Intervista al poeta emergente David Valentini

Il giovane poeta emergente David Valentini, autore della raccolta poetica La via smarrita, colpisce per la sua capacità di mettere in versi concetti filosofici, ispirandosi a poeti come Palazzeschi, Montale e Ungaretti; la poesia per lui è essenzialmente di contrasto e negazione del valore meramente commerciale dell’opera “libro”. Valentini ha due romanzi in pubblicazione con case editrici NO EAP, un terzo romanzo dai forti temi sociali completato, ma in fase di editing e un nuovo romanzo, sulla vita di una donna.

 

1. Perché scrivi poesie?

Ho iniziato a scrivere verso i 15 anni: appunti personali, perlopiù, frammenti di pensieri sparsi che gettavo lì e spesso lì rimanevano. Poi sono passato a racconti brevi, di poche pagine, e col tempo ho allungato la narrazione. Oggi scrivo perlopiù testi lunghi.
Mentre nei romanzi prediligo la scrittura realistica (narrativa generazionale e sociale perlopiù) e il linguaggio crudo, diretto, senza abbellimenti stilistici, nella poesia vorrei ritrovare il mio aspetto più lirico e “raffinato” (ma non aulico, né pomposo… almeno spero!), col quale solo riesco a trattare tematiche più esistenziali e “cupe”. Posso dire, dunque, che con la poesia riesco a ottenere un effetto più complesso e articolato rispetto al romanzo; inoltre, prediligendo la brevità, cerco di caricare di significato ogni singola parola, ogni singolo elemento di punteggiatura.
2. Che funzione ha la poesia oggi?

Posso dire che funzione ha la poesia per me: essenzialmente di contrasto e negazione del valore meramente commerciale dell’opera “libro”. Voglio sperare che chi ha comprato il mio testo lo abbia fatto perché spinto dalla curiosità, dalla volontà di immergersi nelle parole e di riflettere su quelle brevi composizioni in versi che trattano tematiche essenzialmente filosofico-esistenzialistiche. Voglio sperare, cioè, che si legga quel libro perché si vuole leggere quel libro, e non perché è di moda farlo (preferisco il “se vi pare” al “così è”).  La poesia richiede un grado in più di complessità, e dunque anche un grado in più di concentrazione.
3. Cosa ami maggiormente di Giuseppe Ungaretti, poeta cui ti ispiri?

In una frase: l’essenzialità con cui è stato in grado di esprimere, in modo crudo ma elegante, la precarietà della condizione umana.
4. Da quale aspetto della poetica di Montale invece prendi spunto?

Trasmutandoli, ovviamente, ritorno a temi a me cari come l’invalicabilità dell’esistenza (hic et nunc noi viviamo, creiamo, facciamo: è sulla terra che abbiamo le nostre radici, è qui il nostro “compito”), l’incomunicabilità, il mal di vivere che coglie tutti i viventi, nessuno escluso.
5. Ti definiresti un poeta drammatico?

Drammatica è per me l’esistenza: quando si squarcia la tela dell’illusione di Dio, e ogni appiglio salvifico svanisce di conseguenza, ciò che resta è un abisso con cui confrontarsi costantemente.
Drammatico è il fatto che, qualsiasi cosa facciamo, una sola è la vita che abbiamo. Il dramma è non viverla veramente, non caricarla di significato: sprecarla nel “vortice della mondanità” e della mercificazione.

6. Qual è il rapporto con l’ambiente culturale in cui vivi?
Odio e amore in senso stretto. L’oggetto “libro” ha perso da tempo il suo valore culturale, vestendo la pelliccia dell’intrattenimento e indossando i gioielli di plastica dell’arredo da camera. Un verbo, questo, che odio: “intrattenere”. Trattenere nel mezzo, ritardare, rimandare. Un libro che intrattenga e basta per me è uno spreco di tempo. Se non causa riflessione, se non porta a rivedere e ripensare una parte del proprio orizzonte, è inutile leggerlo.
Però ho incontrato anche molte persone, giovani come me, che mi hanno dato e continuano a darmi qualcosa ogni giorno. Grazie a loro continuo a confidare che la cultura rivesta un valore di rilievo in Italia.

7. “Ho profonde radici/non posso cadere/ma neanche/volteggiare nel vento/libero”, recita una tua poesia. È una sensazione che provi spesso?

La quercia, una delle poesie più vecchie, credo del 2008-9. La quercia contrasta con gli uccelli del paradiso, che vorrebbero invece volare liberi, ma per ora non possono.
In generale è una sensazione che provo quotidianamente. C’è un trade off con cui si fa i conti ogni giorno: la scelta estrema fra sicurezza e libertà, fra stabilità economico-sociale e autonomia. Ma anche fra salde opinioni personali (come una salda fede, per esempio) e possibilità (e volontà) di affrontare i cambiamenti in modo costruttivo.
Personalmente preferirei volteggiare nel vento, avendo appena una radice nel terreno da cui provengo.
8. Cosa vuol dire smarrire la via?

“Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”, diceva Nietzsche.
Smarrire la via vuol dire (essere pronti ad) abbandonare la sicurezza dei propri valori, imporsi di conoscere qualcosa che vada al di là del proprio rifugio sicuro; essere consapevoli che, spesso, “Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante”.
Come ho scritto di recente in una nuova composizione, più aspra e disillusa della Via smarrita: “La via smarrita / è innocenza perduta: / si staglia isolata / fra gli altari celati”.
9. Il poeta soffre più degli altri?

Tutti soffrono. C’è chi copre questa sofferenza comprandosi un Rolex, un iPhone o una nuova auto con i soldi che ha guadagnato vendendo l’unica cosa che veramente conta: il tempo a disposizione.
C’è chi affronta questa sofferenza andandogli incontro, sublimandola nella scrittura, nell’arte, nella filosofia.
Il poeta soffre come gli altri; forse (e specifico di nuovo: “forse”) ne è solo appena un po’ più consapevole.
10. Perché i media e l’editoria sembrano non curarsi della poesia?

La risposta è banalmente volgare: perché non vende. La poesia non è in grado di prostituirsi.
11. Progetti in cantiere?

Ho due romanzi in pubblicazione con case editrici NO EAP; un terzo romanzo dai forti temi sociali (mafia, violenza sulle donne, ostracismo nei confronti degli omosessuali) completato, ma in fase di editing; un nuovo romanzo, ancora in fase embrionale, sulla vita di una donna (una fra tante).
Ho anche una seconda raccolta in scrittura, nata durante il mio viaggio a Berlino. Tratterò tematiche diverse e sperimenterò maggiormente, cercando uno stile più contemporaneo rispetto a La via smarrita.
12. “La poesia non è di chi scrive ma di chi se ne serve”. Sei d’accordo con questa massima?

Quando un’opera lascia il grembo materno/paterno e vaga per il mondo, diventa di chiunque abbia voglia di prendersene cura. Un’opera non è un oggetto su cui si ha proprietà: è un essere vivente, su cui si ha sì paternità, ma che fondamentalmente è autonomo.

“La via smarrita” di David Valentini: filosofia in versi

“Se la poesia non viene naturalmente come le foglie vengono ad un albero, è meglio che non venga per niente”; si esprimeva in questi termini il grande poeta inglese John Keats, e come dargli torto? Nella compagine letteraria italiana attuale, spesso ci si imbatte in opere “furbette”, in linea con le strategie del marketing editoriale, ma impersonali, artificiose, che comunicano poche emozioni al lettore. La via smarrita (Eretica Edizioni, 2015) del giovane autore romano David Valentini, classe 1987, rappresenta un’eccezione nel nostro panorama letterario, in primis perché si tratta di una produzione in versi, in secondo luogo perché l’autore registra con passione e rapidità alcuni dei momenti chiave della nostra esistenza.

La raccolta poetica presenta 59 poesie, molte delle quali scritte in versi sciolti e altre in rima (soprattutto baciata, ma anche alternata, incrociata ed incatenata), ed è divisa in sei sezioni: la prima sezione, intitolata Anamnesi, raccoglie una sola poesia: Primo mattino, scritta nel Luglio 2007 e rivisitata più volte. Essa simboleggia l’inizio e il “risveglio” della volontà di scrivere in un periodo di sterilità intellettuale, indicandone sia l’inizio della giornata sia il primo giorno della propria vita.
La seconda sezione si intitola Primi ricordi e include 25 opere, perlopiù esperienze sensoriali e riflessioni di vita vissuta del periodo 2007-2009. La terza sezione, Lucciole su carta, è la più lunga e vede l’affiorare dei temi cari all’autore, quali i problemi legati al ricordo, alla necessità di scrivere per lasciare traccia di sé, alla vita fuori dalla patria natale, al tempo, ecc. La quarta sezione, Quadretti osceni, contiene 6 poesie dedicate a situazioni di quotidiana brutalità, come una violenza familiare o una tomba dedicata a un bambino mai nato. È un tentativo di fuoriuscita dal pensiero personale, una sorta di esplicitazione di ciò che viene esperito a livello puramente “emotivo” nelle prime tre sezioni.
La quinta sezione, Amori perversi, contiene 3 poesie dedicate alle tre “muse” ispiratrici: la nostalgia, la malinconia e la solitudine.
La sesta e ultima sezione dà il nome alla raccolta e contiene due poesie: Notte di pioggia e La via smarrita. Queste due segnano un cambiamento radicale di stile e di prospettive, per cui si è visto necessario concludere la raccolta.

David Valentini con lucidità e ricercatezza nelle parole, accompagna il lettore in un viaggio interiore il cui senso si evolve e si manifesta lirica dopo lirica, verso dopo verso. Si evincono echi montaliani ed ungarettiani nella raccolta, intrisi di musicalità e misticismo; parole isolate, cariche di significato come dimostra la lirica Senza ispirazione:

Idee

emozioni

parole

effimere

caduche

spezzate

rose

ferite

morte.

 

L’autore presenta un “elenco” di parole drammatico, che rappresentano una crisi artistica, poetica ma anche esistenziale. A tale lirica fa da eco Increativo:

Fantastico veliero

fatto di carta

con sopra scritta

una poesia interrotta.

L’incompiutezza ha un fascino particolare, una bellezza mistica di quello che poteva essere e non lo è stato che probabilmente attrae ancora di più il lettore; non a caso Valentini ha intitolato una sua lirica proprio Poesie interrotte.

Le illusioni e l’inafferrabile, l’oblio, il disincanto e la malinconia sono sublimati attraverso riferimenti materiali, simbolici mitologici, quotidiani. Valentini ci offre un percorso esistenziale evolutivo in cui ognuno di noi può riconoscersi, avvalendosi di un lessico ricercato ma abbastanza comprensibile, senza cedere a sentimentalismo, alla retorica e alla ridondanza. La via smarrita non soffre dunque di sbalzi di ritmo perché non sente il bisogno di giustificare, di rendere didascalico e quindi noioso, un assunto filosofico. Prendiamo in esame la lirica Un’esistenza (da Lucciole su carta):

Dividermi così

fra brulicanti frammenti

di specchio sparsi

e un muto grido,

non passare-attraverso;

scorre, scivola via

questo lento agitarsi

di me.

 

Valentini mostra la frammentazione dell’io, lo smarrimento della propria identità in maniera efficace e “psicoanalitica”: la crisi esistenziale passa attraverso l’usuale immagine di uno specchio, riflesso di noi stessi, ed un ossimoro, muto grido. Tale figura retorica viene utilizzata anche per descrivere lo stato d’animo del poeta, lento agitarsi di sé che scivola via.

Non manca una donna salvifica, un’innocente salvatrice (della quale Valentina fornisce successivamente un ritratto in Storia di lei) in cui grazia e voluttà si incontrano e si fondono, una donna che può essere tutto e il suo contrario:

Chi sei tu,

fanciulla di grazia e voluttà,

maestosa nel tuo silenzio,

pungolante di malinconia?

E come mi hai tratto fuori,

volteggiando leggiadra di danza,

da questo mondo così in odio?

 

Ma a che giovano le risposte

quando per te ora io canto

questa vita mia patetica?

Ed è per questo che ti ringrazio,

mia innocente salvatrice.

 

Una vita smarrita può acquistare nuova linfa e significato grazie ad una persona cui noi attribuiamo una funzione salvifica? O magari veniamo salvati incosapevolmente? Valentini presenta ottimi spunti anche per una riflessione più specifica, riguardo i nostri sentimenti, i nostri rapporti, la nostra concezione dell’amore.

Ma non è solo la vita ad essere smarrita, la stessa bellezza, che secondo Dostojevskij dovrebbe salvare il mondo, è smarrita come si legge della lirica Effimero:

Quel tuo sguardo di miele denso

nebbia un giorno e poi vacuo abisso

ma prima d’allora fatalmente

da me fuggirà e con altri occhi

d’altri occhi s’incornicerà,

immemore di questo fiato d’amore

nel tempo turbinante, vortice

d’ogni bellezza smarrita.

 

Il poeta associa lo sguardo ad un elemento materiale per poi lasciarlo sfociare nell’immaterialità, in un vacuo abisso; uno sguardo ormai dimentico di un sentimento d’amore che risucchia ogni bellezza smarrita.  La “positività” dello sguardo dunque è in relazione a qualcosa di concreto mentre la sua “negatività”, poiché si dissolve, fa riferimento all’astratto.

La vita e il suo travaglio (come recita una delle poesie di Valentini), racconta il poeta che per colmare il vuoto lasciato dall’egoismo, ama in maniera disinteressata. Sorprende con quanta maturità Valentini analizza la condizione del poeta stesso e il senso, il valore dell’arte, un’arte impiccata specchio della nostra demenza. Ma com’è l’anima del poeta? Ce lo dice proprio Valentini applicando una calzante similitudine e due metafore:

Come rami intrecciati

nodosi aggrovigliati

sabbia di fantasia

e mattoni di follia.

 

C’è spazio anche per suggestioni mitologiche nell’opera di Valentini come si può notare dalla lirica Fonte Mneme:

Lentamente titillava

sorseggiava, si abbeverava

alla fonte fresca del passato,

ogni goccia assaporava

di antichità-un sottile iato

d’eternità li divideva.

Si abbeverava avidamente

il ragazzo e rischiò, d’un tratto

che liquido il grumo si strozzasse in gola.

Lentamente si abbeverava

il vecchio e cadde, d’un tratto

nel lento gorgoglio che via lo trascinò.

 

Mneme nella mitologia greca è la figlia di Zeus e Mnemosine e l’autore qui utilizza questa figura mitologica per offrire al lettore una poesia visiva, che presenta due figure speculari: il ragazzo e il vecchio, l’alba e il tramonto della vita, l’avidità, la fretta, la voracità tipicamente giovanili e la lentezza, la calma, tipicamente senili). Dal punto di vista stilistico, Valentini si avvale dell’onomatopea (titillava, sorseggiava, gorgoglio) dell‘enjambement (d’eternità, il ragazzo, il vecchio) e dell’anastrofe (si abbeverava avidamente il ragazzo, lentamente si abbeverava il vecchio, via lo trascinò).

La raccolta si chiude con la lirica che dà il titolo all’opera: La via smarrita, che ci consegna un Valentini inquieto, ma estremamente consapevole del compito della poesia: una continua ricerca, un incessante porsi domande. Il poeta si chiede chi è, condensando l’esperienza di uomo e di poeta (“Chi sono io, volli sapere, lo chiesi un giorno allo specchio...”) richiamandosi al celebre Chi sono?, lirica-manisfesto di Aldo Palazzeschi, ma discostandosene in quanto quella di Valentini non è una canzonetta dove rende più visibile il suo cuore alla gente, deformato da una prospettiva tutta esteriore attraverso una lente che ne mette in evidenza il mascheramento.

David Valentini è un talento da seguire, sensibile e profondo, questo giovane autore dimostra già con la sua raccolta d’esordio di riuscire a mettere in poesia concetti filosofici, di dare un seguito alle sue riflessioni, approfondendole, nonostante tenda a ripetere spesso gli stessi concetti e termini, muovendosi con intelligenza e personalità tra nichilismo, crepuscolarismo, ermetismo, e poesia arcana senza mai contraffarre il proprio intimismo lirico o lasciandosi andare ad un languido vittimismo di un certa specie di crepuscolarismo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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