Luigi Pirandello, nato esattamente 150 anni fa ad Agrigento, è stato uno degli scrittori e drammaturghi più significativi del panorama letterario del ‘900, vissuto negli anni del crollo del positivismo e nel periodo dell’età giolittiana con la conseguente crisi dello Stato italiano. Questo senso di disagio si riversa inevitabilmente sull’uomo e l’intellettuale Luigi Pirandello che non si riconosce più e fatica a trovare una posizione all’interno della società. Da queste premesse si sviluppa il relativismo pirandelliano e quindi il contrasto tra forma e vita: l’uomo e le cose cambiano in base a chi li percepisce, dunque l’uomo non è uno solo ma ha tante forme: crede di essere unico ma è centomila e alla fine nessuno. Questo nessuno è costretto ad indossare una maschera per relazionarsi con la società, la quale impone dei condizionamenti sociali che impediscono il manifestarsi di una vita autentica. L’unico modo per sfuggire da questa condizione di falsità è la follia: attraverso di essa infatti l’uomo può smascherarsi e svelare il vero io. Questa è ciò che Luigi Pirandello definisce umorismo, sentimento del contrario.
Tali tematiche esistenziali costellano tutta la poetica di Pirandello che in maniera eclettica incastona nei diversi generi da lui affrontati dai romanzi, alla saggistica, alla poesia alla narrativa fino al teatro. Le sue opere più celebri sono Il Fu Mattia Pascal, Uno nessuno e centomila, l’Umorismo, Novelle per un anno, Sei personaggi in cerca d’autore.
1.”Imparerai a tue spese che lungo il tuo cammino incontrerai ogni giorno milioni di maschere e pochissimi visi”
2.”C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno”
3.”E’ molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini si dev’essere sempre”
4.”La vita o si vive o si scrive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola”
5.”Nulla è più complicato delle sincerità”
6.”Gli unici modi per fuggire dalla vita sono la pazzia e l’ironia”
7.”Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi il mio dolore, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io”
8,”Nulla atterrisce più di uno specchio una coscienza non tranquilla”
9.” E’ l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva lui restava”
10. “Le anime hanno un loro particolare modo d’intendersi, d’entrare in intimità, fino a darsi del tu, mentre le nostre persone sono tuttavia impacciate nel commercio delle parole comuni, nelle schiavitù dell’esigenze sociali”
A fare da sfondo scenografico alle due Premesse del notissimo Il Fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello è una biblioteca, utilizzata come un originale cronotopo: essa significa uno spazio fuori dello spazio e un tempo fuori del tempo, lo spazio e il tempo in cui si svolge la narrazione. Qui il protagonista “defunto” scrive la sua storia.
La biblioteca funge da teatro di una serie di paradossali defunzioni, siglate da quelle modalità proprie di quel sentimento che di li a qualche anno nel saggio L’umorismo, Pirandello avrebbe teorizzato come “sentimento del contrario”, ponendolo alla base della sua intera poetica. Le defunzioni riguardano prima di tutto la biblioteca come luogo dove è disatteso il rito della lettura e della scrittura di un testo destinato a mescolarsi all’esistenza degli altri testi sepolti nella polvere, ma che solo in quel luogo può essere concepito.
Sotto il segno del <<fu>> , sono coinvolti il personaggio, l’io narrante e la pratica stessa del romanzo redatto quando si certifica l’eclissi del suo ufficio. La biblioteca costituisce il fondale dei primi due capitoli del romanzo che, con l’ultimo, formano la cornice della narrazione di cui è protagonista un uomo divenuto estraneo alla vita e delegato al racconto di essa, narrando la vita delle tre identità in gioco nella storia.
La biblioteca in questione, di Boccamazza è deformata umoristicamente, sita nell’immaginario paesino di Miragno; la sua rappresentazione è resa ancora più grottesca dalla presenza di “cinque preti della vicina cattedrale e di tre carabinieri dell’attigua caserma” intenti presso un tavolo polveroso “a divorare un’insalata di cocomeri e pomodori”. Ai loro occhi di commensali l’occasionale visitatore, ovvero il fu Mattia Pascal, appare come “una bestia rara e insieme molesta”.
La narrativa pirandelliana è costellata di biblioteche; nello stesso Fu Mattia Pascal, un’altra biblioteca, quella piccola di Anselmo Paleari, finalizzata al sapere teosofico e all’esoterismo, “serve come un fondale scenico per dare risalto all’istrionismo del personaggio”, come ha notato lo studioso Borsellino. A ridosso del romanzo del 1904 la novella L’eresia catara mette in scena la biblioteca del professor Lamis; qualche anno dopo ci si imbatte della biblioteca del visionario Valeriano Balicci , il protagonista di Mondo di carta. Nel romanzo I vecchi e i giovani, nel villino di via Sommacampagna, è posta la “ricca biblioteca” dove Lando Lauretano“soleva passare parecchie ore al giorno”. La tradizione umoristica di Pirandello include una vasta formalizzazione del tema della biblioteca a cominciare dalla libreria del don Chisciotte, folta di centinaia di romanzi cavallereschi, passando a quelle in cui si imbatte il lettore dei Promessi Sposi: lo scaffale di libri vecchi di Azzeccagarbugli, l’anonima libreria di un curato di campagna, lo studio di don Ferrante, l’imponente Ambrosiana. A questa serie si aggiungono Il barone di Nicastro di Nievo che nasce e finisce in una polverosa biblioteca e l‘incipit della Vita di Alberto Pisani di Carlo Dossi, dove il lettore è invitato sulla scena di una biblioteca votata all’apoteosi di un sapere ciarlatanesco.
La biblioteca configura uno spazio separato dalla vita; essa trova il suo riflesso speculare non solo nel cimitero dove il protagonista si reca a rendere omaggio alla propria salma fittizia, ma anche nel letto dove è morta la madre e dove egli ora va a dormire ogni sera. Dalla sua prospettiva intemporale, Mattia non può avviare una vicenda esistenziale, può solo raccontarne una trascorsa. Ricusando ogni impegno identitario, tirandosi fuori dallo spazio diegetico del romanzo per farsi narratore, il fu Mattia Pascal sceglie come palcoscenico della sua prova narrativa una biblioteca in cui non si celebra più il culto che le dovrebbe essere proprio , ovvero quello della memoria.
Il romanzo mette in atto una narrazione centrifuga, digressiva impossibilitata a ricostruire, a concludere,, trovando rifugio tra i bislacchi detriti della memoria culturale, predisponendoli ad un amalgama casuale, illogica dove vige la regola tutto e il suo contrario. Il riordino dei libri inutili ammassati nella biblioteca, si svolge secondo il ritmo parodico di una pantomimica gestualità:
Molti libri curiosi e piacevolissimi don Eligio Pellegrinotto, arrampicato tutto il giorno su una scala da lampionajo, ha pescato negli scaffali della biblioteca. Ogni qualvolta ne trova uno, lo lancia dall’alto, con garbo sul tavolone che sta in mezzo […].
Il bibliotecario, che dovrebbe officiare il culto della memoria custodita dai libri, fuoriesce dall’abside, in cui si è autosepolto; l’oggetto libro è sconsacrato; in questo senso quella attuata da Il fu Mattia Pascal è una scrittura sotto il marchio del doppio, dove accanto al finto defunto e al finto bibliotecario, nonché fittizio vate dell’arte, è di scena un vero sacerdote, anch’egli custode della biblioteca. Se i nomi dei personaggi rispondono ad un evidente gioco umoristico, quello di don Eligio Pellegrinotto allude al suo essere ligio alla tradizione.
Bibliografia: A. Saccone, Qui vive/sepolto/un poeta, Liguori editore.
“Trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica di tutte le vostre costruzioni”. (Luigi Pirandello)
Forse è questo ciò che accade quando, nelle nostre certezze, entra una frase, una parola, un concetto o un’idea di quell’uomo che, ancora oggi, resta con le sue opere famoso in tutto il mondo.
Pirandelliano, pirandellismo, termini che derivano da uno dei più grandi scrittori del ‘900 per indicare un avvenimento o una situazione paradossali. Un autore, un uomo, uno scrittore che, elabora e costituisce la poetica dell’umorismo respingendo l’armonia classica e il mito romantico.
Tre furono gli ambienti che influenzarono la formazione psicologica e culturale del grande drammaturgo e narratore sicliano premio Nobel per la letteratura che risponde al nome di Luigi Pirandello: quello siciliano, quello tedesco e quello romano. In Sicilia Pirandello visse dalla nascita, avvenuta ad Agrigento il 28 giugno 1867, fino al 1887, anno in cui si trasferì a Roma per continuare gli studi universitari, conseguendo a Bonn, in Germania, la laurea in filologia romanza.
I primi passi furono mossi all’interno della scuola siciliana, portando l’autore ad una visione relativistica della vita e del mondo. Fu però il teatro a dare quella fama più che meritata. Lo scrittore siciliano mette in scena attraverso relativismo, surrealismo ed espressionismo, le diverse fasi di uno stile di vita volto ad affrontare la realtà attraverso quell’umorismo, quel paradosso, che l’hanno reso uno dei pochi scrittori famoso in tutto il mondo. Per i primi anni, successivamente a conseguimento della laurea, si dedicò all’attività poetica (“Mal giocondo”, 1889; “Pasqua di Gea”, 1891), testimoniata in seguito da poche altre opere (“Elegie renane”, 1895; “Zampogna”, 1901; “Fuori di chiave”, 1912). Giunto a Roma nel 1893, fu introdotto negli ambienti giornalistici e letterari, dedicandosi ad un’intensa attività pubblicistica e creativa. Fu a partire dal 1915, successivamente ad una serie di problemi familiari che colpirono il padre e la moglie dell’autore siciliano, che si legò al teatro, anche nella regia, affrontando una serie di spostamenti all’estero. Diresse il Teatro d’Arte di Roma (1925-28) creando una propria compagnia, chiamandovi come prima attrice la giovane Marta Abba, alla quale rimase legato da profonda passione fino alla morte. Nel 1934 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura.
E, attraverso gli echi della sua vita, di quella giovinezza che lo ha condotto a divenire un drammaturgo mai dimenticato, ancora in grado di stupire chi si accinge per la prima volta ad avvicinarsi alle sue opere, ci avviciniamo a quei romanzi, “L’esclusa”- “Il turno” (1901-1902), in cui, come già accennato, si delinea una visione angosciosamente relativistica della vita.
“La vita o si vive o si scrive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola.”
Pirandello con Eduardo, Peppino e Titina De Filippo
Ma sono nelle vicende e nei personaggi le discordanze tra l’essere e l’apparire, il pare, ciò che realmente si ritrova nelle sue grandi opere, ciò che appassiona, ciò che trascina in una lettura senza tempo. E così LuigiPirandello interviene nel racconto con ironia, sarcasmo, umorismo. Queste le caratteristiche che ritroviamo in quello che viene, ancora oggi, considerato il suo capolavoro , “Il Fu Mattia Pascal”(1904). Ma queste caratteristiche sono proprie anche delle successive raccolte di novelle (Erma bifronte, 1906; La vita nuda, 1910; Terzetti, 1912; Le due maschere, 1914, poi intitolata Tu ridi, 1920; La trappola, 1915; Erba del nostro orto, 1915; E domani, lunedì…, 1917;Un cavallo nella luna, 1918; Berecche e la guerra, 1919; Il carnevale dei morti, 1919) e dei romanzi posti nel mezzo o che seguono la “grande opera” (Suo marito, 1911, più tardi in parte rifatto col tit. Giustino Roncella nato Boggiolo, post., 1941; I vecchi e i giovani, 2 voll., 1913; Si gira…, 1916, tit. poi mutato in Quaderni di Serafino Gubbio operatore, 1925; Uno, nessuno e centomila, 1926). E nonostante quell’elemento realistico rimanga sempre in Luigi Pirandello, i modi della narrativa verista appaiono ora capovolti. Sullo sfondo provinciale e borghese di quella narrativa, e nel bel mezzo dei temi che le sono proprî (gelosie, adulterî, terzetti matrimoniali, pazzie, vendette), prende rilievo un’inquietudine nuova, per la quale il nome di LuigiPirandello è stato accostato a quello dei maggiori esponenti del decadentismo italiano ed europeo: l’ansia dell’uomo che invano cerca di ribellarsi agli schemi della vita per essere soltanto sé stesso e inutilmente si sforza di comporre il dissidio tra forma (maschera) e vita (autenticità). Ai personaggi della narrativa verista, “vinti” ma non privi di una loro grandezza epica, succedono così figure di medî o piccoli borghesi, di impiegati, professionisti, pensionati, rappresentanti di una società priva d’ideali e condannati proprio per la loro realtà, per la loro condizione, per quella differenza sostanziale tra l’essere e l’apparire; e la narrazione si fa aggrovigliata, intesa, seguendo le tortuosità del pensiero e a creando intorno ai personaggi e alle loro vicende un’aria allucinata, di caos.
Il teatro di Luigi Pirandello, così come la narrativa, si muove prima sugli schemi della commedia borghese (“Lumie di Sicilia”, 1910; “Pensaci Giacomino!”,1916; “Liolà”, 1916, scritta originariamente in dialetto siciliano; “Così è (se vi pare”), 1917; “Il piacere dell’onestà”, 1917; “La patente”, 1918; “Ma non è una cosa seria”, 1918; “Il berretto a sonagli”, 1918; “Il giuoco delle parti”, 1918; “Tutto per bene”, 1920; “Come prima, meglio di prima”, 1920; “La signora Morli, una e due”, 1920); schemi abbandonati per giungere in un clima di dramma e tragedia(“Sei personaggi in cerca d’autore”, 1921, l’opera scenicamente rivoluzionaria che, insieme con “Ciascuno a suo modo”, 1924, e “Questa sera si recita a soggetto”, 1930, costituisce la cosiddetta trilogia del “teatro nel teatro”; “Enrico IV”, 1922; “Vestire gli ignud”i, 1922; “L’uomo dal fiore in bocca”, 1923; “La vita che ti diedi”, 1923; “Diana e la Tuda”, 1927; “Come tu mi vuoi”, 1930; “Quando si è qualcuno”, 1933; “Non si sa come”, 1935). Tutto questo è il teatro della maturità, il teatro di un secondo momento, un secondo approccio, ma che in realtà approfondisce il primo momento pirandelliano. Opere fuori dal tempo, fuori dallo spazio. Restò incompiuta la sua ultima opera,” I giganti della montagna”. L’autore stesso provvide a riordinare editorialmente la sua produzione drammaturgica. Mentre segue a Cinecittà la realizzazione di un film tratto da “Il Fu Mattia Pascal” e lavorando alla conclusione dei “Giganti della montagna” e all’ultimo volume delle “Novelle per un anno”, viene colto da una polmonite. Luigi Pirandello Lascerà questo mondo che l’ha amato e lo ama ancora a Roma, nel dicembre 1936. Non ci furono onoranze pubbliche né funerali di Stato; le sue ceneri furono traslate ad Agrigento, e una “rozza pietra”, come egli voleva, fu posta per memoria ai piedi di un pino nella contrada del Caos, dove lo scrittore era nato sessantanove anni prima.
“La vita è una bestialità, e allora dica un po’ lei che cosa significa il non averne commessa nessuna: significa per lo meno non aver vissuto”. Sono parole che non necessitano di spiegazioni, aggiunte, o commenti. Sono le parole di un Luigi Pirandello non ancora quarantenne che, con il suo Il fu Mattia Pascal, scritto nel 1903 e pubblicato l’anno seguente a puntate su “La nuova antologia”, ci catapulta in un mondo in cui è l’apparire ciò che conta. E quali sono le possibilità di riuscire, di vincere, di affermarsi, per un uomo che non ha possibilità di scelta? Per un uomo che continua a fuggire, legato a quell’incapacità di riuscire a realizzarsi, perché quel mondo, il suo mondo, non ha nulla a che vedere con ciò che è, con ciò che vorrebbe essere. Ed eccola l’apparenza,e la trappola.
Quella che ci lega, chi più, chi meno a questo mondo fittizio, a questo mondo in cui ciò che vediamo conta più di ciò che sentiamo. Mattia Pascal lo sa. Sa di dover andare via, sa di dover ricominciare e, in un modo ironico e sarcastico ci riesce, o almeno così crede. Per uno strano scherzo del destino o, forse, grazie ad esso, Mattia riesce, per un breve lasso di tempo ad illudersi di poter ricominciare, di potersi costruire quella vita che aveva sempre desiderato. Ma anche questa è solo un’illusione. “Per quanti sforzi facciamo nel crudele intento di strappare, di distruggere le illusioni che la provvida natura ci aveva create a fin di bene, non ci riusciamo…” Fuggito dal paesino nel quale vive accanto ad una donna che non lo comprende, perché “le donne, come i sogni, non sono mai come tu le vorresti”, giunge a Montecarlo dove, assistito dalla fortuna, riesce ad accumulare una sostanziosa somma di denaro. Divenuto ricco, sulla via del ritorno, Mattia legge sul giornale la notizia del ritrovamento del suo cadavere. Ed eccolo il destino, beffardo, forse un po’ crudele. Un destino che illude, un destino che concede speranza, un barlume, solo un istante di pura speranza.
La speranza di poter ricominciare, di poter partire da zero. Di essere tutto ciò che mai, avrebbe potuto essere restando legato ad un nome, ad un mondo che non gli appartiene. Ma un nuovo nome, una nuova identità, legati a quelle nuove speranze, durate forse solo un attimo, quasi il tempo di un sogno illusorio, sono solo una labile fantasia, un’amara speranza. Mattia, Adriano Meis, si risveglia da quel sogno. Costretto ad accettare che quella nuova vita è fittizia, un’altra illusione, forse l’ultima. Non può sposare la donna che ama, non può sporgere denuncia per un furto subito. Adriano Meis non esiste. “Avrei potuto costruire una nuova vita a modo mio” .La sua unica soluzione è fingere il suicidio per tornare ad essere Mattia, per poter ricominciare ancora, per poter tornare indietro e riprendere quella vita che, sa, essere l’unica che possa essere vissuta. Ma quella vita non esiste più, Mattia non esiste più o, forse, non è mai esistito. Mattia Pascal è il simbolo di quell’umanità incapace di realizzarsi, incapace di concretizzare i propri sogni per più di un breve istante. Mattia Pascal è un uomo che sogna un’altra vita, un altro amore, un’altra pelle. Ancora lei, un’illusione, un’amara speranza. La sua terza vita, Mattia, la vivrà in totale solitudine, chiuso in quella realtà dalla quale aveva provato a fuggire, con la consapevolezza che “La vita o si scrive o si vive, io non l’ho mai vissuta, se non scrivendola.”
Con Il fu Mattia Pascal nasce il romanzo del Novecento, e più specificamente il moderno romanzo umoristico , lontano dai canoni ottocenteschi del realismo e poi del naturalismo; la narrazione qui (in prima persona dallo stesso protagonista che è onnisciente) è fatta «per raccontare e non per provare». C’è riflessione, ambivalente umorismo. Mattia Pascal in questo suo diario di viaggio non rende partecipe il lettore della sua onniscienza, non anticipa i fatti, ma offre un punto di vista sbagliato attraverso le scelte errate che compie. Pirandello vuole mostrare pian piano l’evoluzione del suo protagonista , il crollo delle sue certezze e la sua crisi di identità, ma non gli basta, è come se volesse convincere anche noi , attraverso l’esempio di Mattia Pascal, della validità della sua filosofia sulla società.
Il tema dell’identità, della maschera, della trappola rappresentano un classico della filosofia dello scrittore siciliano. L’identità è una necessità sociale e, quando Mattia Pascal prende coscienza di ciò, è troppo tardi. Ma nessuno mostra la sua vera persona, tutti indossano una protezione, un’altra faccia, una maschera appunto, con la quale presentarsi agli altri che adoperano lo stesso stratagemma. Il pensiero pirandelliano è sempre più attuale , nonostante sia passato un secolo dalla sua formulazione.
Il fu Mattia Pascal è il libro simbolo di Pirandello ed un romanzo senza tempo: le tematiche affrontate sono valide sempre e dovunque.