‘Marcel ritrovato’, il romanzo di Giuliano Gramigna rieditato da Il ramo e la foglia

A differenza di molti suoi coetanei anche illustri, Giuliano Gramigna è riuscito, in lunghi anni di attività letteraria, a dosare le proprie energie intellettuali tra i campi limitrofi della narrativa, della poesia, della saggistica e dell’intervento critico giornalistico. Quella di Gramigna è stata una presenza totale che avrebbe meritato ben altra visibilità, pur considerando la sua naturale ed elegante discrezione. Per Andrea Zanzotto, l’understatement di Gramigna era “pari alla tenacia, all’intensità, all’irrinunciabilità del suo intervenire, creativo o critico, che fosse”.
Appassionato declinatore del mito di Proust, Gramigna ha adempiuto al compito cui è chiamato l’artista: avvistare e ghermire i frammenti della totalità perduta, le particole di un testo non più leggibile, costituendo tra le personalità di maggior rilievo, all’inseguimento di fantasmi letterari ed esistenziali.
Per Il ramo e la foglia edizioni è stato appena riedito Marcel ritrovato, terzo romanzo di Giuliano Gramigna, con una nota critica di Ezio Sinigaglia.
Marcel ritrovato, pubblicato da Rizzoli nel 1969, è stato il terzo romanzo di Giuliano Gramigna, per il quale ricevette, nello stesso anno, il Premio Selezione Campiello e il Premio Campione d’Italia.
Marcel ritrovato è considerato il romanzo più bello di Giuliano Gramigna. Attraverso una raffinata struttura meta-narrativa, l’autore sviluppa un’ampia riflessione sulla scrittura letteraria (e sul senso ultimo del “fare il romanzo”), intrecciandola a una storia d’amore che si snoda tra Milano e Parigi: Bruno, scrittore dilettante, afflitto da una nevrosi di cui è pienamente cosciente, riceve dall’amata Roberta una strana richiesta: andare a Parigi alla ricerca del marito scomparso. Riuscirà il nostro eroe a trovare Marcello? Che china prenderà questa singolare inchiesta?
Di particolare interesse è il fatto che, nel corso della narrazione, l’autore confessi via via – grazie ad accorgimenti para-testuali e grafici di grande originalità – di non riuscire a restare fuori dalla materia narrata, cosicché la distanza di sicurezza dal protagonista finirà col venir meno; tanto che si assisterà spesso, nella scrittura, a slittamenti dalla terza persona alla prima.
Il filo meta-narrativo s’intreccia dunque alla storia principale, facendo emergere gradualmente il problema dello statuto dei personaggi come altrettante proiezioni dell’autore, quasi fossero controfigure sorvegliate a vista dal suo occhio egemone. Ma non manca mai l’elemento ironico, che in qualche modo mitiga, anche al lettore, la sofferenza spesso causata dai ricordi del protagonista-autore.
L’inchiesta sul reale, da decifrare attraverso la scrittura, assolve una funzione terapeutica e liberatoria, propizia le fughe nell’ignoto, spinge i doppi (il Marcello/Marcel di Gramigna per l’appunto) a far perdere le proprie tracce nel reticolo della topografia di Parigi, città «infestata» da larve letterarie e ricorsi proustiani. L’asse Milano-Parigi è quindi il risultato del convergere di sensibilità e influenze (Manzoni in strana alleanza con Proust) e insieme l’esito di una sotterranea conflittualità, di un’alternativa tra costrizione e libertà, tra eredità paterna e insofferenza al «peso di Anchise», infine tra il cedimento alle prosaiche abitudini della borghesia meneghina e la ribelle consacrazione all’assoluto dell’arte.
Il lento ma tenace sedimentarsi in terra lombarda di una tradizione di lettura e rimeditazione della Recherche testimonia una declinazione originale del proustismo, estranea da un lato ai tic e alle riproposizioni convenzionali, dall’altro assai lontana dalla linea portante del proustismo di matrice fiorentina: questa tendenza sviluppatasi in Toscana, che del proustismo costituisce la versione più nobile e indagata, riequilibra e ridefinisce i termini dell’esempio dello scrittore francese focalizzandone gli esiti sulla letteratura di memoria e sul romanzo di formazione.
Con Marcel ritrovato Gramigna ribadisce la sua radicale repulsione per ogni tipo di impressionismo nella lettura dei testi e nel giudizio che ne viene ricavato, accompagnata dalla consapevolezza teorica elaborata soprattutto negli anni ottanta e la progressiva messa a punto di molteplici strumenti critici utilizzati con rigore, senza posizioni pregiudiziali né facili ecumenismi, ma creando spesso passaggi ed incroci imprevedibili grazie ad una memoria letteraria fuori dal comune, non trascurando l’elemento psicoanalitico.
L’esigenza del quotidiano che finisce per sposarsi con la naturale voracità del critico è evidente in Marcel ritrovato, unita ad un vitale e reale desiderio di comprensione del grande scrittore francese.
«È stupido fare la commedia con te Bruno: lo sai quello che è capitato con Marcello, cioè che non abbiamo più notizie da Parigi, e anche tutte le chiacchiere che si sono fatte, figurati! se te ne hanno risparmiata una. Lascia andare, non importa. Sono sicura che c’è una buona ragione della scomparsa di Marcello, non penso al peggio ma può darsi che abbia bisogno di qualcuno che gli sia amico, che l’aiuti. Me non vogliono lasciarmi andare, […], se qualcuno andasse a Parigi a vedere mi metterei tranquilla.»

Giuliano Gramigna, tra ermetismo e sperimentalismo

Dopo aver studiato giurisprudenza a Milano, lo scrittore e critico letterario Giuliano Gramigna (Bologna, 1920 – Milano, 2006), esordisce come redattore sul periodico milanese <<Tempo>> per poi approdare al periodico <<Settimo Giorno>> e al quotidiano <<Corriere d’Informazione>>. Nel 1952 si trasferisce al <<Corriere della Sera>> collaborando alle pagine culturali.

Il suo primo lavoro letterario è Taccuino (1948), richiamandosi alle tematiche e allo stile dell’ermetismo, ha tradotto autori francesi come Alain-Fournier e Charles-Louis Philippe, e curato e introdotto opere di vari autori. Nei suoi romanzi è andato via via delineandosi un certo gusto per lo sperimentalismo, dal romanzo d’esordio Un destino inutile (1958) ai successivi L’eterna moglie (1963), vicino alle tematiche dell’école du régard, Marcel ritrovato (1969), L’empio Enea (1972), sino a Il gran trucco (1975). Di grande interesse anche la sua produzione poetica: La pazienza (1959), Il terzo incluso (1971), Es-o-Es (1980), La festa del centenario (1989) e L’annata dei poeti morti (1998).

Vale la pena rivolgere l’attenzione sul romanzo di esordio di Giuliano Gramigna, Un destino inutile che lascia pensare a quanto l’esperienza di Proust sia stata determinante per lo scrittore bolognese, incidendo profondamente sulla sua educazione dei sentimenti. Si parla di affinità elettive ovviamente, non certo di imitazione; il romanzo si apre con un preambolo esterno alla vicenda in cui si apprende, tramite un cappellano militare, che Giovanni G. è morto prigioniero in Algeria alla fine dell’ultima guerra. Il sacerdote venuto apposta a Milano per cercare i familiari e consegnare loro le cose lasciate da Giovanni, spinto dall’impulso di indiscrezione suscitato da incontri con amici del defunto, si mette a leggere dei suoi “quaderni” dove Giovanni ha raccontato la sua vita. Il romanzo si svolge in parte a ritroso e comincia quando nasce una prima crisi nel matrimonio tra Giovanni e sua moglie Sandra.

Si chiarisce subito che questo non è un romanzo di fatti, ma di atmosfere e vicende interiori, di analisi, di introspezioni, si tratta dunque di un romanzo psicologico, di una psicologia variegata e sottilissima, dove l’analisi dei moti del cuore è dominata da una lucidità introspettiva che non cede nemmeno nei punti di maggiore tensione sentimentale.

Gli amici giudicano Giovanni un uomo complicato, un ipocrita, un egoista. Giovanni in realtà è un masochista morale (si pensi ad esempio al ricordo dell’episodio del gatto frustato quando era bambino, alle gelosie per Sandra e per gli amici, alla sua morbosa ricerca di una intonazione interiore tra se stesso e il paesaggio circostante; e in fondo il paesaggio stesso è uno stato d’animo. E si pensi anche, entrando in una zona più segreta, a quella ricerca del passato di Sandra collegata alla disperata impossibilità di fermare il tempo, isolandone al di là del suo scorrere i momenti puri del cuore, in cui sembra che debba adombrarsi per Giovanni la felicità). Ma come si comporta Sandra? La donna di fronte a tutto questo si rivela semplice, di scarsa vita interiore; per questo motivo il distacco risultano interni a questo conflitto elementare.

Verso la fine del romanzo si avverte una certa lentezza d’analisi, quando il protagonista torna su alcuni temi morali già trattati. Tuttavia le qualità positive di Un destino inutile risiedono dove memoria e paesaggio si intrecciano in un tessuto di trama sottile e dove l’attenzione psicologica e descrittiva si fondono nella misura di un linguaggio aderente alla complessa natura del personaggio. Un romanzo vivo, dunque, da riscoprire.

Tra i suoi scritti di critica letteraria si ricordano: Interventi sulla narrativa italiana contemporanea (1973-1975), La menzogna del romanzo (1980) e Le forme del desiderio: il linguaggio poetico alla prova della psicoanalisi (1986).

Dagli anni cinquanta fino all’alba del nuovo millennio, Giuliano Gramigna è stato uno dei critici militanti più acuti del nostro dopoguerra, amato e temuto dagli scrittori, ha saputo interpretare i nuovi fermenti del secondo Novecento, dallo strutturalismo alla psicoanalisi, ma nonostante ciò, il suo nome è spesso trascurato dalle storie più aggiornate della critica.

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