‘Il giovane europeo’: l’altra Europa di Pierre Drieu La Rochelle, dove l’uomo non sa più esprimere nulla

Nato a Parigi nel 1893 da una famiglia borghese di origini normanne, Pierre Drieu La Rochelle condivise le inquietudini e le delusioni di una generazione sconvolta dalla Grande Guerra e dalle macerie spirituali di un vecchio mondo in rovina. Alto, snello, elegante – terribilmente attraente – con un sorriso breve e raffinato, aveva un aspetto penetrante e diretto. Si contraddistinse come il tipo del “martire rivoluzionario”, sfidando le convenzioni “di destra e di sinistra” per il bene dell’Europa, e senza dubbio ci parla ancora attraverso i suoi libri.

L’attualità della sua figura riguarda, in particolare, un “sovranismo europeo” (diremmo oggi), la cui preoccupazione fondamentale è che la rinascita dell’Europa non agisca per distruggere le nazioni a mezzo di una economia iper-liberista, ma per integrarle in un orizzonte più vasto. A proposito di prospettive spirituali e critiche del nostro autore in tema di Europa: è stato pubblicato quest’anno da Aspis in prima edizione italiana, curato e tradotto da Marco Settimini, “Il giovane Europeo”, uscito in Francia nel 1927. I testi che vi sono raccolti incarnano, con vigore sincero, un originale spirito di combinazione tra eccentricità dadaista, entusiasmo futuristico per l’innovazione tecnica e rivolta surrealista, pur mantenendo il ricordo della tradizione classica.

l libro si compone di tre saggi. I primi due, sotto forma di ritmi narrativi di un diario, descrivono le esperienze di un giovane europeo del XX secolo – dallo sport alla politica, dalla religione alla tecnica, dalle sperimentazioni artistiche e culturali alla rivoluzione e alla guerra – un uomo che matura lentamente un senso di inevitabile decadenza e si vede smarrito in una terra che non sente più come patria.

L’altro saggio, partendo dalla descrizione di una music hall, allegoria dello “spettacolo” della vita moderna, sviluppa una riflessione atroce sulla “strana” bellezza e sul fascino di una civiltà in decomposizione. Seguendone le bizzarrie, si capirà presto che l’autore cerca piuttosto di liberare la propria anima dal complesso dramma del tempo, per offrire soluzioni ai tempi che verranno. Con uno stile visionario e surrealista, le feroci critiche alla modernità richiamano politicamente le parole dell’illustre predecessore Alexis de Tocqueville, senza dimenticare i contemporanei Bernanos e Céline.

Sogna di trasferirsi in America, di dedicarsi agli affari, sposarsi e avere un figlio, ma “Passando dai grandi eserciti d’Europa alla guerra brutale che l’americano incessantemente conduce contro la Natura, mi resi presto conto di non aver mutato di clima”.

Troviamo, inizialmente, gli elementi di una mitologia bellicosa che diventano la matrice della sua concezione dell’azione e della sua visione del mondo. Il divario tra questa mitologia eroica e l’esperienza della prima guerra industriale anonima, tuttavia, rivela una realtà in cui i soldati sono antieroi passivi, schiavi delle macchine, che si comportano come un gregge – come le masse nei regimi democratici. Sopraffatti dall’atroce esperienza della Grande Guerra, delusi dal lugubre immobilismo del vecchio mondo, che vedono ricadere nella routine delle abitudini borghesi, gli scrittori di quella generazione, cui Drieu La Rochelle non fa eccezione, sperano ancora di dare un senso a una modernità che fugge via in un perpetuo movimento di accelerazione verso il vuoto. La crisi spirituale scatenata dalla guerra lanciò il suo incantesimo sull’intera epoca che precedette lo scoppio dell’altro conflitto mondiale.

Nel mettere in discussione le fondamenta di tutto un mondo, il nostro autore coglie queste impressioni:

Mi sforzo di avvicinare, fino a toccarli con le dita, i caratteri della mia epoca. Li trovo abominevoli, e così dominanti che l’uomo infiacchito non potrà più sottrarsi alla fatalità che enunciano, e ben presto ne morirà.
Meccanizzazione, egualitarismo, sono i ragni che tessono la tela dei loro crudeli nomi tra le mie palpebre. Vedo un orizzonte fatto di sbarre di prigione. Il soffocamento dei desideri tramite la soddisfazione dei bisogni, questa è la polizia parsimoniosa, l’economia sordida che deriva dalle facilitazioni con cui ci opprimono le macchine e che l’avrà vinta sulle nostre razze. L’uomo ha del genio soltanto se ha vent’anni e se ha fame. Ma l’abbondanza delle drogherie uccide le passioni. Rimpinzata di conserve, nella bocca dell’uomo si crea una pessima chimica che corrompe i vocaboli. Niente più religioni, niente più arti, niente più linguaggi. Sconvolto, l’uomo non esprime più nulla.

Il XX secolo aveva reso obsolete non solo le vecchie forme di civiltà, ma l’ordine stesso uscito dai Trattati di Westfalia (1648), inaugurando un’era di imperi continentali che aveva diminuito il significato e la “sovranità” dello stato-nazione. Finché l’Europa fosse rimasta politicamente fratturata, avrebbe rischiato, quindi, non solo un’altra lotta fratricida, come nei fatti avvenne, ma il dominio delle potenze continentali del capitalismo americano e del comunismo sovietico, per non parlare di quelle degli imperi cinese e indiano, che irrompono all’inizio del XXI secolo.

La Francia, la Germania e le altre nazioni europee, in altre parole, avrebbero potuto sopravvivere all’era degli imperi continentali – con le loro economie di scala e la tirannia dei numeri – solo attraverso la federazione, che non significava tuttavia liquidazione nazionale. A differenza dell’attuale Unione, la federazione di Drieu La Rochelle non consisteva nel subordinare i popoli del continente al primato del libero mercato divinizzato. Influenzato nella sua giovinezza da nazionalisti come Charles Maurras e Jacques Bainville – che lo iniziarono al culto della Francia, che egli amava “come una bella donna che potrebbe incontrarsi per strada di notte” – allo stesso tempo vide che il nazionalismo aveva raggiunto un punto morto, sia in termini di rivalità autodistruttive che di limitazioni imposte allo spirito europeo. Tutti i nazionalismi che rendono la patria una fine piuttosto che un inizio stavano respingendo le stesse energie e creatività nate dalla patria stessa.

Dopo i contatti con il movimento surrealista, iniziò un forte avvicinamento ai socialisti, non vedendo altri mezzi per raggiungere i suoi desideri per la federazione europea. Tuttavia, il socialismo di Drieu La Rochelle aveva poco in comune con il marxismo – con il suo universalismo, il collettivismo e il materialismo paralizzante. Piuttosto, il suo era il socialismo che Spengler attribuiva ai prussiani: il socialismo organico e autoritario che subordinava l’economia alla nazione e perseguiva i fini sociali privilegiando lo sviluppo dello spirito e della vitalità.

Anche il fascismo, che abbracciò successivamente, non era in lui del tutto ortodosso. L’interesse era più esistenziale che politico. Piuttosto che il nazionalismo piccolo-borghese, anticomunista, fissato nello stato, lo attrasse l’istintiva opposizione all’ordine liberal-capitalista, l’enfasi su gioventù, salute, ribellione, azioni virili, e in particolare la volontà nietzschiana di vivere pericolosamente. Il “fascismo” in Drieu derivava, in definitiva, dall’identificazione con la volontà di superare la decadenza nata dall’età moderna e, nel farlo, di realizzare una comunità spirituale superiore.

A seguito della battaglia di Francia (maggio-giugno 1940), che confermò la sua scarsa opinione del regime parlamentare francese e la convinzione che l’esercito, nel subire la più grande débacle nella storia nazionale, riflettesse la natura sclerotica dell’ordine sociale borghese, La Rochelle tentò di sfruttare al meglio una situazione ostile, collaborando con l’occupante tedesco, nella speranza di creare in Francia un certo rispetto per la Germania nazional-socialista e, nel frattempo, di rendere il fascismo meno nazionalista e più europeo e socialista. Rassegnandosi al fatto che i francesi non erano riusciti a realizzare la propria rivoluzione, era propenso a pensare che questa dovesse essere imposta dall’esterno. Con questo spirito assunse la direzione della più prestigiosa rivista francese, la Nouvelle Revue française e si impegnò in varie attività per dare sostanza agli ideali collaborazionisti, per unificare l’Europa realizzando il tipo di rivoluzione che aveva rianimato la Germania dopo il 1933.

Ancora una volta sarebbe rimasto deluso. Sempre più alienato dagli occupanti e ossessionato dall’imminente destino dell’Europa, si rifiutò di rifugiarsi in Svizzera o altrove, una volta che la possibilità si presentò dopo il 1943. Sentiva che era una questione d’onore. La notte del 15 marzo 1945, mentre si nascondeva dal nuovo regime instaurato a Parigi, deglutì una fatale dose di veleno.

Drieu La Rochelle riconobbe che l’Europa era una specie di mito, la cui risonanza aveva ancora il potere di evocare quelle forze che avrebbero potuto sfidare la decadenza regnante. La sua visione della federazione, questa Europa dei patrioti, cercava di ravvivare lo spirito specifico di forme di vita uniche e incomparabili, non di dissolverlo in un mercato unico mondiale. Tuttavia, le sue parole non lasciano molte speranze:

Di tutte le civilizzazioni sotto i nostri occhi, non ci rimane oggi nient’altro che un’unica civilizzazione planetaria, tutta logora.

 

Gabriele Sabetta

‘Una donna alla finestra’ di Drieu la Rochelle: un romanzo ambiguo sulla decadenza e un confronto con la Grecia metafisica

Una donna alla finestra di Pierre Drieu la Rochelle è un romanzo sulla decadenza e nella decadenza, scritto in un tempo magnifico e disgraziato nel quale i più grandi sogni degli uomini si sono trasformati nei loro peggiori incubi.

Tre francesi, un italiano, più un tedesco, un persiano, un danese e un serbo. Sembra l’inizio di una barzelletta, invece è l’elenco dei personaggi che animano l’Atene cosmopolita degli anni Venti, sfondo e protagonista di Una donna alla finestra, appena riapparso nelle librerie italiane per le edizioni GOG. Un romanzo ambiguo, sottile, che si avvia nel banale schema di un ménage a trois, una donna sposata che si innamora di un altro uomo, sostenuta dall’alterno beneplacito del marito. Situazione strana e paradossale ma non troppo, se si considera che la donna è una giovane francese che ha sposato il marchese Rico Santorini, dell’ambasciata italiana, dandy latin lover e dissoluto ma non sprovveduto; mentre l’uomo al cui fascino crolla è Michel Boutros, comunista francese che una notte, scappando dalla polizia, si rifugia nella stanza d’albergo in cui alloggia proprio la bella Margot, che lo protegge e si fa complice della sua fuga.

Una donna alla finestra procede su più piani, come sempre accade nei testi di Drieu, tra l’intreccio amoroso dei tre, il profilo politico che ciascun personaggio rappresenta e il confronto estetico e metafisico tra la Grecia che fu patria e culla della civiltà europea e gli europei moderni che alla Grecia fanno ritorno. Una Grecia che però dell’antico spirito conserva solo i resti archeologici e pare far da proscenio alla vicenda umana che si avviluppa negli abissi della modernità industriale, meccanizzata e borghese. Una vicenda che ci restituisce una visione dell’uomo e del mondo tornata oggi, in tempi di turbolenta transizione, di stringente attualità.

Non è difficile individuare nei tre protagonisti una scissione dell’animo e dei sentimenti dello stesso Drieu la Rochelle. Da un lato l’autore conserva per tutta la vita un forte afflato verso i nobili ideali e i costumi che sono caduti insieme alla nobiltà e alla società europea tradizionale: li interiorizza ma sa di non poterli esprimere in una società che li rigetta, travolta dall’impeto delle industrie e della nuova morale. Valori che si risolvono allora in quell’individualismo tragico comune a diversi scrittori dell’epoca che si resero interpreti dello scontro tra l’intimo, fortissimo, desiderio di raggiungere vette alte e la meschinità del quotidiano moderno. Scrittori come Drieu o Majakovskij che, va aggiunto, trovarono la pace solo suicidandosi. Lotta contro il mondo moderno e le sue forme che diventa in Drieu anche istinto rivoluzionario. Sarà il fascino dell’estetica rivoluzionaria, l’unica capace di infondere nell’animo di Drieu l’eroismo di cui sentiva bisogno, sarà pure per la politicizzazione delle masse e l’inevitabile scontro tra posizioni inconciliabili, certo è che l’autore incarnò quell’ambiguità tra la volontà di ribaltare la società borghese, della macchina che così tanto spazio esistenziale sta sottraendo all’uomo, e la conservazione di riti e miti dell’Europa classica.

Ambiguità che lo porterà a nutrire fascino e ammirazione verso il comunismo ma anche il fascismo e il nazionalsocialismo, pur filtrati da una morale aristocratica e da una visione elitaria e estetizzante della vita. Infine quella voluttà femminea, la volontà di un radicamento alla terra che non fosse solo ideale puro e ascesi eroica, ma anche passione, eternizzazione del sé nell’atto d’amore e nel desiderio sessuale, nella perdita di orientamento tra l’amore divino e l’amore terreno che si fa strada nel Diario di un delicato (volume che vede la luce quattordici anni dopo Una donna alla finestra). Occorre molto amore divino per perdonare il rifiuto dell’amore umano, scrive un uomo che di donne ne ebbe parecchie e da loro fu catturato quanto se non più che dalla ricerca metafisica cui concedette qualsiasi appiglio, dalla politica all’amore, dalla letteratura alla religione.

Il primo dei tre tipi d’animo di Drieu è Rico Santorini, il secondo Michel Boutros, il terzo ovviamente Margot Santorini. Tre personaggi tanto diversi, accomunati dalla fragilità di un percorso individuale disseminato di ostacoli. Rico pare un uomo spregevole, marito onesto nei suoi sentimenti, Margot

l’aveva amato per ciò che di lui vi era di perduto e inutile. Ma allo stesso tempo si era compiaciuta all’idea di renderlo diverso da ciò che era, e quell’illusione aveva giocato un ruolo assurdo nel momento del suo matrimonio.

Un uomo raffinato e amorale, cavaliere senza destriero, nobile senza feudo, un italiano che dice di non esserlo,

è Mussolini che è italiano, io non sono niente. Io sono di ogni luogo e di nessun luogo, sono del paese delle donne, del paese di quelle che non ho ancora avuto.

Boutros è un ragazzo particolare, un comunista che per il suo ideale rivoluzionario rischia la vita, ma non è un proletario, un uomo del popolo. Non si conoscono le sue origini, verso i diciotto anni il lusso lo aveva affascinato, ma non per molto, dopodiché null’altro che il comunismo. La donna e il denaro non erano state per lui che una cosa sola. Il denaro, il lusso, gli svaghi non avevano alcuno splendore se non quello che offrivano alla donna. Boutros è il rivoluzionario romantico, delinquente e affascinante, rinnega la sua origine borghese negando anche la propria sensualità fino a votarsi alla castità pur di non cedere spazio alla mollezza, prima nemica di un rivoluzionario di professione. Infine Margot, donna magnifica, tanto bella quanto straziata dalla pochezza della sua vita quotidiana, legata a un marito che non ama e a un ambiente sociale che detesta e di cui si fa beffe ogni volta che può. Boutros finendo in casa di lei le aveva dato l’occasione di tornare a vivere un poco, senza saperlo sprona Margot a donare nuovo senso alla sua esistenza, trovare quella cosa che la mia vita cercava oscuramente, quella forza. La forza che viene dall’amore, ma un amore ambiguo, lacerante e mai palese, che non sa fin dove potrà condurla.

Una donna alla finestra è un romanzo, si diceva, sulla e nella decadenza, ricco di contraddizioni tra le aspirazioni e le attività di personaggi che non fanno della propria vita ciò che vogliono ma ciò che tocca loro farne, mentre ciascuno di essi trova un appiglio fuori di sé per darsi un senso: chi nel sesso, chi nell’ideologia, nel denaro, nella civetteria o nel potere. Un romanzo in cui ci si rende conto che ci si butta in politica o nei grandi affari come in qualsiasi altra cosa per dimenticarsi, per distruggersi. I parallelismi e i contatti con l’epoca odierna sono evidenti e sconfortanti, eppure Una donna alla finestra non è un romanzo pessimista: ciascun personaggio evolve, nella propria individuale complessità, e prende radicali decisioni che ci rendono l’idea che qualcosa in fondo può essere fatta, che non per forza ci si debba lasciar vivere ma a un certo punto è concesso, a patto di sofferenze e fermezza, di iniziare a vivere.

Come scrive Marco Settimini nella postfazione,

Drieu deplora il fatto che ovunque nel mondo gli uomini siano estatici di fronte alle tombe, ma (o meglio poiché) la vita presente sfugge loro, si assenta, evapora. Muore.

La Grecia è proprio una di queste tombe, chi la attraversa non può ammirare che qualcosa di morto e putrescente ancorché maestoso. Di fronte a questa morte non resta che cercare di avviare la propria vita verso un sentiero in salita, pensare, come Boutros:

sono nato tra delle razze vecchie; sulla superficie della terra forse non intravedo più che delle folle sterili; eppure in me c’è un sangue fresco come in quegli indomiti canti. Io sono lo Spirito, la vita eterna!

E questo è Pierre Drieu la Rochelle, la rotta che indica a chi vuole prestargli ascolto. È l’aristocrazia della vita.

Da romanzo di Drieu è stato tratto nel 1976, l’omonimo film di Deferre con Romy Schneider, Philippe Noiret, Umberto Orsini e Victor Lanoux.

 

Fonte: L’intellettuale dissidente

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