La letteratura, almeno negli ultimi due secoli, sembra uno dei pochi campi in cui le donne hanno pari possibilità di emergere, se comparate con gli uomini. Si pensi alla visionaria Virginia Woolf, e più indietro nel tempo alla solitaria e passionale Emily Dickinson o alle sorelle Bronte che riuscirono ad emergere in tempi assolutamente misogeni. Ogni donna, nella letteratura e nei suoi scritti porta qualcosa: se stessa, la storia del suo mondo, i suoi demoni.
La donna-scrittrice del Sudamerica è, senza alcun dubbio, Isabel Allende. La Allende rappresenta l’uragano inarrestabile che caratterizza la sua cultura di origine e la verbalizza nei suoi romanzi attraverso figure femminili forti, determinate ed indimenticabili. La sua abilità, oltre alla capacità di maneggiare splendidamente un ampio vocabolario attraverso una prosa scorrevole ed intrigante, sta nell’intrecciare abilmente e instancabilmente vite, storie e personaggi, con continue analessi e prolessi, che permettono al lettore di vivere in una temporalità quasi astratta, circolare e continua, senza mai nessuna brusca interruzione . Il viaggio da un continente all’altro, da una generazione all’altra, da una mente a una seconda, è delicato e fluido come un liquido che scorre lento e diventa impossibile perdersi. I lettori che hanno imparato a conoscere il suo stile semplice ma con punte di artistico puro, già dalle prime pagine sapranno riconoscere i futuri intrecci ed incontri tra i diversi personaggi, ma resteranno sempre stupiti dall’intreccio, dalle coincidenze e dalle occasione che porteranno i giganti in lotta e gli amanti nelle stanze della passione.
Sebbene tematiche ed ambientazioni possano ricordare il realismo fantastico del grande Gabriel Garcia Marquez e dei suoi Cent’anni di solitudine o de L’amore al tempo del colera, l’autrice spicca e si distingue nell’accurata personalizzazione e profondità di carattere che dona ad ogni attore che interviene nella storia, sia esso un personaggio minore o il protagonista stesso, con una particolare attenzione, come si è già detto, per il genere femminile. Eva Luna, Maya, Inès Suarez sono donne che appaiono quasi mitologiche, più o meno reali, donne che si assomigliano un po’ tutte tra loro poiché il tratto comune che le caratterizza risiede nel fatto che tutte hanno affrontato e vinto condizioni sfavorevoli, donne lontane ma attuali, che vincono la vita.
Donne non marginali, donne non solo innamorate che ci regalano i romanzi rosa, ma donne umili e coraggiose che fanno la storia: Eva partecipa alla rivoluzione, Inés conquista il Cile al fianco del suo amante. E forse, le donne, sono solo strumento modellato da una geniale Allende per raccontare il suo bel continente, troppo spesso disegnato dalla corruzione, dalle lotte e dalle dittature, per contestare questa storia sbagliata ma, allo stesso tempo, per esaltare i miti, le culture, l’amalgamarsi di razze che sono confluite nello stesso paradiso terrestre.
Una donna che scrive di donne dunque, per sconfiggere la censura, i pregiudizi, per dare forza e valore alla parte debole della società, che spesso ancora cela e nasconde il valore del genere femminile. Ma anche un esempio di tolleranza e apertura nei confronti degli altri, del diverso, di ciò che fa paura. Una via, forse, da seguire, per chi ancora è nascosto e cerca la forza di lasciarsi guardare. La Allende sembra invitare gli uomini stessi (che nei suoi romanzi vivono di luce riflessa delle donne, restando sullo sfondo della storia), a coltivare la loro energia femminile più nascosta, quell’intraprendenza unita alla pietas che può non fare che bene al mondo, senza però mai dimenticare che ci sono donne e donne e uomini e uomini.