidenza il lento declino a partire dalla fine degli anni ’70. Le cause sono da ricercare nell’ incapacità del PCI di interpretare i cambiamenti in corso, e il suo preferire la ricerca di equilibri formali tra partiti al lavoro sui contenuti della propria proposta; vizi che la sinistra italiana si è portata dietro fino ad oggi.

2.Viva il Re! Giorgio Napolitano, Il presidente che trovò una Repubblica e ne fece una monarchia, di Marco Travaglio‘Quella che state per leggere non è una biografia. Ce ne sono già fin troppe, una se l’è addirittura scritta lui. Questo è ciò che manca nelle altre. La controstoria del primo presidente della Repubblica che ha concesso il bis, contro lo spirito della Costituzione e contro tutto quello che aveva giurato fino al giorno prima della sua rielezione. Alla veneranda età di ottantotto anni: quando un cittadino non può più guidare l’automobile. Ma lo Stato sì… Qui si racconta il suo lato B, finora – salvo rare eccezioni – ignorato o relegato nel dimenticatoio, alla voce ‘lesa maestà’. Di cose che non vanno, nella sua carriera e soprattutto nei suoi sette anni e mezzo al Quirinale, ma anche prima, ce ne sono parecchie: pensieri, parole, opere e omissioni. In un altro paese, un paese davvero democratico, se ne discuterebbe liberamente e laicamente. In Italia è come se fosse vietato. Tabù. Non lo è (ancora) per legge: lo è nei fatti’. Stile coinvolgente e maniacale capacità di documentare tutto dell’autocompiaciuto giornalista, questo saggio offre uno spaccato chiaro delle vicende politiche dell’Italia sotto la presidenza di Giorgio Napolitano, con un approfondimento sull’ultima fase: dal coinvolgimento nella Trattativa Stato- Mafia al tragi-comico periodo post-elettorale, con l’ammucchiata PD-PDL, dove il Presidente decise di rimanere al Colle.

3.Il Memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigonia e l’anatomia del potere italiano, di Miguel Gotor – Scritto e riscritto a mano dal prigioniero, fotocopiato e battuto a macchina dai brigatisti, il memoriale che Aldo Moro produsse durante il suo rapimento per rispondere agli interrogatori delle BR è stato al centro di una rete di delitti, ricatti, conflitti tra poteri legittimi e non, che ha coinvolto alcuni tra i protagonisti della storia repubblicana e molti dei suoi snodi più inquietanti: dal generale Dalla Chiesa ad Andreotti, da Gladio alla P2, dai servizi segreti alla banda della Magliana, dall’omicidio del giornalista Pecorelli ai brigatisti Moretti, Gallinari, Senzani e Fenzi. Un libro imperdibile per chi è interessato alle vicende degli anni di piombo e che configura dettagliatamente un profilo della storia repubblicana, con le sue molte ombre.

4.La Repubblica di Barbapapà. Storia irriverente di un potere invisibile, di Giampaolo Pansa‘Barbapapà è il soprannome che la redazione di ‘Repubblica’ aveva dato a Eugenio Scalfari, il fondatore e il primo direttore. Ho lavorato accanto a lui per quattordici anni, più altri diciassette all’Espresso’. E oggi qualche amico mi domanda sorpreso: Perché hai voluto scrivere da canaglia la storia del trionfo di Barbapapà e di quanto è accaduto dopo?. Rispondo che l’ho fatto per non sottostare alla regola plumbea che tutela i grandi giornali. Fortezze sempre ben difese, capaci di incutere un timore riverenziale che induce a cautele cortigiane e narrazioni felpate’. Il libro di Pansa si basa su ricordi personali e tende a passare bruscamente da un periodo all’altro rischiando di ingenerare confusione nel lettore.Tuttavia rimane una lettura abbastanza scorrevole e a tratti commovente (soprattutto in riferimento alle pagine dedicate alla morte di Walter Tobagi), che non non tralascia l’analisi psicologica.

 

Fonte: http://libreriamo.it/libri/2-giugno-ecco-5-libri-che-raccontano-la-storia-della-repubblica-italiana/

 

Giampaolo Pansa e la retorica del 25 aprile

Anche quest’anno assistiamo al dilagante conformismo celebrativo in atto in quest’altro 25 aprile. Tutta la sinistra si autocelebra: quella comunista di ieri, quella radical-chic, quella acchiappatutto di Renzi che comprende al suo interno tutto e il suo contrario. Tredici anni fa ne Il sangue dei vinti, Giampaolo Pansa indagava nelle pieghe di episodi e circostanze che videro migliaia di italiani vittime delle persecuzioni e delle vendette di partigiani e antifascisti. Un libro che dovrebbe indurre tutti gli ostinato con i paraocchi, prigionieri della loro ideologia ad aprire gli occhi e a riflettere su quanto davvero accaduto durante la Resistenza. Pansa ha avuto il grande merito, partendo da I figli dell’Aquila per poi proseguire con Il sague dei vinti, La grande bugia e Sconosciuto 1945, di sgretolare un tabù aprendo una porta serrata dalla falsa storia, fornendo preziose testimonianze.

Di seguito riproponiamo un’intervista rilasciata il 25 aprile dell’anno scorso da Giampaolo Pansa al giornalista Aldo di Lello per conto della testata giornalista Il Secolo d’Italia, ma che risulta più che mai attuale, visto lo stato di stagnazione culturale e la marea di retorica stantia in cui ci ritroviamo:

Giampaolo Pansa contro Laura Boldrini e la retorica antifascista

Dice Giampaolo Pansa: “La Boldrini? Dovrebbe andare a ripetizione di storia”.

Allora Pansa, non ritieni che il clima di questo settantesimo anniversario del 25 aprile sia caratterizzato da un sorta di passo indietro rispetto alle aperture e alle ammissioni di qualche anno fa? Penso a Mattarella, che non vuol sentir parlare di “ragioni” dei “ragazzi di Salò”, a differenza di quanto a suo tempo affermò Luciano Violante e di quanto, più recentemente, ha ammesso Napolitano. Penso soprattutto alla Boldrini, che giorni fa, in televisione, è arrivata a negare l’esistenza di una guerra civile. Per la presidente della Camera bisognerebbe solo parlare di «lotta di liberazione». Un vero e proprio ritorno al passato. Non ti pare?

Non voglio polemizzate con Mattarella: è una persona che stimo. È il Capo dello Stato e mi rappresenta. Della Boldrini penso invece che dovrebbe essere mandata al doposcuola, perché dimostra di non conoscere la storia italiana. Non può parlare in quel modo. L’estrema semplificazione della sua non conoscenza c’è stata quando ha fatto intonare “Bella ciao” alla Camera:  non è mai stata una canzone partigiana. I partigiani cantavano Fischia il vento. Ha fatto uno spettacolo da teatrino dell’oratorio rosso.

Che differenza noti tra il tempo in cui uscì Il sangue dei vinti e oggi?

Il sangue dei vinti uscì nel 2003 ed ebbe subito un successo pazzesco. Dopo pochi mesi aveva già venduto duecentomila copie. E l’interesse è continuato  negli anni successivi, fino alla vendita di un milione di volumi.  Fui bersagliato in tutti i modi. Me ne dissero di tutti i colori. E si trattava spesso di accuse ridicole e grottesche. Ci fu anche chi, ad esempio,  disse che volevo fare un regalo a Berlusconi per farmi nominare direttore del Corriere della Sera. Non c’è dubbio che era un’Italia faziosa. Oggi abbiamo una faziosità nascosta, che non si esprime. Siamo alle prese con una crisi economica che, nonostante quello che dice Renzi, non è affatto risolta. E poi c’è l’enorme dramma delle migrazioni e degli sbarchi. L’Italia è come un malato che non si è ancora alzato dal letto per la paura di muoversi. Rispetto ad allora, l’Italia è più addormentata. Ed è su questa Italia che si è abbattuto lo tsunami di retorica per il settantesimo anniversario del 25 aprile.

Non ritieni che, in questa Italia addormentata, il conformismo attecchisca più facilmente?

Ti rispondo con un esempio tratto dai miei ricordi d’infanzia. A quel tempo, avrò avuto otto o nove anni, i miei genitori mi facevano preparare il ‘prete’. Sai che cos’è?

Ahimé sì, non sono più tanto giovane: il “prete” serviva a scaldare il letto prima di andare a dormire.

Esatto. Era un vaso di coccio con dentro la brace. Bisognava stare attenti a non mettercene troppa, altrimenti si rischiava di bruciare le lenzuola. Occorreva quindi ricoprire la brace con uno strato di cenere. Ecco, diciamo che l’Italia di oggi è come quel vaso di coccio. Sotto lo strato, non direi neanche del conformismo e della pigrizia ma di una sorta di assenteismo, cova la brace.

Chiarissimo. Per tornare a quello che successe in Italia tra il 1943 e il 1945, nell’articolo su Libero scrivi che in realtà l’Italia non fu liberata dai partigiani, ma dalle truppe alleate. Le vestali dell’ortodossia resistenziale hanno sempre detto che le formazioni partigiane costrinsero comunque i tedeschi a impiegare truppe per combatterle e quindi a sottrarre reparti dal fronte bellico. Tale circostanza dimostrerebbe il contributo militare dei partigiani, seppure indiretto. Che ne pensi?

Si tratta di un argomento privo di senso. Che i partigiani abbiano dato fastidio ai tedeschi mi sembra il minimo. Però dobbiamo ricordare che il movimento resistenziale si sviluppa e prende consistenza tra il ’44 e il ’45, quando la guerra è già persa per i tedeschi. I soldati della Wehrmacht, in quella fase finale, erano scoraggiati e non avevano più voglia di combattere: se ad esempio tornavano a casa per una licenza, trovavano solo rovine e città sotto i bombardamenti. Un simile argomento può servire solo all’Anpi. E poi va considerato che, se non ci fosse stato il movimento partigiano, non ci sarebbero stati gli eccidi per rappresaglia. Emblematico il caso dell’attentato di via Rasella, cui seguì la strage delle Fosse Ardeatine. Non c’era alcuna necessità di compiere quell’attentato, visto che gli americani erano a due passi da Roma. L’azione di via Rasella fu dettata solo da motivi politici: i comunisti romani intesero dare un segnale forte perché erano accusati di attendismo.

In conclusione, Pansa, che cosa fu la Resistenza?

Non fu un movimento popolare. Fu un fenomeno ristretto a una minoranza che decise di prendere le armi. L’intera guerra civile fu una guerra combattuta tra due minoranze.

 

Fonte: Il Secolo d’Italia, 25 aprile 2015. http://www.secoloditalia.it/2015/04/pansa-boldrini-dovrebbe-andare-doposcuola-non-conosce-storia/

 

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