Pochi giorni dopo il G7 di Taormina, durante il quale il presidente americano già si era mostrato evasivo circa lo scottante problema globale dell’inquinamento e dei preoccupanti cambiamenti climatici a esso connessi, Trump ha annunciato chiaramente di non voler più osservare la carta di regolamentazione che dal 2015 impegna la maggior parte dei paesi industrializzati nella ricerca di fonti energetiche più sostenibili.
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Un mondo che odia la scienza è destinato a soccombere
Anche l’America odia la scienza, è questa la deduzione che possiamo fare dopo il varo ufficiale dell’ordine esecutivo dell’Amministrazione Trump sulla politica energetica. Quella che il vicepresidente Mike Pence ha definito “La fine della guerra al carbone” ha un significato storico senza precedenti.
Per la prima volta si torna indietro, vengono cancellate tutte le dimostrazioni scientifiche sulla correlazione tra riscaldamento globale e inquinamento, in ragione di uno sviluppo economico che si regge ormai su basi molto fragili. Una scelta scellerata che mette in discussione il già precario risultato ottenuto a Parigi nel 2016 e che pone il mondo davanti ad un pericolo più che concreto di autodistruzione.
Quello che sorprende è ormai la diffusa diffidenza, che sembra aver invaso le classi dirigenti di mezzo globo, verso la scienza sempre più ridotta ad ancella della politica economica. Eppure le riconversioni ed il cambio di paradigma energetico progettati da Obama promettevano nel lungo periodo risultati molto incoraggianti anche dal punto di vista economico. Come detto, però, la politica continua a navigare solo nel brevissimo e ci condanna ad un futuro sempre più fosco.
Il rapporto tra capitalismo sfrenato e ambiente ha radici profonde che hanno visto sinora soccombere sempre e comunque la natura. Considerazione banale è che all’interno di quell’ambiente ci vive anche l’uomo e se le condizioni vitali sono messe in discussione lo è anche la sopravvivenza della razza umana.
Se in America si piange, in Italia certamente non si ride. Le ferite già inferte al nostro Paese sono innumerevoli, ma in compenso se ne stanno preparando di nuovissime. Il recente referendum sulle trivelle, la TAP (si leggano gli articoli di Alessandro Cannavale sul Fatto Quotidiano) e la questione del petrolio lucano, dimostrano come si continui a ritenere l’ambiente esclusivamente come un bene di consumo.
Costruire un giusto rapporto tra la scienza e la politica è un passo fondamentale, perché ciò possa avvenire ci deve essere una spinta dal basso. Tale spinta è possibile solo istillando nell’elettorato le giuste priorità per lo sviluppo e la crescita rendendo popolare il metodo scientifico. Per fare ciò occorre investire sull’informazione corretta e sulla formazione.
È vitale invertire la tendenza perché il baratro è ad un passo.
“La vendetta di Gaia”, di J. Lovelock
In occasione dell “Earth Day”, giornata che ha celebrato ieri il nostro amato e maltrattato pianeta liamo segnalare il libro di James Lovelock, “La vendetta di Gaia” . “La Giornata Mondiale della Terra” è nata il 22 aprile 1970 con l’intento di onorare la Terra che ci ospita ricordando che è un dovere da buon cittadino oltre che una delle priorità di ogni governo, tutelare l’ambiente.
Sono decenni che si sente parlare di sviluppo sostenibile, di questione ambientale, del buco dell’ozono,dell’effetto serra, dell’emissione di anidride carbonica, del surriscaldamento del pianeta, dell’ inquinamento ma ogni volta che si affronta il problema ambientale sembre che lo si faccia per la prima volta, si pronunciano la medesime frasi retoriche: << Dobbiamo rispettare il nostro Pianeta>>, <<Bisogna cambiare le nostre pessime abitudini>>, <<Il clima sta cambiando per colpa nostra>>, ecc..
In effetti la Terra pare proprio volersi vendicare dell’uomo come recita il titolo dell’inquietante libro dell’ambientalista internazionale James Lovelock, “La vendetta di Gaia”(2006); secondo lo scienziato, che 30 anni fa ha ipotizzato l’esistenza di un unico organismo planetario in grado di regolare i propri equilibri,il nostro Pianeta è ormai giunto ad un punto di rottura. La situazione quindi sarebbe compromessa con i ghiacciai che si sciolgono e le industrie che inquinano, ma siamo certi che non si tratti solo di catastrofismo come se ci trovassimo in uno di quei disaster movie americani? Certamente il preoccupato professor Lovelock ha fatto il suo dovere a lanciare l’allarme, ma allora sarebbe inutile promuovere misure, eventi, decreti per salvaguardare la Terra se il nostro destino è segnato. Le polemiche attorno alle dichiarazioni apocalittiche dello scienziato non sono mancate; Tony Juniper, che dirige “Friends of the Earth” ha replicato a Lovelock: «Il professor Lovelock fa bene a tirare l’allarme ma è presto perportare l’umanità all’obitorio».
Noi essere umani viviamo e prosperiamo a spese di un altro organismo (Gaia appunto, come lo definisce Lovelock)come se fosse un qualcosa da plasmare come vogliamo, siamo dei parassati distruttori. Tutto questo è vero; è come se dopo anni e anni e anni di sfruttamento e violenze subite, un uomo si ribellasse ed attaccasse. Secondo Lovelock come non possiamo comprendere il funzionamento del corpo umano esaminando gli organi separatamente, allo stesso modo non possiamo nemmeno capire i cambiamente che subisce il nostro pianeta attraverso lo studio sterile delle componenti fisiche e biologiche, trascurando le loro relazioni.
Il biofisico britannico, lucido nella sua analisi che procede con l’uso di molti esempi, stime e numeri, sembra abbastanza convinto del triste scenario che abbiamo davanti proprio perché i fenomeni legati ai mutamenti ambientali sono stati sottovalutati. In effetti se si pensa solo all’ uragano Kathrina, notiamo come l’intensità di tali fenomeni sia aumentata. Anche il Premio Nobel Paul Crutzen, è concorde con Lovelock e ha proposto di definire «era dell’Antropocene» il periodo geologico cominciato con la rivoluzione industriale: «Siamo diventati una forza geologica in grado di modificare l’aspetto globale della Terra».
Ma come convincere i Paesi più industrializzati e popolati a ridurre, tanto per fare un esempio, l’uso delle automobili? O le grandi aziende a produrre rispettando l’ambiente?E’ chiaro che c’è bisogno di una sensibilizzazione al tema, è una questione culturale e non tutti sono disposti ad aumentare i costi in questo senso a scapito del profitto: utilizzare i pannelli solari, sfruttare l’energia eolica, rispettare la fauna. Non ci resta altra scelta.
Ma davvero è tutto perduto? Fare gli eco- pessimisti è troppo facile, sarebbe più prudente e di buon senso vestire i panni dell’eco- scettico, in fondo il dubbio lascia sempre aperto uno spiraglio positivo…
Nel dubbio ringraziamo gli “eroi” (WWF, Greenpeace, i Rangers, ecc) che ogni giorno lottano per difendere il nostro Pianeta anche rischiando la vita.