Dal maggioritario al proporzionale: l’intesa tramontata sulla nuova legge elettorale

Pur non riuscendo a realizzare l’accordo sulla legge elettorale, il modo in cui tale accordo era stato possibile getta luce sui suoi protagonisti, è dunque interessante analizzare i motivi profondi che hanno spinto tutti a mettersi d’accordo sulla legge proporzionale.
Nessuno vuole il proporzionale, quindi? Quindi lo fanno. L’unico accordo fattibile, si potrebbe logicamente pensare, è escludere fin dal principio il proporzionale. Le dinamiche sottese a questo cambio di rotta permettono di far vedere se una classe dirigente sia o no Politica.

In sintesi cos’è il proporzionale concettualmente: esso prevede che in base ai voti che prendi, si ha proporzionalmente un numero di rappresentanti in Parlamento. Ottimo, detto così è democrazia pura, salvo poi avere magari tutti partiti, ipotesi, al 30%, così nessuno vince, tanto da avere la maggioranza del 50 più 1 per cento e governare. Che fare? Il maggioritario, che prevede un premio di governabilità, fa diventare maggioritario colui che vince e/o supera una certa soglia, dandogli cioè un sovrappiù di parlamentari per raggiungere la maggioranza e governare, altrimenti si potrebbe rivotare di nuovo, ma se il risultato non dovesse cambiare, si ritornerebbe al caos, quindi di nuovo al voto, quindi di nuovo al caos etc… Per il maggioritario la governabilità vale quanto e più della rappresentatività, perché il contrario, il caos, è più pericoloso di un premio aggiuntivo.

Tutto inizia con la fine della Prima Repubblica (dove c’era il proporzionale) e il referendum in cui la stragrande maggioranza degli italiani vota per un sistema maggioritario. Così si formano due poli, centro destra e centro sinistra, si alternano, e questa alternanza maggioritaria, seppur limitata dai ricatti dei piccoli partiti, era uno dei pochissimi e invisibili lasciti positivi del berlusconismo. Ecco il nostro prima attore, Berlusconi e Forza Italia, da sempre schierati per il maggioritario e da esso a loro volta supportati. Quando però iniziano a perdere consensi (più del 50%!), allora, sapendo di non vincere, Berlusconi, un idealista maggioritario, inizia a dire che vuole il proporzionale. Cioè poiché non vince lui, allora non vuole vinca nessuno, per diventare poi fondamentale per offrire i proprio voti al più potente non vincitore e fare insieme un governo (larghe intese). Non c’è male per uno dei fondatori del maggioritario in Italia. Va anche detto, a favore dell’azione di Berlusconi, che qualora rinunciasse ad essere lui l’ago della bilancia, lascerebbe nel suo campo un vuoto politico colmabile da attori potenzialmente peggiori. Sopravvivere può dunque non essere solo egoismo politico, ma avere un effetto, forse non voluto ma positivo, di riaggregazione futura e moderata del centro-destra.

Renzi e il PD. Renzi, lo ricordiamo tutti, fa approvare l’italicum, probabilmente la legge elettorale più marcatamente maggioritaria che la Repubblica italiana abbia mai avuto, tanto da farsi accusare di autoritarismo implicito etc… Lui conferma questa impostazione dicendo che non avrebbe mai fatto il leader di un governo destinato a stare a galla, perché senza vera maggioranza non sarebbe stato possibile riformare il Paese. Ora il proporzionale con i tre poli attuali al 30% porterebbe proprio a questo. Ma lui si è accorto che non è in grado di ottenere la maggioranza, non lo era più neppure con l’italicum, ormai comunque parzialmente bocciato dalla corte costituzionale, non lo è sicuramente ora, dove i successi del suo governo sono, a livello costituzionale ed economico, approssimativi, momentanei, superflui, forse neppure effettivi. Ora, visto che non può vincere, ma non se ne vuole andare, preferisce comunque rimanere a galla che sparire, preferisce rinnegare il maggioritario, e fare di tutto per essere uno degli attori della futura ingovernabilità, piuttosto che andarsene dignitosamente, dopo essere stati sconfitti lui e la sua (evidentemente falsa) volontà maggioritaria. Se non può far parte dell’ordine vuole far parte del caos, in un nuova declinazione dell’importante è partecipare, proprio da chi sembrava non voler far altro che vincere. Anche per Renzi va dato atto che un tentativo maggioritario, seppur scomposto, discutibile e bocciato, è stato cercato, e che nel suo eccessivo leaderismo, ha però confermato una certa vocazione maggioritaria. Non è escluso che possa in futuro ritentare la strada di un maggioritario, accettando per ora il gioco proporzionale, perché impossibilitato a imporre il maggioritario.

Come ultimo partito del vecchio sistema troviamo la Lega, la vecchia maggioritaria Lega. Salvini, suo leader, esperto di complessità, di fronte al problema del futuro probabilissimo caos con il proporzionale, invece di cercare di spingere per il maggioritario, ha detto di accettare qualsiasi cosa pur di andare a votare. Convinto che gli italiani apprezzino le risposte semplici (semplicistiche) e chiare rispetto ai problemi. Da un lato questa determinazione può dargli l’immagine di una determinazione e un orientamento al risultato che non pochi italiani potrebbero apprezzare, ma è anche vero che se dietro tale semplicità, non ci fosse la chiarezza ma piuttosto l’assenza di una visione complessa, il problema tornerebbe nel momento in cui dovesse governare. E’ pur vero che Salvini è il più piccolo degli attori parlamentari per ora in gioco, sa di non poter influire su quale sistema varare, ma solo assecondarlo, quale che sia, e velocizzare il voto. E’ una strategia, forse pragmatica, forse miope. Si deve attendere per capire.

Si arriva ora al Movimento 5 stelle. Non si deve pensare ai 5 stelle del 2013-15 per capire cosa vogliono dalla legge elettorale. Bisogna pensare ai 5 stelle dopo la vittoria di Virginia Raggi come sindaco di Roma. A prescindere dai meriti e/o demeriti effettivi di questa giunta, è emerso tuttavia ai leader dei 5 stelle la consapevolezza che una maggiore preparazione in vista di un possibile futuro loro governo nazionale sarebbe necessaria. Certo hanno, soprattutto la base, un’idea della rappresentanza che si sposa molto meglio con il proporzionale che con il maggioritario, ma alla luce di quanto appena detto, è anche vero che la possibilità di non vincere li aiuterebbe ad avere altri anni a disposizione per formarsi come forza di governo preparata e sicura di sé. Poco credibile appare la formula d’emergenza da loro proposta: il governo di minoranza parlamentare. Per definizione un governo non è della minoranza, perché per governare gli serve la maggioranza, così, ammesso che riescano a vararlo in Parlamento (dove avrebbero solo la minoranza dei voti per la fiducia) su ogni legge dovrebbero chiedere il voto a qualcuno (ma loro non li chiedono) e per averli dovrebbero trattare (ma loro non trattano) e scambiare qualcosa nella scrittura delle leggi, perché coloro a cui si chiedono i voti vorranno giustamente partecipare alla stesura (ma loro non scambiano). E’ chiaramente emerso un problema di selezione della loro classe dirigente. Tra loro sono infatti emersi, grazie ad un sistema piuttosto precario, sia leader capaci che pessimi, ma è un difetto che una forza di governo deve limitare al massimo. La selezione è la base della futura azione di chi sarà selezionato. Per ora il rischio è di sprecare le intenzioni e le energie positive con leader che forse non sanno esprimerle. E’ tuttavia vero che il movimento è forte, al contrario degli altri partiti, a prescindere dai suoi leader, escluso Grillo, ma per l’idea di innovazione che è riuscito a trasmettere.

Questa è la nostra classe politica, che non ha classe, non è Politica, ma purtroppo sì, è la nostra. Nostra vuol dire che viene da noi, fa parte di noi, e finché gli italiani saranno quello che saranno, lo sarà anche la classe politica e viceversa. Non è un circolo irreversibile, ma è il circolo che c’è ora.

Il patto del Nazareno non si fa più

Ricomincia il Calvario pre-elettorale. Nuove dinamiche politiche in vista per le prossime elezioni che potranno svolgersi in un arco di tempo che va dal prossimo settembre alla scadenza naturale dell’attuale mandato. Saltano le trattative Renzi-Berlusconi. Il primo trova una quadra con il M5S per la nuova legge elettorale, mentre il secondo prova a richiamare a sé Salvini (e i suoi preziosi voti), che però si mostra tuttora refrattario.

Movimento 5 stelle. L’inesperienza e il sistema sono giustificazioni?

Il Movimento 5 stelle non è riuscito a cambiare l’alleanza al Parlamento europeo: voleva passare dall’alleanza con lo UKIP, United kingdom indipendent party, di Nigel Farage dentro il gruppo EFDD, Europe of freedom and direct democracy (anti-europeisti), all’ALDE, Alleanza dei democratici e liberali per l’Europa, di Guy Verhofstadt (europeisti). L’ALDE, tramite il suo leader, ha rifiutato l’alleanza. Alessandro di Battista, uno dei leader del direttorio del Movimento 5 stelle, ha reagito affermando, o meglio riaffermando, poiché lo dice ad ogni smacco, che è colpa del sistema che non ha voluto i 5 stelle. Tale presa di posizione non è però più giustificabile a gennaio 2017.

Prima di un commento politico, si possono citare alcuni detti popolari a cui fare appello e che anche semplici persone di buon senso – non serve essere politici – avrebbero potuto tenere presenti, per evitare il fallimento dell’alleanza con l’ALDE, cioè “non dire gatto se non l’hai nel sacco”, oppure “non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso”. Questi detti aiutano a sottolineare che rigettare l’alleanza con l’EFDD prima di avere un accordo di ferro con l’ALDE è di un’ingenuità tale, che neppure un lavoratore qualsiasi avrebbe commesso: non si lascia un lavoro, senza averne prima un altro già firmato, figuriamoci se un errore del genere può commetterlo un politico. La politica è un’arte in cui la scaltrezza e la diffidenza, può non piacere, ma fanno parte del gioco, proprio perché gli attori in campo rispondono e perseguono interessi diversi.

Come secondo motivo non si può predicare la trasparenza e poi svegliarsi la mattina e, senza aver mai intavolato una discussione sulla nuova strategia europea, lanciare la proposta di un cambio totale (passare dagli antieuropeisti agli europeisti) e indire immediatamente una consultazione per ratificarla, senzache chi all’interno del movimento fosse stato contrario, avesse avuto la possibilità di esprimere le ragioni opposte a quelle di Beppe Grillo, e solo poi mettere ai voti. Quello che i 5 stelle giustamente predicano, la trasparenza, pare essere dunque la prima cosa che razzolano male, perché in democrazia il solo fatto di votare non esaurisce il campo della libertà: prima ancora del voto, è il confronto su ciò che si vota a dare quella consapevolezza ai votanti, che è il vero vento che spinge il voto verso il compimento della libertà democratica.

Altro motivo è che, probabilmente con realismo, i 5 stelle giudicano le categorie destra e sinistra ormai non più utilizzabili: esiste ormai il sistema e l’anti-sistema, l’establishment e l’anti-establishment, europeisti ed anti-europeisti, ma allora fare finta che anche le nuove categorie non esistano, dopo averle assecondate e averci costruito il proprio consenso è di nuovo un errore grave. Come ci si può alleare con gli anti-europeisti e poi cercare all’improvviso l’alleanza con uno dei gruppi storicamente più europeisti del Parlamento europeo? A Grillo potranno non importare le categorie e i valori politici, ma solo i singoli obiettivi di volta in volta perseguibili, ma se agli altri a cui si vuole unire invece quelle categorie importano, ne avrebbe dovuto tenere conto. Non farlo significa pensare di comandare in un mondo di stupidi, purtroppo chi in politica ragiona così, scopre poi che i presunti stupidi ti sconfiggono con un semplice no.

Ancora, come è possibile fare un errore del genere dopo due anni e mezzo di esperienza al Parlamento europeo? E’ gravissimo. In un qualsiasi posto di lavoro la prova dura un mese, e se proprio è un lavoro nuovo, si fanno dei tirocini di 6 mesi – forse un anno! -ma dopo due anni e mezzo commettere un errore tale da soli, è di unatale gravità,che qualsiasi datore di lavoro avrebbe licenziato il dipendente. Loro invece accusano il sistema, ma poiché hanno fatto tutto da soli, dopo due anni e mezzo non è l’inesperienza ad averli sconfitti, ma l’assenza di capacità, che si ha o non si ha.

Quanto nuovamente alla democraticità, forse Grillo, abituato a calare dall’alto le decisioni, pur dopo aver propagandato la libertà nuova e riconquistata del cittadino contro il sistema, si aspettava che Verhofstadt, altrettanto cinico, dopo aver stretto un accordo con lui, potesse altrettanto autoritariamente calarla dall’alto al suo gruppo e questo, come dentro i 5 stelle, avrebbe accettato. Non è successo perché in un gruppo di liberi, se il capo propone una cosa del tutto contraria a quello che è lo spirito del gruppo, il gruppo non obbedisce e respinge l’accordo. Inoltre in politica Grillo e i suoi esperti di due anni e mezzo di Parlamento europeo non sanno che un accordo è di ferro non solo perché i vertici si stringono le mani, ma anche perché i membri dei gruppi sono d’accordo. Lo avrebbe saputo se avessero conosciuto cos’è un movimento di gente libera. Pare, da come è andata, che non sappia nessuno cosa siauna vera libertà politica nei 5 stelle.

Gli errori dei 5 stelle

Il prezzo che i 5 stelle stanno pagando per questo errore sono la perdita della co-presidenza dell’EFDD, l’accettazione, dettata dallo UKIP, di indire un referendum in Italia sulla permanenza nell’area euro (legittima l’idea del referendum, non che siano gli inglesi a decidere cosa si fa in Italia tramite la sottomissione di una forza politica italiana che obbedisce), l’abbandono di due dei 17 membri del gruppo. Ogni europarlamentare 5 stelle ha firmato un contratto che prevede una penale in caso di abbandono del gruppo. Se Grillo sapesse che né in Europa né in Italia esiste il vincolo di mandato e che un contratto del genere è nullo, perché gli eletti rispondono agli elettori e non ad un’azienda privata, la Casaleggio Associati, se si fossero preparati meglio…

E per un movimento che si prepara a voler governare il Paese intero, per ora c’è solo la certezza che non ha né il sostrato culturale, né la preparazione politica, né la competenza tecnica, né un coerente gruppo di obiettivi per affrontare questo impegno. Forse vinceranno, ma vincere non necessariamente dimostra di essere i migliori, dimostra solo che la maggioranza delle persone lo crede. Credere ed essere sono una differenza che forse costerà cara al nostro Paese.

 

 

 

La fine delle avventure di Renzocchio. Storia di un premierino

C’era una volta…
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un presidente del consiglio.
O meglio, un presidente del consiglio dimissionario, di nome Renzocchio.

Sì, perché Renzocchio aveva solo da poche ore ricevuto la più grande batosta della vita sua. Una batosta sonorissima, enorme, semi-plebiscitaria e al momento giaceva sfranto e smarrito a culo molle sul sedile imbottito della poltroncina scarlatta collocata quasi al centro del suo gabinetto personale, però in procinto di essere a breve predisposto per qualchedun altro, per il suo successore, ancora ignoto. Subito dopo la consegna di quella cazzo di campanellina, il cui debole trillo sarebbe suonato alle sue orecchie come uno stuolo di campane a morto. E dire che era trascorso così poco tempo – appena un soffio! – da quando l’aveva a sua volta strappata di mano a un recalcitrante Enrico Letta, cui era subentrato con la gioia infame di un pargolo dispettoso, felice delle ulcere e dei traumi psico-somatici che quel colpo di mano avrebbe provocato nell’antipatico compagno di partito.

Era solo, Renzocchio, in penombra, camicia bianca, senza pantaloni, le scarpe nere tirate a lucido ancora addosso, le calze tenute su dai reggicalze elastici che col loro morso gli segnavano i polpacci. Lo sguardo perso nel vuoto, una mano penzoloni giù dal bracciolo, l’altra a reggere svogliata un cocktail analcolico a base di Red Bull, che si andava sempre più annacquando, man mano che il ghiaccio si scioglieva. Mille giorni! O giù di lì. E poi… aveva voluto puntare tutto su quel dannato referendum, il cui esito ora lo risucchiava giù, allo sprofondo, come un gorgo oscuro. Les jeux sont faits. Rien ne va plus.
«Non credevo mi odiassero così tanto…» gli scappò detto, a filo di voce. Si guardò subito intorno, gli occhi spalancati dal timore che qualche orecchio estraneo avesse potuto cogliere quella esclamazione di momentanea amarezza. Ma no, non c’era nessuno. Ciaone-Carbone stava guardando le registrazioni di Uomini e Donne per trovare qualche altra espressione giovanilistica da esibire in tale drammatica circostanza e risultare simpatico, Genny Migliore pensava: “Ma chi me lo ha fatto fare ad andare via da SEL..”. Paolo Romano chiedeva consiglio a Scilipoti, Maria Elena non la si era più vista: in pieno exit-poll l’era scomparsa, come una fatina, e insieme a lei anche la paresi facciale che l’ha accompagnata durante questi mille giorni. I tanti tirapiedi eran stati tenuti fuor dell’uscio: il capo voleva star solo, ‘un gli garbava di averli tra i piedi in quel frangente, dedicato alla riflessione introspettiva. Come in un saggio di yoga per principianti: Oooom, oooom, oooom…

«Italiani, popolo viziato…» attaccò a pensare a voce alta Renzocchio, scrutando il bicchiere tubolare che impugnava, «Puoi concedergli la luna, ma prima o poi ti getteranno via come una buccia di limone strizzato, basta che appena appena abbiano l’impressione che da te non c’è più nulla da cavare…»
«Quello che hai avuto tra le mani era un potere enorme…»
La voce rimbombò all’improvviso all’interno dello studiolo, senza che se ne potesse individuare con esattezza la provenienza.

Il premier dimissionario guardò tutto in giro, ma… niente, nessuno.
«La gente credeva in te. Si fidava. Per qualche tempo ti volle anche bene. Ti offrirono le proprie vite. Ma sai come va a finire questo genere di cose: qualsiasi luna di miele volge tragicamente al termine, quando non viene consumata per bene e nei tempi giusti…»
«Chi parla? Deh, chi parla?» cominciò a sbraitare lui, levandosi dalla poltroncina di scatto, in mutande, e lasciando cascare a terra il cocktailino, che si frantumò in mille gocce variopinte e altrettanti pezzi di vetro scintillante.
Nessuna risposta.
«E che potevano pretendere più ancora?» rispose allora lui, fissando un punto imprecisato del soffitto.
«Loro chiedevano pane e tu che gli hai dato? Brioche scadute da tre anni…» continuava la vocina, impertinente.
«Gli ho dato gli 80 euri in più dall’Inps, diobòno, gli ho abbassato l’Imu, gli ho abolito Equitalia…» cercava di difendersi il premier uscente.
«La disoccupazione è all’11,6%. Quella giovanile è superiore al 36%.»
«E io gli ho levato l’art. 18, per facilitare le assunzioni da parte delle imprese. Ci avevano già provato parecchi prima di me, ma l’è il mio governo che l’ha spuntata!»
«E così facendo avete annientato le già scarse tutele per i lavoratori e agevolato licenziamenti e buone uscite…».

A forza di udirla, quella strana voce cominciava a sembrargli sempre più familiare, ma, incalzato dal botta e risposta, soprassedé per replicarle, ostentando una certa fierezza: «Durante questo governo abbiamo macinato 660 nuovi posti di lavoro al giorno, oh bellino!»
«Quelli mica contano… Si tratta perlopiù di lavoretti temporanei pagati col voucher… Come quando fai venire la colf in casa a lavorare in nero e se, sul più bello, rimane fulminata col filo dell’aspirapolvere scoperto, prepari in corsa il voucherino prima di chiamare l’autoambulanza, così sei sicuro di non andare nelle grane…»

Cominciò a cercare dappertutto: sotto i cuscini, nei cassetti della scrivania in mogano, dietro il ritratto del Presidente della Repubblica. Intanto la voce proseguiva: «Avete continuato con le solite malversazioni, le solite ‘ndrine, gli intrallazzi, gli inciuci…»
«Ma come!» sbottò lui, simulando un qualche disappunto, tanto che buttava tutto sottosopra nella vana ricerca, «Ho pure reintrodotto il falso in bilancio io! E la responsabilità civile dei magistrati…»
«Tutta fuffa! Tutto fumo negli occhi! Il grosso ti sei ben guardato dal farlo. Gli inquisiti, le bustarelle, gli sprechi. Dovevate tagliarvi lo stipendio, dovevate falciare le spese. Quei soldi sarebbero serviti per il microcredito, per il reddito di cittadinanza…»
Ora aveva capito di chi si trattasse, ne era certo: lo avrebbe stanato a ogni costo!
Si mise a guardare anche negli anfratti più riposti, mentre continuava nel frattempo a discolparsi: «Grazie al mio governo ora hanno il divorzio breve, le unioni civili… Ho pure fatto rimpatriare quei due bucaioli di Marò, tanto per dare un contentino un po’ a tutti…»

«Eh, ma come vedi, alla fine i tuoi calcoli erano sbagliati: il popolo l’ha capita. Non le ha volute più le tue polpette avvelenate. Ha morso la mano che lo nutriva di alimenti adulterati! Ha capito che tutte queste belle novità erano la foglia di fico per nascondere e proteggere i soliti, vecchi poteri…»
«Basta con codeste bischerate!» sbottò il premier, alzando di colpo la lampada, da sotto la quale gli sembrava giungere la vocina. E infatti eccolo, là sotto, scoperto, l’esserino! Quel portavoce della coscienza a sei zampette: il Gryllus Loquens, in termini linneiani.

«T’ho beccato, oh grullo!» esclamò trionfante, agitando un pugno per aria.
«No… Grillo!» rettificò quello, mentre già il pugno chiuso del presidente ancora in carica gli si andava abbattendo addosso, cercando di spiaccicarne con tutta la forza l’esoscheletro.
Ma il Grillo ebbe la prontezza di caricare il peso sulle lunghe zampe posteriori e improvvisare un salto a parabola che lo salvò dal brutto colpo, che intanto andava a martellare a vuoto il tavolino, scuotendolo orribilmente.
«A presto rivederci!» fece in tempo a profetizzare l’esserino, mentre spariva dalla stanza attraverso chissà quale pertugio, lasciando l’altro a bocca aperta e con un palmo di naso.

Epilogo

Un mattino, al risveglio da elezioni inquiete, il presidente del consiglio si trovò trasformato in un enorme insetto ortottero.
Sdraiato nel letto sulla schiena dura come una corazza, gli bastava alzare un po’ la testa per vedersi il ventre convesso, bruno, diviso da solchi arcuati. Davanti agli occhi gli si agitavano le gambe, molto più numerose di prima, ma di una sottigliezza desolante.
L’ultima copia di zampe in particolare era più lunga ancora delle altre. Queste ultime zampe erano stranamente seghettate nella parte interna. Il nuovo presidente del consiglio, del tutto spontaneamente, attaccò a sfregarle una contro l’altra: «Onestà! Onestà! Onestà!» prese così a frinire, in un crescendo che si fece ben presto assordante.

Exit mobile version