La Napoli di Curzio Malaparte nella Conferenza “Mitografie della pelle” del Prof. Emanuele Canzaniello organizzata dall’Istituto Tasso di Sorrento

Napoli come porta dell’Europa, della Magna Grecia, della classicità, della ragione, è questa la città partenopea raccontata del romanzo La pelle dello scrittore toscano Curzio Malaparte, su cui si è concentrata la conferenza tenuta il 19 ottobre alle ore 17.00 presso la Sala Pegaso dell’Hotel Conca Park di Sorrento e organizzato dall’Istituto Torquato Tasso, dal Prof. Emanuele Canzaniello dal titolo “Mitografie della pelle”.

La descrizione che Malaparte offre di Napoli è, come ha sostenuto Canzaniello durante la conferenza, tra le più incisive e riuscite delle letteratura, corrispondente alla città che è entrata dell’immaginario collettivo avulso dai soliti luoghi comuni.

<<Non potevamo scegliere un luogo più pericoloso di Napoli, parte di un’Europa segreta>>, legge ad un certo punto il Prof. Canzaniello dal romanzo La pelle, il quale mostra come Malaparte consideri Napoli una città antica ma mai sepolta, dominata da un senso invincibile di passività, come chi è in balia di una calamità naturale. Ben disposta nei confronti degli Alleati, Napoli non ha mai manifestato tuttavia l’intenzione di affiancarli nelle operazioni belliche contro i nazisti. Malaparte ci dice che questa mancanza di “volontà” è dovuta al solo desiderio di sopravvivenza di Napoli, disposta ad adattarsi a qualsiasi espediente.

La città è vista dallo scrittore pratese come una grande fabbrica dell’appetito, che si vende e si danna quotidianamente, stordendosi in un vortice di irreale frenesia. La guerra ha annientato le risorse materiali e spirituali dei napoletani. Le coscienze e i corpi dei vinti sono martoriate vengono denunciare da Malaparte per il quale l’abisso coincide con la “macchina da guerra”.

Fortemente compromesso con il fascismo, di cui è stato uno dei primi ideologi, Curzio Malaparte si è sempre sentito estraneo ai vari filoni intellettuali che hanno caratterizzato il secondo dopoguerra sia Italia che in Europa, preferendo affrontarli con il suo mezzo più congeniale, ovvero quello della polemica.

Pochi scrittori sono riusciti ad raccontare il nucleo oscuro del potere degli Stati totalitari come Malaparte: da intellettuale di punta del primo fascismo, ma anche da corrispondente nella Russia sovietica e nell’Europa occupata dalle armate tedesche e terrorizzata da Hitler, lo scrittore ha avvertito e rappresentato la valenza epocale dello scontro tra la potenza tecnologica asservita a fini politici e le persistenti concezioni umanistiche che ancora vedevano l’uomo al centro della sua storia, ribaltando il paradigma che divide in due il Novecento e la modernità, i cui effetti sono ancora visibili.

Emanuele Canzaniello attualmente insegna letteratura francese presso il Dipartimento Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, concentrandosi sullo studio di autori antimoderni. Nel maggio 2013 ha concluso un dottorato presso l’Università di Bari, nell’ambito delle letterature comparate, dove si è proposto di rintracciare un’estetica del romanzo totalitario tra Francia e Italia. Ha tradotto alcuni lavori di Harald Weinrich e  pubblicato recensioni cinematografiche e articoli in «Le Parole e le Cose», «Nazione Indiana» e altre riviste. Un suo saggio sul caso e la letteratura è apparso nel volume Delle coincidenze, ad est dell’equatore, 2012.

Suoi interventi di critica e teoria della letteratura sono apparsi in «Between» e «Status Quæstionis».

 

Il video della conferenza è disponibile ISTITUTO CULTURA TASSO. EMANUELE CANZANIELLO – YouTube

Guido D’Agostino-Aniello Clemente: “Il filo rosso della storia di Napoli” domani presso L’istituto Tasso di Sorrento

Domani giovedì 29 luglio, alle ore 18,00, presso la sede provvisoria dellIstituto di Cultura “Torquato Tasso” il prof. Guido D’agostino terrà una conferenza sul «Filo rosso della storia di Napoli», moderato da Aniello Clemente.

Come si coniugano Storia e Teologia? «La resistenza non è solo dei civili ma anche dei militari. Ricordare più che un dovere è un diritto. Non bisogna dimenticare», queste parole sono dell’illustre ospite.

La lunga storia del Mezzogiorno e di Napoli il prof. Guido D’Agostino l’ha studiata avendone una visione storiografia che privilegia l’impostazione rivoluzionaria. Cioè esiste una ricostruzione legata dal filo rosso delle manifestazioni dettate dalla voglia di contare, di non subire passivamente, del dire un «no!» fermo a quello che non è sopportabile.

Ecco dove s’innesta l’unione Storia e Teologia. La realtà dell’uomo è stata da sempre al centro della riflessione teologica. Il suo destino, la grandezza dei suoi orizzonti e le pur immancabili cadute, la sua complessa e problematica compagine strutturale hanno da sempre interrogato la coscienza dei credenti e degli atei: «Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell’uomo perché te ne curi?» si chiedeva già il salmista alcuni millenni or sono meditando sulla finitezza dell’essere umano dinanzi ad un immenso cielo stellato (cf. Sal 8,4-5).

Uomo che quando prende coscienza di sé, deve anelare alla libertà. Nel 1507 la monarchia intende impiantare nel Regno l’Inquisizione “alla maniera di Spagna”, ma il popolo insorge e il re è costretto a ritirare il proclama. Quarant’anni dopo don Pedro de Toledo, detto “il viceré di ferro” (il re era Carlo V), decide di chiudere le Accademie ma il popolo e i nobili si ribellano e proprio questo fa in modo che l’iniziativa fallisca.

Nel 1585 l’assessore all’Annona (vettovaglie) aumenta il prezzo del pane senza immaginare minimamente le conseguenze di tale folle proposta. Nel luglio del 1607 sorge un capopopolo: Tommaso Aniello detto Masaniello. Di contro, caso più unico che raro è la rivolta del 1701 detta la congiura di Macchia, che prende il nome da Gaetano Gambacorta, principe di Macchia, con cui la nobiltà napoletana tentò senza successo di rovesciare il governo vicereale spagnolo, durante la crisi successoria che si verificò in seguito alla morte di Carlo II di Spagna con l’estinzione del ramo spagnolo degli Asburgo.

E giungiamo alla rivoluzione del 1799 che rappresenta nella storia di Napoli e del Mezzogiorno il salto nella Modernità culturale e politica, come se si scoprisse anche da noi il 1789 come fu per la Francia, e a proposito dice un grande storico francese che per capire meglio il 1789 bisognerebbe andare a vedere quei dieci anni dopo nella realtà napoletana.

Il Colloquio è in concomitanza con le celebrazioni del 20 agosto che ricorderanno i martiri napoletani. Scopo della conferenza è ricordare che è vero, che spesso le nostre battaglie finiscono come quelle di Cefalonia, nell’isola greca, infatti, ci fu un episodio di resistenza, che finì male: i tedeschi fecero una strage, furono migliaia i soldati uccisi.

Ma dobbiamo ricordare che la nostra guerra sarà vinta se ricordiamo che contemporaneamente, a Napoli, invece, l’impresa riuscì: i tedeschi furono vinti, cacciati, mentre Partenope danzava abbracciata ad Odisseo.

La Storia è sventrata dall’universalità delle concause: se il battito di ali della farfalla provoca un uragano, a cosa ricondurre la scintilla di una guerra o di una rivoluzione? «Quando ogni cosa è collegata a tutto il resto, dove inizia il processo?»; come ricordava Galileo Galilei: «Le cose sono unite da legami invisibili. Non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella».

 

Guido D’Agostino-Aniello Clemente: «Ricordare più che un dovere è un diritto!»

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