La prima volta in cui mi è stato comunicato che avrei conosciuto dei ragazzi con problemi psichiatrici, la mia fantasia mi ha catapultato immediatamente alla scena del film “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, in cui “Grande Capo” Bromden stacca il lavandino da terra e sfonda la finestra dell’ospedale psichiatrico per darsela a gambe, mentre un inerme Jack Nicholson vegeta ignaro a pochi passi da una libertà che così intensamente aveva bramato per sé stesso e per tutti gli altri. (Da L’anno della mia vita, di Pietro Marchi)
Quante volte ci sarà capitato di chiederci come abbiamo speso il nostro tempo, se lo abbiamo perso e se, invece, ci è servito. L’autore del romanzo L’anno della mia vita, Pietro Marchi, ci parla di un anno interno della sua vita, dell’ anno di servizio civile, una scelta che ha cambiato il modo di vedere le cose ed il mondo e, come lui stesso afferma, l’ha migliorato. Non è facile lavorare in una struttura riservata a persone disabili o affette da determinate patologie, “malati psichiatrici” che, purtroppo, sono costrette a vivere seguendo delle cure, rinchiuse in quel mondo che è il loro microcosmo ma che fa entrare tutti, chiunque bussi a quella porta. Venticinque utenti incontrati che gli hanno aperto il cuore disinteressatamente, perché molti di questi ricoverati sanno tendere la mano, ascoltare; qui lo scambio umano esiste, non si avanzano pretese, si è ciò che si è, per come si è.
Proprio questa tematica affronta Pietro Marchi. Egli racconta la sua esperienza offrendo anche a noi la possibilità di calarci in quella realtà e lo fa spiegando come sia stato difficile osservarle nella loro quotidianeità, senza rischiare di invaderle e questo è anche uno dei motivi per cui sceglie per tutti dei nomi di fantasia, quasi a volerli proteggere.
Come dimenticare Ubi, il ragazzo dagli occhi verdi con la fissa per Ivano Fossati e per i i ”gingilli” con cui si ricopre, dalla sensibilità disarmante, di certo inaspettata per il mondo in cui viviamo, in grado di catturare l’attenzione di Pietro al punto da giungere a nuove conclusioni anche sulle potenzialità inesplorate della musica, probabilmente l’unica vera cura e medicina.
Dall’altra parte della barricata c’è chi, assieme a Pietro , prova ad aiutare le persone come Pally: Ale, con la testa tra le nuvole ma a suo modo unica, definita dall’autore la Marylou di Kerouac, Nania, con lo stesso amore morboso per gli animali, due donne, assieme a Mimma e Tansini e ad altre non meno importanti , che hanno accompagnato Pietro in questo viaggio o meglio chiamarlo, professionalmente, ”percorso’. Un percorso, quindi, che più avanti lo convincerà ad intraprendere una strada inaspettata come operatore o.s.s, una scoperta nella scoperta, una possibilità in più, un nuovo sguardo sull’esistenza che ci auguriamo possa estendersi a tutti.