Federigo Tozzi (Siena, 1 gennaio 1883- Roma, 21 marzo -1920) nasce da una trovatella e Ghigo (soprannome di Federigo), un uomo violento pronto ad esibire il proprio potere sino ad imporre il proprio nome al figlio, quasi a stabilire il proprio dominio su di lui. La madre, donna debole, non riesce a opporsi ai tradimenti del marito e alle violenze contro il figlio.
Federigo Tozzi sin da giovane si opporrà al padre rifiutando di occuparsi della trattoria e dei poderi di famiglia. È indisciplinato e frequenta diverse scuole senza successo. Durante la continua ricerca di sé, nel 1900 si scrive al partito socialista pur dichiarando di essere anarchico. È utile fare un appunto sul concerto di anarchia per Tozzi, poiché egli non crede nel termine come concetto politico, bensì come una condizione dell’uomo cui è arrivato. Egli raggiunge tale concezione in opposizione alla censura del padre, attraverso un evidente complesso edipico non risolto e grazie agli studi letterari. In questo periodo legge Poe e Joyce, nel pieno della sua passione per la psicologia. Intanto una malattia venerea lo costringe all’isolamento che culminerà con una conversione religiosa iniziando a scrivere poesie aforismi e racconti.
Alla morte del padre eredita i poderi e la trattoria che non riesce ad amministrare; da questo materiale trae il romanzo “Il Podere”. La sua scrittura è inizialmente influenzata da D’annunzio e Nietzsche. Il 1913 è l’anno della svolta, poiché si libera dall’influenza dannunziana e fonda la rivista “la Torre” ispirata al cattolicesimo e al sogno del potere assoluto del papa.
Dal 1914 si trasferisce a Roma frequentando Pirandello con cui condivide l’impegno di fondare la narrativa su basi nuove e non più tradizionali. La poetica di Tozzi emerge in particolare dal suo articolo “come leggo io”. Essa è fondata sullo svuotamento della trama tradizionale: apparentemente Tozzi lascia la struttura tradizionale della letteratura (impalcatura) che però è svuotata dall’interno. Trae spunto dal flusso di coscienza di Joyce ma, proprio perché mantiene la struttura tradizionale del romanzo, se ne differenzia.
Il punto di vista narrativo è tutto calato nella dimensione onirica-grottesca e deforme, tanto da paragonare Tozzi a Kafka.
È importante specificare che il cattolicesimo di Tozzi ha come Dio un padre persecutore, identificabile con la figura del padre biografico. La vita resta incomprensibile e va accettata dall’uomo che ha nella propria anima questo Dio. Lo scrittore toscano vede nell’anima sia la manifestazione del sentimento religioso sia la sede dell’inconscio per cui la scrittura psicologica è sempre scrittura religiosa. Dunque se il mondo è per Tozzi un mistero egli lo rappresenta come tale, anche se la materia narrativa è quella dei romanzi veristi. Il podere, infatti, richiama Verga.
L’autore rappresenta un precursore del naturalismo che non si ferma alla spiegazione oggettiva del reale ma ne dà una propria, deformante e grottesca. La sua cultura psicologica non si rifà a Freud ma solo a Joyce, il quale sollecita Tozzi a registrare, ma non a spiegare la psiche. È per questo che lo scrittore è estraneo alla scrittura ironica e razionale di Svevo, al quale però si avvicina per la sua polemica contro i “frammentisti vociani” e il tentativo di ricostruire i generi da loro abbandonati: la novella e il romanzo. La sua funzione storica è stata appunto quella di rifondare il romanzo e tra gli autori della sua generazione è stato l’unico ad avvicinarsi a Svevo e Pirandello.In Federigo Tozzi la pressione dell’inconscio, superando la censurare, crea angoscia, si potrebbe dire che dall’impossibilità di mostrare certi contenuti e la volontà di farlo, nasce una formazione di compromesso rinvenibile nelle rappresentazioni dei personaggi. Per questo i personaggi tozziani risultano “brutti” e non tanto per la conferma di una diagnosi clinica o di un giudizio morale del narratore, come avveniva per la narrativa naturalistica. In Tozzi i personaggi sono brutti indipendentemente dal giudizio dell’autore su di loro.
La finalità del romanzo di Federigo Tozzi è divenuta quella di “disoccultare un oltre”, mostrando sulle facce dei personaggi l’angoscia dettata dall’inconscio. È estremamente utile concludere con la celebre citazione debenedettiana su Tozzi. Il critico afferma che <<il naturalismo narra in quanto spiega, Tozzi narra in quanto non può spiegare>>.
Romanzi
“Con gli occhi chiusi” (1919) è la storia di Pietro, figlio di Domenico, un padre dispotico che cerca di imporre al figlio il lavoro nel podere di famiglia. La madre di Pietro è una donna mite, che non riesce a ribellarsi alla durezza del marito. La storia si sviluppa prevalentemente nel podere di Poggio a Meli, dove Pietro si innamora di una giovane contadina di nome Ghìsola. La relazione di Pietro con Ghìsola non è accettata dal padre, che con la sua sola presenza riesce a inibire i due. La relazione tra i due giovani, in realtà non si consuma, poiché Pietro scopre la vera natura di Ghìsola. “Con gli occhi chiusi” è il romanzo che rappresenta maggiormente lo svuotamento dell’impalcatura tradizionale del romanzo, riempita questa volta da contenuti apparentemente dislocati tra loro, che in realtà rappresentano un unico filo conduttore: l’inconscio.
Tre croci (1918)
È la storia dei tre fratelli Gambi: Giulio, che possiede una libreria, Niccolò, che traffica oggetti falsi di antiquariato, Enrico che lavora come rilegatore. I tre fratelli cadono in rovina, dopo aver vissuto un breve periodo di benessere economico, grazie ad un lascito paterno. Il declino economico avviene a causa della falsificazione su tre cambiali della firma del cavaliere Orazio Nicchioli, il quale si era proposto come garante solo per una cambiale. L’imbroglio viene svelato dalla banca e Giulio dalla vergogna si suicida in libreria. Niccolò morirà dopo poco a causa della gotta, mentre Enrico morirà pazzo in una clinica.
Il Podere (1921)
Remigio Selmi è il figlio del proprietario del podere, che decide di non occuparsi della proprietà di famiglia, a causa dei rapporti conflittuali con il padre, e accetta un lavoro nelle ferrovie. La sua vita cambia in frette a causa della morte del padre, che di fatto consegna il podere di famiglia nelle sue mani. Totalmente incapace di gestire il podere e i rapporti con i contadini, Remigio inevitabilmente porta il podere alla rovina. Berto, un contadino al culmine della sua ira nei confronti di Remigio lo uccide.
È evidente che i tre maggiori romanzi di Federigo Tozzi abbiano come spunto di analisi la biografia dell’autore.