L’elfo in Tolkien: genesi di uno stereotipo

Se la letteratura Fantasy è debitrice nei confronti di Lord Dunsany per la riscoperta della mitologia alla base di un universo fantastico e degli esseri che lo popolano, la consacrazione di suddette creature è opera del celeberrimo scrittore de Il Signore degli Anelli.

Tolkien, infatti, pone al centro della sua epica gli elfi, e ne affronta la genesi amalgamando alla perfezione due facciate della stessa medaglia: le tenebre e la luce. Se da un lato ne delinea la dimensione nobile,  riprendendone il concetto di regno magico e adiacente, dall’altro riesce a evidenziarne una natura oscura e completamente distante dall’uomo.

Probabilmente per l’autore sono proprio gli elfi i testimoni dell’origine del creato. Sono loro i protagonisti indiscussi dell’età dell’oro, della prima parte della storia del mondo, che terminerà con l’avvento dell’uomo, padrone del futuro e del libero arbitrio.

Il popolo elfico rappresenta il logos che da il nome alle cose e che conosce i misteri della creazione, possiede un legame profondo con la natura che lo circonda, gli uomini, invece, sono depositari del segreto della mortalità e unici destinatari, nella Terra di Mezzo, di un aldilà sconosciuto.

D’altronde lo stesso Tolkien ha più volte chiarito che elfi e uomini sono due aspetti diversi della razza umana. Se i due popoli sono  costituiti del medesimo amalgama, ciascuno si differenzia  per i suoi punti forti e le proprie debolezze. È ovvio che per Tolkien gli elfi raffigurino l’amore per l’arte, per tutto ciò che è bello esteticamente, e grazie a queste creature che la natura umana si eleva. Sono profondi osservatori del mondo fisico, tentano di osservarlo e di comprenderlo al fine di preservare non solo la propria incolumità, ma anche quella degli altri esseri con cui convivono pacificamente. In tal senso si distanziano dagli uomini o almeno da una parte di essi, gretti, meschini , fallaci,  che si avvicinano al mondo solo per acquisire potere da esso e usarlo malvagiamente.

Gli elfi sono immortali, non in eterno, ma all’interno del loro regno finché dura, se uccisi nella loro forma incarnata, continuano a vivere disincarnati, oppure rinascono. Tale immortalità finisce con il diventare un peso, mano a mano che le epoche si avvicendano,  il cambiamento viene recepito da essi in modo traumatico, il popolo elfico vuole vivere in un universo cristallizzato, dove a congelarsi non è solo l’aspetto fisico ma anche le emozioni. Da qui il ritratto nella letteratura Fantasy di esseri algidi e imperturbabili.

Per questo caddero in parte preda degli inganni di Sauron: desideravano il potere sulle cose come stavano, perché il loro desiderio di conservare diventasse realtà: per fermare il cambiamento e mantenere tutte le cose fresche e belle”. (J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza, lettere 1914-1973. Rusconi 1990.

Gli elfi continuano ad avere un immenso potere evocativo, rimandano alla letteratura cortese e al contempo agli eroi omerici, sono stati gli spettatori dell’alba dei tempi, delle gesta gloriose dei prodi, della nascita dell’uomo, quello stesso uomo che lentamente si è affermato come successore e sovrano del mondo moderno, quello stesso uomo che ha deciso di relegare in un angolo recondito il potere del sogno, quello stesso uomo, ultimo testimone del tramonto del meraviglioso.

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