Michael Cimino, anarchico e visionario regista italo-americano passato alla storia del cinema per il capolavoro Il cacciatore, si è spento il 2 luglio scorso all’età di 77 anni a Los Angeles circondato dai suoi cari. Una morte inaspettata soprattutto se si pensa che in occasione dello scorso Festival di Locarno ad agosto, il regista era apparso sereno ed entusiasta della calda accoglienza da parte del pubblico.
Michael Cimino: genio visionario, da regista di successo a reietto
Nato a New York da genitori laziali, il cinefilo appassionato di architettura e laureato in Arti Grafiche a Yale Michael Cimino, durante la sua tribolata carriera ha girato solo 7 film più un cortometraggio, tra i quali si ricordano maggiormente il cult-movie premiato con 5 Oscar Il cacciatore (1978), I cancelli del cielo (1980), passato alla storia per aver portato la United Artist al fallimento e L’anno del dragone (1984). Il suo aspetto estetico, da anni oggetto dei più disparati commenti, era quello di un uomo magrissimo, fragile, efebico e pallido, dal viso deturpato da diversi interventi di lifting, coperto dagli inseparabili occhiali scuri. Probabilmente Cimino non ha mai superato del tutto il torto subito ai tempi dell’epico e prolisso I cancelli del cielo, flop di incassi che lo ha condannato all’isolamento da parte degli addetti ai lavori e degli amici, trasformandolo da genio osannato a reietto.
Per la realizzazione de I cancelli del cielo, pellicola oggi rivalutata e considerata da molti un capolavoro, Michael Cimino aveva avuto carta bianca dalla United Artists, na aveva sforato il budget passando da 12 a 36 milioni. La produzione navigava già in cattive acque ma un libro incolpò Cimino e la sua megalomania (addirittura si narra che facesse i provini persino ai cavalli) il fallimento della United. Una falsità, dato che il film uscì per una settimana a New York, stroncato ferocemente dalla critica perché il regista raccontava un’America violenta, venne tagliato da 220 a 140 minuti e fu giustamente un fiasco. Raccontava lo stesso Cimino: “Quando entravo in un posto pubblico tra quelli che fino a ieri erano amici, collaboratori, calava il gelo, tutti mi voltavano le spalle”. Dopo averne sfruttato la creatività, ora lo condannavano a scrivere nell’indifferenza perpetua”.
Cimino era un’anima sensibile e vulnerabile vittima delle spietatezza e della stupidità della macchina hollywoodiana, di cui il regista italo-americano ha sfidato il bigottismo, prendendosi insulti raccontando storie con grande umiltà e rifiutando il politicamente corretto sin dagli esordi quando, nel 1974 scrive e dirige per Clint Eastwood il feroce noir Una calibro 20 per lo specialista. La fama di Cimino è ovviamente legata a Il cacciatore, tra i primissimi film a raccontare il dramma della guerra in Vietman, di quei giovani mandati al macello, e attraversato da un lirismo straziato e straziante che è stato purtroppo oggetto di pregiudizi politici prima e rivalutato poi. Il cacciatore non è foriero di un messaggio pacifico e di giudizi storico-politici, è un film attraversato da un profondo senso di morte e smarrimento, che è stampato nei volti degli straordinari protagonisti, volti alla ricerca di se stessi e di uno spiraglio di speranza per sopravvivere non della gloria o di riconoscimenti civili. In questo senso Michael, interpretato da un indimenticabile Robert De Niro, è un eroe proletario inconsapevole che, tornato in patria, non si compiace delle sue numerose medaglie ma cerca di salvare il suo amico Nick, rimasto a Saigon a rischiare ogni sera la vita nell’assurdo gioco della roulette russa.
Cimino, in diverse interviste, ha affermato che la lunga scena della tortura del gioco della roulette russa nella capanna-prigione compiuta dai vietcong ai danni dei loro prigionieri non è altro che la sintesi di quello che fu la guerra. Al regista non interessava raccontare la guerra del Vietnam in sé, ma trasmettere al pubblico l’emozione crudele di quello che doveva essere stato, la roulette russa è il simbolo del suicido dell’America. In questo senso la roulette russa diviene una metafora del suicidio di un intero popolo e Nick rappresenta la reiterazione di chi è incapace di superare un trauma. Solo Michael ci riesce, ma non potrà più riuscire a cacciare un cervo (spara il suo colpo in aria), ed ecco l’altra grande metafora esistenziale del film, la caccia: la filosofia di vita di Michael si basa sul “colpo solo” durante la caccia al cervo poiché l’animale non può difendersi e quindi al cacciatore spetta un solo colpo per abbatterlo.
Il cacciatore non è un film reazionario come fu tacciato all’epoca della sua uscita e come alcuni pensano ancora oggi, è un romanzo epico e malinconico che ritrae la vita degli operai della Pennsylvania per i quali la guerra del Vietnam rappresenta l’occasione per uscire dalla loro vita provinciale e periferica. Lascia parlare emotivamente il paesaggio Cimino grazie al grande lavoro realizzato sul colore e sulla luce e che incute nello spettatore un profondo senso di solitudine che si riscontra anche nel cinema di Visconti e di Kurosawa.
Il grande successo del Cacciatore rese Cimino uno dei registi più desiderati di Hollywood egli permise di avere a disposizione un budget altissimo per la realizzazione de I cancelli del cielo, un western eccesivamente lungo e vertiginoso ma anticonformista ed emozionante che getta ombre sulla storia della conquista della democrazia americana attraverso la storia della guerra nella contea di Johnson nel Wyoming che vede scontrarsi i grandi allevatori contro i contadini. Da quel punto in poi la strada per il regista diventò tortuosa: tra il 1985 e il 1990 il reietto d’America può esprimersi solo con il thriller nichilista L’anno del dragone, che riesce ad unire violenza (non gratuita) ed eleganza; Il siciliano, che racconta delle gesta di Salvatore Giuliano che nasce da un’ossessiva inverosimiglianza storica, unita a una rilettura del romanzo di Mario Puzo alquanto originale e il remake di Ore disperate, pellicola claustrofobica ma nel complesso poco riuscita. Dopo anni di silenzio, Cimino si presentò nel 1996 nel concorso di Cannes con Verso il sole, disuguale road movie che porta con sé un pizzico di mitologia.
Cosa rimarrà dell’ambizioso Michael Cimino? Un ampio respiro teso vero il tutto, verso il mondo: le inquadrature di Cimino, i suoi onnicomprensivi piani-sequenza per raccontare la fine del sogno americano, la sua fragilità, il suo anticonformismo, l’impeccabile direzione di attori come De Niro, Streep, Cazale (tra i protagonisti de Il cacciatore, e fidanzato di Meryl Streep morto di tumore prima che potesse vedere, ultimo simbolo della scuola newyorkese e del metodo Strasberg), Savage, Rourke, Bridges, Kristofferson, Huppert, Walken, il suo genio visionario e anarchico, la sua affascinante e al contempo triste parabola esistenziale e artistica.