Gian Pietro Lucini, nel suo Ragion poetica e programma del verso libero. Grammatica, ricordi e confidenze per servire alla storia delle lettere contemporanee del 1908, dedica qualche pagina ad un poeta suo contemporaneo, tanto sconosciuto al tempo quanto oggi. Il suo nome è Agostino John Sinadino, per quanto i suoi scritti compaiano firmati anche come Agostino Giovanni Sinadinò e Agostino John Sinadinò.
Lucini, nelle sue pagine, ne stende una biografia alquanto romanzata e ne elogia il lavoro in versi, indicandolo come uno degli esempi più felici di libertà e rinnovamento dei canoni stilistici. Queste pagine luciniane sono state per lungo tempo una delle poche tracce del passaggio di Sinadino su questa terra. Si tratta, infatti, di un personaggio sfuggente, la cui opera risulta introvabile sin dalle prime copie, di cui mancano, salvo un caso, ristampe dalle prime edizioni.
Tutto ciò ha contribuito ad adombrare enormemente la fama del poeta, tanto che ancora oggi è sconosciuto non tanto alla massa dei lettori di cultura media, ma anche a una vasta fetta di “addetti ai lavori”. Certo, il mondo della letteratura straripa di poeti dimenticati dalla storia, vuoi per inconsistenza dei versi, vuoi perché troppo legati alle contingenze in cui scrivevano.
Non tutti i tentativi di recupero aggiungono qualcosa al panorama globale della storia della letteratura, rischiando di diventare semplici esercizi di erudizione. Quello di Sinadino, però, è un caso assai particolare, controverso, che merita almeno un poco della nostra attenzione.
Nato al Cairo il 15 febbraio del 1876, Agostino è figlio di un importante banchiere greco, Ioannis Constantin Sinadino, e di una musicista italiana, Carolina Casati. Ioannis era una personalità molto importante nel mondo della finanza, tanto da intrattenere rapporti lavorativi e di amicizia con la famiglia reale d’Egitto.
Per questo, Agostino riceve la sua formazione culturale ad Alessandria d’Egitto, esattamente come altri grandi della letteratura novecentesca nostrana (Marinetti, Ungaretti e Pea). Sin da subito, però, è abituato a viaggiare: Agostino vive la sua giovinezza spostandosi continuamente dall’Egitto all’Italia, con sparute tappe in Grecia, seguendo gli interessi del padre e le esigenze familiari. Questo continuo viaggiare, la formazione ricevuta in una città come Alessandria e la famiglia particolare fanno sì che Agostino riceva una formazione estremamente cosmopolita, testimoniata anche dalle lingue da lui conosciute: oltre all’italiano e il greco, Sinadino parla fluentemente pure il francese e l’inglese, le lingue più diffuse in quel momento in Europa – la prima nel mondo culturale, la seconda nel mondo commerciale, per quanto fosse già da tempo di moda tra gli intellettuali.
Alla morte del padre, avvenuta nel 1890, Agostino si aggiunge, in suo onore, il secondo nome “John”, usando l’inglese, probabilmente, in onore della già citata moda anglofona del tempo. A seguito del tragico evento, la famiglia si stabilisce definitivamente a Milano, luogo di origine della madre, ma Agostino non vuole proprio saperne di mettere radici: nel 1895 torna ad Alessandria, dove si lega ad associazioni culturali del luogo; negli anni successivi, sarà un continuo spostarsi tra Alessandria d’Egitto, Milano e Lugano.
È questo anche un periodo di particolare fervore creativo: nel 1898 pubblica la sua prima silloge ad Alessandria, ovvero Le presenze invisibili, due anni più tardi, La donna dagli specchi a Milano e pure Melodie a Lugano. Sempre a Lugano, nel 1901, Sinadino pubblica il poema intitolato Solennità: La festa. Su quest’ultima opera, è necessario soffermarsi, anche per fornire una panoramica generale dello stile e della poetica di Sinadino.
La festa è considerata dai pochi studiosi di Sinadino l’opera più importante, nonché quella su cui si è creata la “leggenda” di Sinadino. Stampata in cento copie numerate, in carta di lusso (esattamente come tutte le opere di Sinadino), distribuita a pochi “meritevoli” – tra i quali probabilmente Lucini – La festa divenne introvabile già pochi mesi dopo la sua stampa.
Per lunghissimo tempo, l’unica prova dell’esistenza di questo poema ha risieduto nelle note del già citato saggio di Lucini; nei rari ambienti di studio dedicati a Sinadino, La festa, che avrebbe dovuto costituire un esempio importante di sperimentalismo stilistico e linguistico pre-futurista, divenne quasi un oggetto mitologico; qualcuno cominciò pure a sospettare che si trattasse di un’invenzione dello stesso Lucini. Questo, almeno, fin quando nel 2001 – ovvero un secolo esatto dalla sua data di pubblicazione – non è stata recuperata una delle cento copie della Festa.
Sotto l’influenza dell’ultimo Mallarmé, Sinadino crea un poema altamente sperimentale, dove le norme tipografiche – ovvero l’uso di caratteri uniformi, dell’uso uniforme dell’inchiostro nero -, le divisioni tra generi letterari – ovvero tra prosa e poesia – decadono completamente, lasciando piena libertà creativa all’esteta massimo, il poeta. Non è un caso che tutto il prodotto sia riconducibile a Sinadino: non solo il contenuto, ma tutto il volume. È sempre Sinadino, infatti, a scegliere il tipo e il formato della carta, le miscele e il colore degli inchiostri, il tipo di rilegatura, come se tutti questi dettagli fossero parte integrante della sua opera. D’altronde, il poema inizia proprio coi seguenti versi:
«Ogni aspetto della vita – geometricamente – concorre ad una sola Forma, solenne essenziale immutabile:
il libro
Lì dòrmono, inclusi, genitàbili, i germi;
Pane pàlpita, il
Fuoco
la Teogonìa;
le diamantine leggi e la mutévole materia del Mondo: assunte.»
Il libro, dunque, diventa parte integrante di un enorme processo creativo che cerca di inglobare tutta la vita. Di più, il libro diventa strumento per ordinare e cristallizzare «ogni aspetto della vita» in una forma specifica, vitale, fiammeggiante e totale a tal punto da “assumere” in sé tanto le «diamantine leggi» quanto la «mutévole materia».
Con questo, dunque, si spiega l’uso abituale di Sinadino, non solo con questo poema, di pubblicare i suoi lavori in poche copie numerate, in edizioni estremamente curate e lussuose da lui curate sin nei minimi dettagli, fuori dai circuiti delle case editrici del tempo.