Filippo Tommaso Marinetti, un cortocircuito della storia europea, protoideatore dei fenomeni di comunicazione di massa che oggi caratterizzano le nostre vite

Tentare di definire Filippo Tommaso Marinetti oggi è un esperimento difficile. Possiamo definirlo un “rivoluzionario”, un “cortocircuito” della storia culturale europea, ma soprattutto, un profetico anticipatore, ai limiti dell’incredibile. Dalla propaganda allo scandalo all’editoria, Marinetti è stato il protoideatore dei fenomeni di comunicazione di massa che oggi caratterizzano le nostre vite; nei suoi scritti compaiono descrizioni fantascientifiche di nuove tecnologie e abitudini, pienamente rintracciabili oggi in computer e social networks.

Scuotere l’Italia “a suon di schiaffi e dinamite”, scrive Giordano Bruno Guerri nella biografia dedicata a Marinetti, era la missione del padre del Futurismo e di tutte le sue declinazioni. Lo schiaffo, la dinamite: la rinascita artistica che comincia da una particella elementare, il suono, una rifondazione che parte dal segno, dalla radice, per sconvolgere le fondamenta di un’intera cultura.
«Col preannunzio sciroccale del Hamsin e dei suoi 50 giorni taglienti di sanguigne scottature desertiche nacqui il 22 dicembre 1876 in una casa sul mare ad Alessandria d’Egitto».

Secondogenito di una giovane coppia milanese, F.T. nasce in terra africana per volere del padre Enrico, avvocato, convinto al trasferimento dalle buone prospettive di lavoro offerte dall’apertura del Canale di Suez. Insieme al fratello Leone viene educato al Collegio Internazionale San Francesco Saverio, un istituto gesuitico dove incontrerà un altro illustre innovatore della poesia italiana del Novecento, Giuseppe Ungaretti. Grazie alle ingenti somme guadagnate dagli affari del padre, perfeziona gli studi con un baccalaureato a Parigi nel 1894. Dopo il soggiorno parigino, eccolo in territorio italiano, a Pavia, dove raggiunge il fratello per studiare legge, facoltà che abbandonerà presto a causa della morte di Leone. Conclude gli studi universitari a Genova e vince nel frattempo il concorso parigino Samedis populaires con il poemetto Les vieux marins. Il componimento è il taglio del nastro agli ambienti intellettuali francesi: in breve tempo viene pubblicata la sua prima raccolta di poesie, La Conquete des Étoiles, la carriera giuridica definitivamente accantonata. Marinetti continua a comporre versi in stile liberty e simbolista, guardando a Mallarmé e D’Annunzio – stimato rivale quest’ultimo, amato e odiato, lui stesso si definì “figlio di una turbina e di D’Annunzio, da cui sarà definito “cretino fosforescente”.

Nel 1905 fonda la rivista Poesia, la nuova palestra del verso parolibero firmato F.T. Nel 1908 eccolo tirato fuori da un fossato a Milano, nella sua automobile, uscito fuori strada per evitare due ciclisti; l’episodio si farà aneddoto – come poi molti altri – e diventerà per Marinetti la chiave di lettura della rivoluzione culturale programmata per il prossimo anno: l’uomo estratto dall’automobile è l’uomo nuovo futurista che dopo aver vinto l’inferno della tradizione ed aver accantonato lo stile liberty e decadentista rappresentato dai due «noiosi» ciclisti, può volgersi all’istituzione di un’arte nuova, rivoluzionaria.

Il febbraio 1909 è arrivato. Tutto è pronto per il lancio della bomba. F.T. ha sedotto Rose Fatine, 20 anni, figlia di Mohamed el Rachi Pascià, un vecchio egiziano, ricco azionista de LeFigaro. Grazie alla buona intesa dei giovani amanti, l’uomo asseconda la bizzarra richiesta dell’italiano, ignaro del privilegio di partecipare ad un evento storico mondiale: pubblicare sul giornale il suo Manifesto. Il 20 febbraio 1909 sul quotidiano nazionale francese viene lanciata la bomba: esce il Manifesto del Futurismo, undici punti, con appendice. Il Futurismo è fondato. Sintetizzerà Marinetti: «E’ un movimento anticulturale, antifilosofico, di idee, di intuiti, di istinti, di schiaffi, pugni purificatori e velocizzatori. I futuristi combattono la prudenza diplomatica, il tradizionalismo, il neutralismo, i musei, il culto del libro.» La parola d’ordine è “Velocità”. Come dinamismo, come simultaneità, come meccanicismo e libertà. Marinetti stravolge ogni dogma della poesia e delle arti e ne ritaglia un vestito nuovo, “moderno”, diremmo oggi, come il secolo XX. Protagonista di quest’ultimo, annuncia F.T., sarà la Macchina, metafora dell’impeto prometeico dell’uomo nuovo.

Per evitare una volta per tutte l’associazioni del poeta Marinetti e del futurismo all’idea infantile e brutale dell’adorazione della macchina e della modernolatria, ecco un passo del discorso che F.T. stesso tenne nel 1924 alla Sorbona:« Io intendo per macchina tutto ciò ch’essa significa come ritmo e come avvenire; la macchina dà lezioni di ordine, disciplina, di forza, di precisione, d’ottimismo e di continuità. […] Per macchina, io intendo uscire da tutto ciò che è languore, chiaroscuro, fumoso, indeciso, mal riuscito, trascuratezza, triste, malinconico per rientrare nell’ordine, nella precisione, la volontà, lo stretto necessario, l’essenziale, la sintesi». Il Manifesto è discusso in tutta Europa, i giornali lo chiamano “Caffeina d’Europa”. Intanto Marinetti continua a scrivere poesie, romanzi e testi teatrali, tra cui si ricordano “ Gl’Indomabili”, il censuratissimo “Mafarka il futurista” e la sceneggiatura “ Re Baldoria”.

La fama di Marinetti si diffonde per tutto il Vecchio Continente, legata soprattutto alle esuberanze e ai modi “futuristi” di F.T. & Co. In particolar modo diventano celebri le serate-futuriste: spettacoli teatrali in cui vengono fuse performance di vario genere, dalla declamazione alla piéce teatrale, durante cui il futurismo fa da protagonista e le bagarre e gli scontri con il pubblico sono la norma, e ne alimentano la curiosità. Il 1911 inaugura la stagione dei viaggi del poeta e della maggiore sperimentazioni linguista e letteraria. Scoppiata la guerra con la Libia, parte al fronte come reporter per un quotidiano d’oltralpe. Poi è a Mosca e San Pietroburgo, invitato dai futuristi russi a fare propaganda. Nel frattempo in Lacerba, la rivista fiorentina diretta da Papini e Soffici, il futurismo trova il miglior canale di diffusione in Italia parallelamente alla pubblicazione di Zang Tumb Tumb, un reportage bellico scritto in parole in libertà. La prima guerra mondiale fa esplodere il cuore di Marinetti, che, in seguito all’attentato di Sarajevo, si arruola volontario: è a Caporetto ma anche a Vittorio Veneto. Tornato dal conflitto si interessa alla politica cui lo spirito rivoluzionario affascina Mussolini che si avvarrà di molti futuristi nel giorno della proclamazione dei fasci di combattimento, nel 1919 al San Sepolcro. Giudicate passatiste e reazionarie le idee di Mussolini, se ne allontanerà, pur sempre rimanendo rispettato e considerato dal Duce. Si lega nel frattempo a Benedetta Cappa, pittrice e poetessa che accompagnerà Marinetti fino alla fine dei suoi giorni, sua «eguale, non discepola». Nel ’35 parte volontario in Africa Orientale, nel ’42 si arruola per la campagna di Russia. Marinetti viene rimpatriato con l’arrivo dell’autunno, spossato e in precario stato fisico. La morte lo coglie il 2 dicembre 1944, a Bellagio sul Lago di Como, all’alba dopo una notte di lavoro poetico consacrato al Quarto d’ora di poesia della X mas, complice il cuore.

Nel pensiero di Marinetti compare inoltre quella percezione di scontro di classe che determinerà anche l’affermarsi dei successivi corsi politici, palesando un sentimento collettivo di profonda reazione rispetto a quel capitalismo, a quel mondo produttivo che stava invadendo la vita dell’uomo, strutturando quell’inevitabile contrasto sociale. Nel “Manifesto futurista”, Marinetti, afferma, infatti, di voler esaltare le folle agitate dal lavoro, ad indicare tutta la volontà di porsi come movimento che non sia esclusivamente fonte teorica ma anche fonte di lotta di classe e di azione politica. L’aggressività, la forza, diviene dunque il principio vitale d’ogni cosa, con il quale ogni uomo, ed anche le intere classi sociali hanno il potere di imporre i propri diritti.

Il poeta d’Alessandria d’Egitto cantava del futuro con tono severo ma sognante, idealizzando una società che superasse l’umano, che annichilisse la sua femminilità, la sua fragilità intrinseca. Eppure in quell’idillio nutriva una speranza per una nuova umanità, un sentimento piuttosto comune per il suo tempo ma che si sviluppava su un’endemica debolezza: l’essere umano. Quella velocità, infatti, ha edificato un mondo virtuale, una realtà parallela nella quale è possibile crearsi un avatar, l’incarnazione di se stessi in un mondo non tangibile ma sempre più reale.

Se nel 1941 Orson Welles denunciava il controllo della stampa sulla società, di quanto essa potesse plasmare la realtà circostante e nel 1976 Sidney Lumet, con il suo Quinto Potere, si scagliava sull’onnipresente ruolo della televisione nelle nostre vite. Oggi ci troviamo di fronte al Sesto Potere: internet, una rete mondiale che interconnette computer da un polo ad un altro del globo, uniformandone i contenuti e rendendone schiavi gli utenti, incatenati attorno alla necessità morbosa di conoscere i fatti altrui. Marinetti aveva usato il termine “smania”, delineando perfettamente l’entità della nostra tossicodipendenza. Una frenesia che supera la normale curiosità, approdando verso gli ormeggi patologici dell’essere. Come novelli onironauti viaggiamo in una dimensione parallela, in un mondo onirico edificato sull’intangibile, in cui persiste una scala gerarchica dettata dai likes, dai followers e dai seguaci. Un mondo in cui vince chi si umilia di più, o meglio chi più fa parlar di sé. Ed è così che adolescenti, giovanotti, vecchi e vecchiotti si cimentano in video nei quali cercano la notorietà, si immortalano nei selfie – autoscatti, per noi dal gusto retrò – sperando di imprimere il loro volto in un marasma di opinioni, foto e video. La Generazione Selfie – come l’ha apostrofata Luca Bolognini nel suo pamphlet – è quella dei giovani nati dopo il 1975: molto tech e poco concreta, illusa da un sogno vissuto tramite lo schermo di uno smartphone. Una popolazione di guerrieri della notte, che sfidano il futuro con un drink in una mano e un I-phone come scudo, sempre pronti ad immortalare gli istanti di una serata che finirà nell’oblio di una sbronza.
Marinetti, in quell’estasi visionaria che fu la sua intera vita, riuscì ad immortalare il futuro. Un futuro che è già sotto i nostri occhi ma per il quale non siamo ancora pronti. Oggi quel Zang Tumb Tumb di marinettiana memoria, quell’urlo di italico candore suonerebbe probabilmente così: “ogni cinque secondi cannoni sventrare volti con un selfie tam-tuuumb / commenti con 500 echi per gratificarlo, osannarlo, acclamarlo”.

“L’uomo del futuro avrà solo un modesto interesse di conoscere come sono vissuti gli uomini del passato, ma avrà bensì una continua smania di sapere come vivono e cosa fanno in ogni momento gli altri uomini del suo tempo in tutto il pianeta, e attraverso l’uso dell’elettronica avrà i mezzi a disposizione per essere continuamente informato in ogni istante”.
F.T. Marinetti

Nonostante le ortodosse e insipide categorizzazioni a cui è stato sottoposto, Marinetti resta nella sua natura contraddittoria un personaggio tanto affascinante quanto enigmatico. Intellettuale rivoluzionario, dissidente, fervente agitatore aderì al fascismo cui si allontanò disprezzando leggi marziali e reazionarismo; libertino, don Giovanni, promotore del libero amore e del tradimento e fautore dell’emancipazione totale e disinibita delle donne, fu padre modello di tre figlie e marito presente; anticlericale al fulmicotone, accesissimo nemico della Chiesa, si sposò cristianamente, fece battezzare e cresimare le figlie, e non si privò né dell’estrema unzione né dei funerali religiosi.
Se è vero che ognuno è figlio del suo secolo, sarà vero in questo caso anche il contrario. Il secolo delle contraddizioni e dello stravolgimento totale che il Novecento rappresenta ha un padre illustre. Permettendoci di citare Bontempelli diremmo: le parole gridate da Marinetti sono quelle che partoriscono un nuovo secolo.

 

Fonte: L’intellettuale dissidente

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