I mille volti di Fernando Pessoa, poeta ironico, tragico, irrequieto

“Sentire tutto in tutte le maniere, vivere tutto da tutti i lati, essere la stessa cosa in tutti i modi possibili allo stesso tempo realizzare in sé tutta l’umanità di tutti i momenti, in un solo momento diffuso, profuso, completo e distante”. Queste le parole di uno tra i grandi dello scenario letterario mondiale: Fernando Antonio Nogueira Pessoa (Lisbona, 13 giugno 1888 – Lisbona, 30 novembre 1935).

Perché accontentarsi di vivere una sola vita, quando attraverso l’arte, possiamo sperimentarne infinitamente? Perché fermarsi a ciò che l’occhio vede se la poesia coglie con il cuore, superando i limiti, abbattendo i confini, penetrando lo spazio e navigando l’eterno? Se nell’opera di questo esimio poeta portoghese, possiamo trovare un “centro”, questo, senza dubbio, è l’eteronimia.

Mi sono moltiplicato per sentire, per sentirmi, ho dovuto sentire tutto, sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi, e in ogni angolo della mia anima c’è un altare ad un Dio differente”. (Da “Passaggio delle ore” -poesie di Alvaro De Campos)

Ricardo Reis, Alberto Caeiro, Alvaro De Campos, sono solo alcuni dei tanti  eteronimi.  Uno, nessuno e centomila; lo scrittore portoghese nella sua carriera poetica mette a frutto il messaggio pirandelliano; plasma da “un’unica, grande moltitudine”, una serie di personaggi, che acquistano caratteristiche polimorfe, talvolta simili a quelle dell’autore, altre volte completamente differenti. Iniziano a muoversi sulla scena dell’immaginazione artistica, percorrono ciascuno strade diverse del vivere  e del poetare, perché in Pessoa, non c’è mai univocità, ma il tutto si scinde nel molteplice, confermandosi così “poeta dai mille volti”.

Dentro di sé il mondo , l’inquietudine del sentire. Un’analisi attenta, dettagliata dell’esistenza, che genera  un’infinità di percezioni da sconfinare talvolta in quella che taluni hanno tacciato come follia, nell’isteria. Ma il genio nasce dalla progressiva disgregazione dell’io, e partorisce arte, che la sola  normalità non può alimentare.

 

Chi sogna di più, mi dirai —
Colui che vede il mondo convenuto
O chi si perse in sogni?

Che cosa è vero? Cosa sarà di più—
La bugia che c’è nella realtà
O la bugia che si trova nei sogni?

Chi è più distante dalla verità —
Chi vede la verità in ombra
O chi vede il sogno illuminato?

La persona che è un buon commensale, o questa?
Quella che si sente un estraneo nella festa?

                                           

Esistenza, identità e verità che non hanno alcun tipo di certezza secondo Fernando Pessoa, perché quanto più le scandagliamo, scindendole in tutte le possibili interpretazioni, tanto più ci rendiamo conto che tutte possono valere e tutte possono cadere, al contempo, dinanzi al giudice supremo della ragione.; è come se lo scrittore ci offrisse un modo di filosofare in cui vi è una frammentazione e una ricostruzione del sé, dell’essere in generale, che non può mai considerarsi intero, definitivo, univoco, e che per questo non può arrogarsi né una particolare autonomia né un’assoluta indipendenza da tutto ciò che lo circonda, in quanto tutto concorre a definirlo.

Coincidenza strana, ma significativa, che il termine stesso Pessoa  in portoghese significa “persona”,  tanto che la critica ha definito lo scrittore “l’enigma in persona”.

Fin da bambino ho avuto la tendenza a creare intorno a me un mondo fittizio, a circondarmi di amici e conoscenti che non erano mai esistiti”, questo ha dichiarato il poeta.

Quasi come se il talento dell’autore, fosse la sua grande croce. Come se il sentire così vivamente il mondo respirare, vivere e crescere in sé , fosse un peso troppo grande , da scindere. Come se il genio poetico avesse bisogno di moltiplicarsi per vedersi intero e riconoscersi, accettarsi. E scrivere e poetare e  abbeverarsi di arte diviene la cura esistenziale più potente. E la poesia accorre a riflettere l’esistenza in noi stessi,  a pacificare i nostri sensi. La poesia che ci fa vivere mille mondi e al contempo ci presenta l’altro risvolto della medaglia: l’impossibilità di conoscerli tutti, davvero, fino in fondo; è un viaggio, quello che il poeta portoghese compie attraverso ciò che la critica ha definito “spersonalizzazione”, “simulazione”; un viaggio che abbraccia l’universo intero.

 

Viaggio che per alcuni è apparso all’insegna dell’esoterismo, confermando, ancora una volta, l’alone di mistero che gravita su questo scrittore. Come in preda ad un sogno delirante, il genio poetico attraversa la materia e insieme lo spirito, i due poteri della forza, i due lati della conoscenza: da un lato la scienza, la ragione, dall’altro la conoscenza occulta, l’intuizione. In questa danza di forze opposte, Pessoa riconosce all’impegno letterario un ruolo essenziale, che porti alla creazione di una lingua nuova, capace di esprimere e spiegare la natura di tutte le cose simultaneamente, di creare analogie e omologie tra l’uomo e le realtà soprasensibili.  Il termine occultismo, dunque, spesso associato all’autore, descrive la ricerca di una verità occulta  in una visione superficiale.

Un mondo fittizio, ma di una finzione che trae origine dal mondo reale, dove la realtà non si sa più cosa sia. E la finzione allora quando inizia? I limiti si confondono….si genera l’infinito.

Questo il focus centrale della sua opera, Il libro dell’inquietudine, dove l’autore, si esprime con un linguaggio perfettamente allineato alle sue tematiche poetiche, un linguaggio febbrile, malinconico, colmo di infiniti personali, anacoluti, e parole inventate , perché la sensibilità e la potenza creativa di un genio poetico si nutrono dell’ invenzione, dove l’invenzione però  è generata dalla realtà e a sua volta genera la realtà stessa.

“Vivere è essere un altro. Neppure sentire è possibile se si sente oggi come si è sentito ieri: sentire oggi come si è sentito ieri, non è sentire, è ricordare oggi quello che si è sentito ieri, è essere oggi  il cadavere vivo di ciò che ieri è stata la vita. Cancellare tutto dalla lavagna da un giorno all’altro , essere nuovo ad ogni alba, in una nuova realtà perpetua dell’emozione: questo e solo questo vale la pena di essere o di avere, per essere o avere quello che in modo imperfetto siamo”.

Alla ricerca di ogni nuova alba, alla ricerca della verginità dell’essere in ogni nuovo giorno, annaspando nell’infinito, e risorgendo nell’eterno poetico, Pessoa ci offre i mille volti della vita, presentandoceli di volta in volta attraverso una lettura differente e dandoci così la possibilità di immergerci nel suo talento, di lasciarci trasportare alla ricerca di noi stessi, riscoprendoci interi soltanto dopo essere stati frammentati, cogliendo la verità solo dopo aver capito che essa è relativa, in un mondo dove il tutto e il niente, il singolo e il molteplice non si escludono a vicenda, ma si intersecano, completandosi, compensandosi. Pessoa: polimorficamente unico!

 

‘Il fu Mattia Pascal’: il romanzo moderno umorista di Pirandello

“La vita è una bestialità, e allora dica un po’ lei che cosa significa il non averne commessa nessuna: significa per lo meno non aver vissuto”. Sono parole che non necessitano di spiegazioni, aggiunte, o commenti. Sono le parole di un Luigi Pirandello non ancora quarantenne che, con il suo Il fu Mattia Pascal, scritto nel 1903 e pubblicato l’anno seguente a puntate su “La nuova antologia”, ci catapulta in un mondo in cui è l’apparire ciò che conta. E quali sono le possibilità di riuscire, di vincere, di affermarsi, per un uomo che non ha possibilità di scelta? Per un uomo che continua a fuggire, legato a quell’incapacità di riuscire a realizzarsi, perché quel mondo, il suo mondo, non ha nulla a che vedere con ciò che è, con ciò che vorrebbe essere. Ed eccola l’apparenza,e la trappola.

Quella che ci lega, chi più, chi meno a questo mondo fittizio, a questo mondo in cui ciò che vediamo conta più di ciò che sentiamo. Mattia Pascal lo sa. Sa di dover andare via, sa di dover ricominciare e, in un modo ironico e sarcastico ci riesce, o almeno così crede. Per uno strano scherzo del destino o, forse, grazie ad esso, Mattia riesce, per un breve lasso di tempo ad illudersi di poter ricominciare, di potersi costruire quella vita che aveva sempre desiderato. Ma anche questa è solo un’illusione. “Per quanti sforzi facciamo nel crudele intento di strappare, di distruggere le illusioni che la provvida natura ci aveva create a fin di bene, non ci riusciamo…” Fuggito dal paesino nel quale vive accanto ad una donna che non lo comprende, perché “le donne, come i sogni, non sono mai come tu le vorresti”, giunge a Montecarlo dove, assistito dalla fortuna, riesce ad accumulare una sostanziosa somma di denaro. Divenuto ricco, sulla via del ritorno, Mattia legge sul giornale la notizia del ritrovamento del suo cadavere. Ed eccolo il destino, beffardo, forse un po’ crudele. Un destino che illude, un destino che concede speranza, un barlume, solo un istante di pura speranza.

La speranza di poter ricominciare, di poter partire da zero. Di essere tutto ciò che mai, avrebbe potuto essere restando legato ad un nome, ad un mondo che non gli appartiene. Ma un nuovo nome, una nuova identità, legati a quelle nuove speranze, durate forse solo un attimo, quasi il tempo di un sogno illusorio, sono solo una labile fantasia, un’amara speranza. Mattia, Adriano Meis, si risveglia da quel sogno. Costretto ad accettare che quella nuova vita è fittizia, un’altra illusione, forse l’ultima. Non può sposare la donna che ama, non può sporgere denuncia per un furto subito. Adriano Meis non esiste. “Avrei potuto costruire una nuova vita a modo mio” .La sua unica soluzione è fingere il suicidio per tornare ad essere Mattia, per poter ricominciare ancora, per poter tornare indietro e riprendere quella vita che, sa, essere l’unica che possa essere vissuta. Ma quella vita non esiste più, Mattia non esiste più o, forse, non è mai esistito. Mattia Pascal è il simbolo di quell’umanità incapace di realizzarsi, incapace di concretizzare i propri sogni per più di un breve istante. Mattia Pascal è un uomo che sogna un’altra vita, un altro amore, un’altra pelle. Ancora lei, un’illusione, un’amara speranza. La sua terza vita, Mattia, la vivrà in totale solitudine, chiuso in quella realtà dalla quale aveva provato a fuggire, con la consapevolezza che “La vita o si scrive o si vive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola.”

Con Il fu Mattia Pascal nasce il romanzo del Novecento, e più specificamente il moderno romanzo umoristico , lontano dai canoni ottocenteschi del realismo e poi del naturalismo; la narrazione qui (in prima persona dallo stesso protagonista che è onnisciente) è fatta «per raccontare e non per provare». C’è riflessione, ambivalente umorismo. Mattia Pascal in questo suo diario di viaggio non rende partecipe il lettore della sua onniscienza, non anticipa i fatti, ma offre un punto di vista sbagliato attraverso le scelte errate che compie. Pirandello vuole mostrare pian piano l’evoluzione del suo protagonista , il crollo delle sue certezze e la sua crisi di identità, ma non gli basta, è come se volesse convincere anche noi , attraverso l’esempio di Mattia Pascal, della validità della sua filosofia sulla società.

Il tema dell’identità, della maschera, della trappola rappresentano un classico della filosofia dello scrittore siciliano. L’identità è una necessità sociale e, quando Mattia Pascal prende coscienza di ciò, è troppo tardi. Ma nessuno mostra la sua vera persona, tutti indossano una protezione, un’altra faccia, una maschera appunto, con la quale presentarsi agli altri che adoperano lo stesso stratagemma. Il pensiero pirandelliano è sempre più attuale , nonostante sia passato un secolo dalla sua formulazione.

Il fu Mattia Pascal è il libro simbolo di Pirandello ed un romanzo senza tempo: le tematiche affrontate sono valide sempre e dovunque.

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