“The Doors”: tra Angeli e Demoni

Gran bel periodo gli anni ’60 in California. Durante tutto il decennio si erano avvicendati gruppi fondamentali per la storia della musica: The Beach Boys, The Byrds, The Kingston Trio. Poi la Summer Of Love, l’utopia hippie, gli acid test hanno trasformato il sound della West Coast in una magnifica visione psichedelica. Le cavalcate lisergiche dei Grateful Dead, i “cuscini surrealistici” dei Jefferson Airplane, il “sabor latino” dei Santana e le splendide armonie dei CSN&Y, solo per citarne alcuni, hanno fatto del Golden State il centro nevralgico della nuova avanguardia artistico/culturale. A guidare questa irripetibile stagione musicale è una formazione decisamente atipica per l’epoca, senza un bassista, composta da quattro ragazzi di Venice Beach capitanati da un leader bello e maledetto: lui è Jim Morrison, il gruppo si chiama “The Doors”. Il nome così insolito è preso in prestito da un libro fondamentale per la controcultura giovanile: Le porte della percezione di Aldous Huxley. Immediatamente famosi per i loro show incendiari ed iconoclasti, Morrison e soci sono messi sotto contratto dall’Elektra e nel gennaio del 1967 pubblicano il loro folgorante debutto.

“Mi piacciono i musicisti blues, jazz e country perché non fanno altro che continuare ad esplorare la propria musica. Ciò che conta è che musicisti, poeti e artisti in genere continuino a esplorare il proprio campo d’azione.” (Jim Morrison)

Inciso ai Sunset Sound Studios nell’estate del 1966 ed intitolato semplicemente The Doors, quest’album irrompe con una deflagrazione impressionante nel panorama artistico statunitense grazie al suo suono inconfondibile, alla fusione di generi assolutamente diversi tra loro quali il rock, il blues, lo spanish, il pop ma soprattutto grazie ad una voce tenebrosa e sensuale che canta versi incendiari e tormentati. Già dalla copertina si intuiscono le gerarchie all’interno della band. Il volto efebico di Morrison copre e fagocita le figure intere di Manzarek, Densmore e Kriger relegate in un angolo. Jim è letteralmente il deus ex machina del gruppo, l’uomo senza il quale gli altri non hanno ragione di esistere. Il disco restituisce esattamente la stessa sensazione. Su un tappeto strumentale ipnotico magistralmente fornito dal Vox Continental di Manzarek e dalla Gibson SG di Kriger si inserisce il cantato torbido del Re Lucertola che declama liriche ermetiche, erotiche ed estreme. Il magnifico riff ed i riferimenti alla droga di “Break On Through (To The Other Side), la torrida “Soul Kitchen”, l’onirica “The Crystal Ship”, la martellante “Alabama Song (Whiskey Bar)”, l’arcinota “Light My Fire” (forse il più grande successo del gruppo scritto, peraltro, da Kriger) fino ad arrivare all’epica ed edipica “The End”, rappresentano una nuova frontiera dell’eccesso, una nuova commistione tra musica e poesia ed una nuova interazione tra immagine pubblica e tormenti privati.

Jim Morrison-On Stage-1968

Morrison diviene immediatamente un’icona, un sex symbol, un guru; il sacerdote indiscusso per milioni di ragazzi affascinati dal suo demone interiore che lo porta ad essere una pietra lanciata contro la mentalità borghese, un “angelo con la faccia sporca” capace di sovvertire l’ordine costituito con la sola forza della sua presenza e delle sue parole. Ben presto la vita avrà, però, il sopravvento sulla musica ma la forza rivoluzionaria e la bellezza indiscutibile di quest’opera non possono senz’altro essere dimenticate. L’influenza che ha avuto negli anni a seguire non può nemmeno essere misurata dal momento che i Doors ed il loro capo carismatico hanno semplicemente contribuito a ridefinire i termini di “rock band” e “rock star”. Dopo di loro è cambiato in maniera definitiva il look, il modo di stare sul palco, il rapporto coi media e con le forze dell’ordine, l’immagine pubblica e privata di ogni gruppo che aspirasse ad avere un posto di riguardo negli annali del rock. Dal punto di vista musicale ascoltare quest’album, anche ad anni luce di distanza, riporta alla mente un periodo che c’è stato in cui la fantasia era realmente al potere e la libertà era l’unica cosa che contava.

Pino Ciccarelli: “Magari in un’altra vita”

L’autore Pino Ciccarelli

“Ogni musica che non dipinge nulla non è che rumore.” Jean Baptiste le Rond d’Alembert, “Enciclopedia”, 1751.

“Perchè è questo ciò che fa la musica, dipinge la nostra anima, la nostra vita, ...magari in un’altra vita.”

Bob Dylan, Edith Piaf, Nicola Di Bari, Chicago, Bee Gees, Marcella, Elton John, Gabriella Ferri, Nuovi Angeli… Ogni pagina è musica, ogni parola è arte, pura poesia, un dipinto che segna l’anima.

Giovedì, 12 dicembre, Pino Ciccarelli, sassofonista napoletano, ha presentato presso la libreria Marotta&Calfiero store, il suo primo romanzo. Pagine e pagine che, vorresti, non finissero mai. Parole e musica.

Giuliano e Riccardo iniziano così la loro amicizia. Ciò che li lega è qualcosa che non puoi spiegare, perchè la musica, i ricordi, l’anima che vibra, non puoi spiegarla. Non puoi darle un senso reale. Lei vola, la musica e, con lei, anche le parole di questo splendido libro.

L’autore ripercorre così, attraverso un’amicizia che strappa e regala lacrime e sorrisi, la bellezza di un’epoca che, mai, potremo rivivere, non nel concreto almeno. La forza di quel mondo, di quegli anni, gli anni ’70, che rinascono nella memoria attraverso una canzone, una melodia, quella melodia mai dimenticata. Perchè quegli anni erano così. Ci batteva il cuore, allora. In quel tempo finito che lascia un segno indelebile nei cuori di chi li ha vissuti, amati, ancora una volta, mai dimenticati.

Amore, amicizia, odio, forza, coraggio, passione, desiderio di andare oltre, di strapparla con i morsi e con i denti questa vita, quella vita, che, molto spesso, non lascia scampo. Ma solo un breve ricordo. I ricordi di una vita.

La musica vive in ogni parola scritta dall’autore. Rende, ogni istante che vive nella mente, indistruttibile. La musica è anche questo. Indistruttibile. Una forza inaudita, inspiegabile, come un’onda che si infrange sugli scogli in una giornata di fine estate. La parole scorrono veloci, ci trascinano in un mondo che è stato ed è ancora il nostro. Ne abbiamo ancora di ricordi di estati passate alla ricerca di un sorriso, quello della ragazzina che ci fa battere il cuore, di scommesse fatte con gli amici dopo una partita di calcetto, di momenti e sguardi rubati al destino. Un destino beffardo, maligno. Un destino bastardo.

E poi ancora, i sogni proibiti, i desideri, la vita che scorre, la voglia di fermarla, o forse di correrle dietro, perchè il tempo va, inesorabile. Un’estate diventa una vita intera. Un ricordo, resta un macigno che non si alleggerisce mai, nemmeno dopo 32 anni. I ricordi, belli o brutti, restano dentro e la musica, la nostra musica, li riporta a galla e non lascia scampo.

Riccardo ama la musica, Riccardo ama la vita, e ama Tecla. Ma questa vita sembra troppo poco per lui, per quella chitarra che continua a suonare nonostante tutto, nonostante il tempo, il dolore, i brutti ricordi, il sangue che scorre.

Giuliano è li, guarda, osserva la vita che continua a muoversi, che vorrebbe rendere sua. In un corpo non ancora maturo e con la mete che aspetta un futuro che non tarda ad arrivare e a colpire, come quel pugno allo stomaco.

E i litigi, la fine di un’estate come la fine di un’amore. Le persone sbagliate, le decisioni da rimpiangere, da ricordare in eterno in quella Napoli anni ’70 che lascia un vuoto, una lacrima che bagna il viso.

In un linguaggio semplice e diretto, Pino Ciccarelli ci porta con lui. Non ha bisogno, però, di prenderci per mano, per accompagnarci in questo mondo, tra queste parole. La musica, la sua musica, lo farà per lui. Ci porterà accanto a Giuliano, alla sua voglia di imparare, di amare, di essere, di vivere, di non lasciare andare. E ancora, accanto a Riccardo, un “ragazzino” che resterà dentro di noi, alla fine di queste immense pagine, come un Jim Morrison, un Jimi Hendrix, a cui forse, questa vita, andava ancora troppo stretta. Non lo so, non lo sapremo mai.

E così, nella periferia cittadina, osserviamo, ascoltiamo, restiamo accanto a loro. Ai nostri protagonisti, quelli che diventano amici, che diventano compagni di giochi e scherzi, di una vita intera. Una vita che non aspetta, una vita che non torna indietro.

“Essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro.” Bob Dylan.

Ma tutto questo accadrà “Magari… magari in un’altra vita.”

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