Marino Moretti, la poesia domestica e la letteratura del quotidiano

Marino Moretti, il poeta che affermava ‘’di non aver nulla da dire’’, ma che scrisse più di 70 libri.  Il poeta umile della letteratura domestica, colui che trasferiva la sua estrema modestia anche nella poesia. Celebre la raccolta Poesie scritte col lapis, ovvero, frammenti e versi potenzialmente cancellabili proprio perché non perfetti. Moretti nasce il 18 Luglio 1885 a Cesenatico.

Nel 1902 si trasferisce a Firenze per motivi di studio ma, ben presto, abbandona la vita studentesca per frequentare la scuola di recitazione dove ha modo di conoscere un altro grande nome della letteratura, Aldo Palazzeschi, di cui diviene amico fraterno. Intanto, entra in contatto con altri esponenti del movimento crepuscolare: Govoni, Corazzini, Gozzano. Dichiaratosi, apertamente, contro il fascismo il poeta firma anche il Manifesto antifascista di Benedetto Croce, pur conducendo una vita schiva e solitaria, e non partecipando attivamente alla politica.

La poetica del quotidiano e gli influssi di Giovanni Pascoli

La poesia di Moretti si ispira alle atmosfere proprie del Pascoli; un’evidenza che si concretizza, in particolar modo, nella raccolta Fraternità del 1905 in cui gli affetti domestici sono protagonisti.  Dedicata al fratello scomparso, il centro di questa raccolta è proprio il legame con la madre;  ma soprattutto si evidenzia il tema del nido in quanto casa, immagine ricorrente nella produzione pasco liana, contrapposto al mondo circostante. Seguono i poemetti della raccolta Serenata delle Zanzare, in cui ironicamente il poeta delinea la mentalità piccolo-borghese, con toni sarcastici. Moretti è il precursore della corrente letteraria del crepuscolarismo; quel tipo di letteratura che celebra le nostalgie quotidiane, le periferie, i giardini desolati, la malinconia provinciale; così come l’incedere del tempo nei cicli stagionali, o le figure vicine all’infanzia: le maestre, la scuola, il tempo andato.

Uno dei suoi componimenti legati al mondo scolastico è Le prime tristezze; l’indimenticabile poesia in cui Moretti sottolinea il rapporto fra infanzia e mondo quotidiano. In  Marino Moretti, si ritrovano principalmente versi in cui il rivolgersi al passato è continuo: i ricordi infantili sono spesso legati agli ambienti scolastici, proprio come racconta ne Le prime tristezze , o nei versi de La signora Lalla dedicata a una sua maestra.  La sua produzione letteraria non aspira a nessun lirismo, solo alla mera realtà delle cose che si presentano e sfuggono, insieme al tempo. Il lapis, a tal proposito, è caduco, impalpabile, effimero; così come la sua poetica che nulla ha a che fare con la magnificenza dei versi illustri come quelli di Dante Leopardi, o dello stesso Pascoli da cui Moretti trae principalmente  ispirazione da una sua famosa raccolta: I Canti di Castelvecchio.

Il rapporto fra l’infanzia e la dimensione del quotidiano riflesso nella poesia di Moretti

La poetica di Moretti non ha pretesa, non ha alcuna ambizione né vuole esser ricordata o divenire mitica; narra solo le porzioni di vita vissuta, la giovinezza sbiadita, i personaggi e i luoghi a cui nessuno presta attenzione ma che popolano il quotidiano. Questo tipo di poesia è poi la stessa poetica che si rifletterà in tutto il movimento letterario del Crepuscolarismo, per altro parola coniata dallo stesso Moretti che appare per la prima volta in Poesie scritte col lapis. In questa raccolta è proprio la noia quotidiana a far da protagonista; un tedio rassegnato, venato di insoddisfazioni e repressioni che si rispecchiano nei grigiori degli ambienti di provincia, nelle domeniche lunghe e malinconiche; un altro dei temi dominanti della poesia morettiana è proprio la domenica, emblema del giorno nostalgico, che ricorre spesso in molti componimenti. Nel componimento La domenica delle recluse, Moretti scrive:

Oggi, che noia, che malinconia, 
che desiderio di tornare indietro ! 

Ma il cuore dice con dolente metro, 

come presso all’altare: Così sia.

Il linguaggio è spesso reiterato, uniforme e monotono; l’anima del poeta pare trovare ristoro solo nella regressione al mondo infantile. I banchi di scuola, le maestre e i compagni sono elementi consolatori e tragici, al contempo; se da un lato leniscono l’inquietudine di Moretti, dall’altro gli ricordano momenti svaniti di una spensieratezza perduta.

Tuttavia, le poesie, non sono mai lamentose o insofferenti; spesso, sono pervase da momenti ironici e toni indispettiti e pungenti. Solo nel 1916, nella raccolta Il giardino dei frutti, si intravede un motivo poetico di insofferenza, come la scarsa propensione al Leopardi o l’amore tumultuoso per Carolina Invernizio.

Intanto scoppia la Prima Guerra Mondiale e, pur non essendo ritenuto idoneo al servizio militare, si arruola come infermiere. A questo periodo appartengono i romanzi; una prosa ambientata, per lo più, nel mondo piccolo borghese in cui Moretti non disdegna di sottolinearne i difetti. Dopo aver scritto numerose novelle, ritorna poi alla poesia nel 1969 con quattro raccolte: L’ultima estate (1969), tre anni e un giorno (1971), Le poverazze (1973) e Diario senza le date (1974). Lo stile qui appare più semplice, moderno e immediato intriso da vivida ironia.

Il provincialismo lessicale e delicato nel linguaggio poetico

Il tema della provincia è affrontato da Moretti a diversi livelli di approfondimento; non solo nelle tematiche, anche il lessico si riflette in un linguaggio semplice e immediato. Quello che descrive il poeta di Cesenatico è un provincialismo sonnacchioso, uggioso, fatto di ore vuote e lunghe, di gente che attende treni alla stazione o di signorine appassite che vagano fra i viali silenziosi e i giardini dipinti delle piccole città, ornati in base alle stagioni di riferimento. Emblematica è la poesia Il giardino della stazione:

E noi si va chi sa dove,
poveri illusi, si va
in cerca di felicità,
verso città sempre nuove,

verso l’ignoto e la sera!
Invece lì nel giardino
veduto dal finestrino
c’è tutta la primavera!

Due strofe presenti nella parte centrale della poesia che, tuttavia, sottolineano l’intero universo morettiano; la malinconia, la ricerca di una felicità senza vie da percorrere, mentre nel passato e nelle piccole strade che sono appartenute ai giorni dell’infanzia c’è tutta la felicità che si tenta di rincorrere, per tutta la vita, una volta trascorsa l’età dorata.

Il linguaggio utilizzato è spesso molto simile al parlato: la semplicità del lessico si evince dai termini di uso quotidiano che, il poeta, spesso usa nelle sue opere fino a giungere a una sorta di cantilena quasi infantile composta da ripetizioni. L’usus scribendi del Moretti persiste nell’utilizzo di aggettivi per descrivere la noia del quotidiano, ma anche diminuitivi o termini legati al mondo dell’infanzia,  quindi alla scuola o alla vita familiare che rimandano ancora una volta al Pascoli:

Vanno, vanno col loro
lumino mezzo verde,
come in soffio d’oro…
«Lucciola, lucciola, vien da me! ».
Oh, non aprire il pugno
per afferrarle… Guai!
Esse, bimbo, non sai?
son le fate di giugno…
«Lucciola, lucciola, vien da me! ».
Bimbo, che ne faresti
d’un lumino cosi
lieve? Immagino, si,
che me lo spegneresti…
«Lucciola, lucciola, vien da me! ».
Lucciole! Col lumino
loro, il lumino verde,
a qualcun che si perde
ti insegnano il cammino:
sono le nostre stelle,
le stelle della Terra,
o tu che ami la guerra,
fanciulletto ribelle.
«Lucciola, lucciola, vien da me!

In questa poesia dal titolo Lucciole si riscontra il tipico linguaggio di Moretti: la ripetizione, i diminuitivi, l’abbondanza del sostantivo per descrivere il momento ma, soprattutto, la beltà dell’infanzia. Seppur Moretti sia spesso legato alla antologie di un tempo e relegato al mondo infantile, la sua è una poesia introspettiva, malinconica e, soprattutto, dettaglia: il regredire al mondo dell’infanzia permette di conoscersi e di auto-riconoscersi nel tempo storico della realtà.

Riflessione sul concetto di limite, tra Chomsky, Calvino, Leopardi, Watson

Il limite può essere inteso come mancanza, difetto oppure come confine. Ai tempi dell’università pensavo ingenuamente che uno dei modi di superare il nichilismo fosse creare una metafisica dei limiti, che io avevo chiamato limitismo, ovvero riconoscimento dei limiti fisici, ontologici, conoscitivi,  esistenziali della specie umana.

D’accordo ci sono senza ombra di dubbio dei modi più efficaci per sconfiggere il nichilismo, per combattere quello che Junger e Heidegger chiamavano il “Leviatano”: una letteratura mitopoietica, ritornare a Parmenide, credere in Dio. La verità è che allo stato attuale delle conoscenze nessuno può stabilire con esattezza questi limiti.

L’uomo ha dei limiti? Nessuno lo sa con certezza. C’è un limite nell’aspettativa di vita? Non si può campare più di 120 anni? Oppure può essere sconfitto l’invecchiamento e si può diventare immortali? Nessuno sa cosa sarà la vita umana e cosa sarà l’uomo in futuro. La scienza ha dei limiti? Forse oggi si può stabilire con maggiore accuratezza i limiti metodologici di una disciplina, ma anche questa è una conoscenza provvisoria.

Chomsky sostiene che se nessuno ha mai dimostrato in modo semplice l’ultimo teorema di Fermat, come pensava di aver fatto il celebre matematico, vuol dire che forse la mente umana non è fatta per questo ma significa anche che sappiamo risolvere altri problemi. Esiste quindi una sorta di meccanismo di compensazione.

Può benissimo darsi -scrive Chomsky- che un extraterrestre con una struttura mentale diversa dimostri subito l’ultimo teorema di Fermat senza alcuna difficoltà.  Non esiste una stima oggettiva e certa delle capacità intellettive. Kant originariamente aveva chiamato la Critica della Ragion Pura “Limiti della Sensibilità e dell’Intelletto”.

Non per criticare il grande genio di Kant ma nessuno sa stabilire il sostrato noumenico, irraggiungibile per la mente umana. Sappiamo che la nostra mente ha dei limiti empirici nel percepire il nulla e l’infinito, gli “interminati spazi”, i “sovrumani silenzi” leopardiani. Sempre per riprendere “L’infinito” di Leopardi noi miseri esseri umani possiamo percepire l’indefinito e mai cogliere pienamente l’infinito.

La differenza nel celebre capolavoro sta tutta nel pronome dimostrativo: l’infinito è “di là di quella” (siepe), mentre l’indefinito viene nominato con “questo mare”,  “queste piante”. Perfino “quest’immensità” deve intendersi come percepita soggettivamente e non come ciò che è illimitato in modo assoluto, come al di là di un confine oggettivo ad esempio.

Abbiamo quindi dei limiti certi oppure possiamo sempre superarci? Forse la vita umana è come la dialettica hegeliana e consiste tutta in una serie progressiva di auto-superamenti nel migliore dei casi.

Una cosa è certa: nessuno sa definire i limiti propri, mentre è assolutamente certo di identificare quelli altrui. A tutti sembra così facile dire quali sono i limiti mentali altrui. La verità è che nessuno può stabilirlo. Una volta gli psicologi ritenevano che le attitudini fossero stabili per tutta la vita. Ma è una concezione datata.

Non è assolutamente così. Si può perdere dei punti o acquistarli, intellettivamente parlando. Un tempo pensavano che il  Q.I fosse stabile. Nei “Cinque libri del sapere” trovai un grafico in cui per ogni professione c’era il Q.I necessario per esercitarla. Non è così semplice. È una concezione retrograda. È vero che esistono delle professioni cosiddette intellettuali, ma è difficile stabilire il livello intellettivo: si può solo stabilire approssimativamente il livello culturale.

Esistono i falsi positivi e i falsi negativi in ogni test che si rispetti, anche nei test d’intelligenza. Come ne “Il cavaliere inesistente” di Calvino esistono dei Gurdulù che dovrebbero avere tutti i requisiti per essere validi, non essendolo, e degli Agilulfo, che non avrebbero modo di esistere e invece sono validi.

L’intelligenza di una persona può migliorare o peggiorare, ammesso e non concesso  che si riesca a definire in modo univoco che cosa sia l’intelligenza umana. I neurologi e i neuropsicologi hanno scoperto recentemente molte prove della neuro-plasticità umana.

Tutto sta nell’applicarsi con costanza e impegno, nel versarsi in una materia. Stabilire dei limiti così come cercare di rintracciare delle potenzialità inespresse talvolta è cosa soggettiva. Se non capisci una cosa oggi puoi sempre capirla domani, se spiegata o approcciata in modo diverso. Alcune cose non è assolutamente necessario saperle. Se non sei un fisico non è importante sapere come funziona l’interferometro.

Importante è che tu sappia per un minimo di cultura generale che con esso sia stato dimostrato che l’etere non esisteva, che la relatività galileiana non valeva per la luce e che da quell’esperimento fallimentare Einstein capì che la luce aveva velocità costante, uno dei capisaldi della sua teoria della relatività.

A volte basta sapere l’abc. Altre volte però è necessario approfondire. Spesso la mancanza di apprendimento sta nel discente che non capisce ma talvolta anche nel docente che non si sa spiegare bene, che salta dei passaggi, che dà alcune nozioni per scontate. Se uno è genitore non deve credere in modo totale agli insegnanti che dicono che suo figlio è un genio oppure uno duro di comprendonio.

Valutare le capacità cognitive è una cosa molto difficile e probabilmente i test di intelligenza non è detto che misurino l’intelligenza, come pensava alla fine della vita Cattell. Poi il giudizio degli insegnanti può essere errato e basato su delle distorsioni cognitive. Ci possono essere allievi sottostimati e altri sovrastimati.

Tuttavia molti insegnanti spesso in perfetta buona fede credono di poter stabilire con certezza assoluta le capacità dei loro allievi. Sempre in perfetta buona fede alcuni insegnanti decidono in modo negativo il futuro dei loro allievi o almeno li condizionano in modo negativo. Alcuni insegnanti pensano di poter valutare l’intelligenza dei loro alunni in base alle competenze acquisite e in base all’esperienza. Tutto ciò può invece portare a formulare giudizi totalmente errati.

Un insegnante non può stabilire con esattezza le abilità, l’impegno, la motivazione, il grado di sviluppo fisico e cerebrale di un adolescente ad esempio. Basarsi sull’esperienza può essere fallace. I test di intelligenza prima di essere validati ufficialmente vengono prima sottoposti a decine e a volte a centinaia di migliaia di soggetti.

Nonostante questa standardizzazione di massa i test sono ancora criticabili e considerati perfettibili. Immaginiamoci quanto è poco attendibile l’esperienza di un insegnante, basata su un numero limitato di casi! Lo studio delle capacità intellettive è forse ancora agli albori.

Il grande psicologo comportamentista Watson sosteneva che tutto dipendeva dall’ambiente e che se gli avessero dato da educare dei bambini li avrebbe fatti diventare quel che lui volesse: scienziati, scrittori,  impiegati, operai, eccetera eccetera.

Fanno ridere quelli che credono di non avere limiti. Ma fanno ridere soprattutto quelli che fanno la predica a altri, dicendo che devono riconoscere i propri limiti. Se una cosa non ti riesce ora può darsi che ti riesca domani. Nessuno può stabilire con esattezza il motivo per cui non ti riesce: può essere ansia, mancanza di capacità,  mancanza di interesse, mancanza di impegno, inesperienza oppure un insieme di tutti questi fattori.

Non porsi limiti significa proiettarsi all’infinito, avere una fiducia smisurata delle proprie qualità: questo è troppo, bisogna sapersi fermare, bisogna saper circoscrivere la nostra sfera di  competenza, nessuno può diventare onnisciente. Ma è sbagliato anche rinunciare a molto, dire troppi no, non provarci, dire troppe volte “non posso”, “non ci riesco”, “non ce la farò mai”.

Esiste un settore della psicologia chiamato “crescita personale” in cui i  coach propongono ai clienti/pazienti di superare ogni tipo di limite mentale, da loro stessi definito “blocco mentale”. Diffidate di questo tipo di psicologia troppo spicciola e motivazionale: non è tutto così facile, spesso è solo un modo per spillare soldi e fare business.

Ritornando alle abili, se un compito non ci riesce la prima volta che ci viene presentato può diventare più facile le volte dopo perché più familiare. Spesso l’esperienza e l’abitudine giocano un ruolo fondamentale. Tutto sta nel non abbattersi e nel non mollare troppo presto la spugna. A ogni modo nel valutare le capacità proprie e altrui bisogna essere sempre possibilisti.

Vincenzo Cardarelli, poeta inquieto alla ricerca del mondo dell’infanzia

Vincenzo Cardarelli, fra le più grandi personalità letterarie della poesia del ‘900, nasce l’1 maggio 1887 in provincia di Viterbo. La sua è una famiglia di origini modeste; il padre, Angelo Romagnoli, gestisce un piccolo caffè mentre la madre Giovanna, è una presenza sospesa e ambigua nella vita del piccolo Vincenzo poiché praticamente assente nella sua vita. Il vuoto lasciato dall’assenza della figura materna e i suoi problemi fisici contribuirono a intaccare la sua produzione artistica. Le sue poesie, infatti, sono versi che aleggiano nel ricordo: emerge chiaramente la sofferenza percepita dal Cardarelli circa il suo rapporto conflittuale con il padre ma, anche, per la sua difficile condizione familiare.

Le opere di Cardarelli sono in bilico perenne; un contrasto di odio e amore per la figura paterna che sì, riconosce come tale, ma quasi disconosce in quanto il genitore non comprende la sensibilità artistica del figlio. Desiderio del padre era infatti che il giovane Vincenzo diventasse un commerciante; a tal proposito, gli impedisce di continuare in modo regolare gli studi. Solo nel 1906, alla morte del padre e dopo aver intrapreso lavori fra loro differenti, inizia a scrivere per l’Avanti come correttore di bozze e critico. In seguito, lavora per La Voce e, nello stesso tempo, si trasferisce a Firenze; mentre, nel 1914 avvia la stesura dei Prologhi.

 

Cardarelli: produzioni inquiete e influenze dal simbolismo francese

A questo periodo appartengono le sue prime opere; le prime produzioni di Cardarelli rispecchiano totalmente la veridicità della sua storia personale. Sono versi permeati di sgomento, inquietudine, agitazione, malinconia. Cardarelli legge Leopardi e Pascoli: i due grandi poeti lo influenzano in gran parte della sua produzione. Nel 1914 vince una borsa di studio e  parte per la Germania; tuttavia, lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, arresta il desiderio di proseguire finalmente il percorso di studi tanto sognato.

Arriva a Lugano dove si ferma per cinque mesi, in seguito agli orrori della Grande Guerra, ma non è richiamato alle armi a causa di una malformazione alla mano sinistra; in condizioni economiche precarie fonda la rivista La Ronda nel 1919,  sempre attento a tenersi ben lungi dalla politica.

Purtroppo, chiude nel 1923. La Prima Guerra Mondiale, le influenze letterarie e la storia personale del poeta danno vita a una produzione letteraria corposa, che diventa sensibile e aulica anche  grazie alle influenze del simbolismo francese. Cardarelli apprezza e legge  BaudelaireVerlaine e Rimbaud. Dopo poco tempo, parte per la Russia con lo scopo di osservare il contesto, la società e il mondo sovietico scrivendo per il quotidiano romano Il Tevere.

 

Una poetica imbevuta di tormento e la ricerca costante del mondo dell’infanzia

L’inquietudine, il tormento, l’eterno moto dell’anima non lo abbandonano mai. A ridosso della Seconda Guerra Mondiale è paralizzato in una rete di concezioni che si intersecano con i grovigli della sua anima claudicante, i ricordi dell’infanzia, e i pensieri di un presente funereo. Vive in mondo parallelo, quasi in un tempo fatto di sospensione; ogni giorno si fa portare al caffè Strega vicino casa sua, dove rimane galleggiante nei suoi pensieri.

La ricerca del mondo infantile lo attanaglia, così come la figura di una madre assente che, nonostante il tempo e il dolore, prova a ricercare in una dimensione che fu. Decide quindi di recarsi nella sua città natale tentando di immergersi e rivivere le atmosfere della sua infanzia, rimanendone deluso. Torna a Roma nel 1945 ma l’angoscia e la malinconia protagoniste della sua vita, si acuiscono ancor di più; sfumature palesi nella sua opera datata 1948 e vincitrice del Premio Strega: “Villa Tarantola”. Muore a Roma il 18 giugno del 1959, all’età di 72 anni.

‘’Crudele addio’’, l’abbandono della figura materna foriero di fragilità future

La poetica di Cardarelli è interamente permeata dalla mancanza della madre. Il dolore di quest’assenza si riflette in ogni verso, quasi come un canto di dolore sopito che infiamma l’anima del poeta. Nonostante il tempo trascorso per Vincenzo Cardarelli la mancanza della figura materna è una ferita che pulsa, non si rimargina; nel dolore lancinante c’è sempre spazio ai quesiti che, il poeta ormai adulto, continua a porsi con un modo di fare ingenuo e delicato quasi come se una parte di lui fosse rimasta cristallizzata nel momento esatto dell’abbandono della madre.

Il dolore che Cardarelli esprime nei suoi versi, non è crudele, rabbioso, auspicante vendetta. Si potrebbe paragonare a una mistura: un veleno fatto di angoscia, tristezza, quesiti senza risposta che corrodono l’intimo, sgretolano l’anima. Quello che balza subito allo sguardo è la dignità immersa nella compostezza del dolore che, questo poeta dall’animo delicato, non smette di propagare. Da questi sentimenti contrastanti nasce la lirica ‘’Crudele Addio’’, il cui protagonista è un bimbo solo deriso dai coetanei:

Ti conobbi crudele nel distacco.
Io ti vidi partire
come un soldato che va alla morte
senza pietà per chi resta.
Non mi lasciasti nessuna speranza.
Non avevi, in quel punto,
la forza di guardarmi.
Poi più nulla di te, fuorché il tuo spettro,
assiduo compagno, il tuo silenzio
pauroso come un pozzo senza fondo.
Ed io m’illudo
che tu possa riamarmi.
E non fo che cercarti, non aspetto
che il tuo ritorno,
per vederti mutata, smemorata,
aver noia di me che oserò farti
qualche amoroso e inutile dispetto.

 

Facile pensare che si trattasse di una poesia autobiografica in quanto, lo stesso poeta, era schernito per la sua umile condizione d’origine e la sua malformazione all’arto superiore. Il dolore derivante dalla mancanza non lo pone in una condizione di ricerca attiva; non c’è nessun desiderio di trovare un panacea, un unguento miracoloso, ai suoi mali.

La sofferenza per l’abbandono è talmente forsennata e decisa che crea un vuoto, un vortice in cui è possibile scorgere solo un unico sentimento: un’angosciata rassegnazione. Questa solitudine iniziata con l’abbandono della madre si protrae anche nelle scelte sentimentali della vita del poeta; molte donne squarciano il suo animo, mettendo fulmineamente fine ai legami con Cardarelli. Di animo troppo sensibile, si lega a donne mondane, forti e probabilmente troppo indipendenti per un uomo che ricercava, come appunto un bambino, un affetto smisurato. Le sue relazioni, infatti, sono il prodotto di questa mancanza, questa fauce in cui scorre impetuosa una mestizia primordiale che per tutta la vita non riesce ad arginare.

 

Le donne di Cardarelli e la fobia del rifiuto

La benzina sentimentale e poetica che aiuta Vincenzo Cardarelli nella stesura delle sue opere, oltre alla sofferenza per la figura materna, sono proprio le relazioni naufragate. Le donne cantate da Cardarelli sono esseri evanescenti, ambigue, fluttuanti: si riflettono nei suoi versi quasi nell’anonimato ed è interessante notare come, in ogni poesia, sembra che Cardarelli parli di storie a senso unico, quasi immaginate e illusorie. Solo di una donna si conosce l’identità: Sibilla Aleramo. Il rapporto con questa personalità letteraria sopra le righe è magistralmente riassunto nella lirica ‘’Attesa’’:

Silenziosamente
ci siamo intesi.
Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d’insulti.

 

Le palesi differenze caratteriali fra i due portano il rapporto a incrinarsi: lui timido, fragile, lei spregiudicata, indipendente. La separazione è, adesso, un’ulteriore fonte di dolore per il poeta; c’è l’amarezza di aver creduto in un rapporto, nelle promesse che lo stesso amore, all’inizio idilliaco, aveva dichiarato. Adesso il naufragio è un’ennesima separazione, quindi una disfatta: per Cardarelli le relazioni sono quasi sempre motivo di rivalsa che, adesso nella catastrofe, generano un senso di fallimento. Dopo un’ulteriore scommessa si ritrova in solitudine e con sentimenti contrastanti di chi ama ma, per scelta altrui, è costretto a non amare più per tutelare la propria anima, le proprie fragilità.

I timori del poeta, nel tempo, si intensificano sempre di più fino a diventare delle vere e proprie nevrosi e sconfinare nella patologia. Cardarelli inizia a soffrire di una vera e propria fobia del rifiuto, addirittura arrivando a presagire segnali di abbandono in ogni sua relazione; i presagi e i segni che vede sono sempre più intensi, dolorosi e angoscianti. Il non sentirsi adatti, la rassegnazione di una vita fatta di abbandoni e partenze, lo scorrere del tempo; le immagini fluttuanti del ricordo misto a malinconia riverberano la poetica e l’animo del Cardarelli. Nella lirica ‘’Abbandono’’ si coglie quel sentimento di impotenza tipico del poeta, sussurrato in modo sommesso, tacito, come se il suo animo fosse cosciente che, la propria esistenza, non potesse riservargli nient’altro che questo.

Volata sei, fuggita
come una colomba
e ti sei persa, là, verso oriente.
Ma sono rimasti i luoghi che ti videro
e l’ore dei nostri incontri.
Ore deserte,
luoghi per me divenuti un sepolcro
a cui faccio la guardia.

 

Cardarelli riesce a cogliere il tormento e il senso di impossibilità che si ripercuote su un individuo quando è costretto, per decisione altrui, a subire la fine di una storia.  Ma, nonostante tutto, il poeta non mostra la sua collera: resta nell’attesa di un qualcosa, una speranza vana nonostante le ‘’ore deserte’’; la solitudine  lasciata dall’amata è adesso viva, un sepolcro in cui la mancanza si è fatta morte ma che Cardarelli non abbandona e, anzi, attende facendo la guardia a un’assenza.

 

‘Il mio Zibaldone’. L’e-book leopardiano di Maria Iannotta

In un paesino dell’entroterra beneventano nasce un e-book “leopardiano” dal titolo Il mio Zibaldone, editato da IVVI Editore, che come editore, dà la possibilità a giovani scrittori emergenti, ove lo scritto venga ritenuto valido, di pubblicare un primo ebook che diventerà un cartaceo, successivamente.

La raccolta è si rifà ad un insieme di pensieri aforismi, storie e racconti messi in fila e fatti rivivere in forma narrativa.

L’autrice si chiama Maria Iannotta ha 33 anni ed è una giurista d’azienda, e ha sempre amato scrivere, nella scrittura “si rifugia” ha detto più volte la campana.

Il titolo è chiaramente ispirato allo Zibaldone del sommo Leopardi, ove lo stesso raccoglieva pensieri ed aforismi, che è anche l’autore in termini di letteratura del Romanticismo, che l’autrice dell’ebook preferisce.La raccolta racconta, storie, persone, visi, identità miste tra vero e non vero. Tali  storie sono frutto delle attese alle fermate di autobus, in stazione, in aeroporto, figlie i quelle attese, che non finiscono mai di essere.

Il titolo deriva dalla caratteristica della composizione letteraria, in quanto mistura di pensieri, come per l’omonima vivanda emiliana che è costituita da un amalgama di molti ingredienti diversi. Il vocabolo era usato come titolo di opere anche prima in un’accezione non dissimile, ovvero di raccolta disordinata di pensieri, testi e concetti.

Tuttavia proprio dopo la composizione di Leopardi il termine è utilizzato universalmente per indicare annotazioni su quaderni o diari, di pensieri frammentari.

L’opera è suddivisa in capitoli e sotto capitoli che compongono raccolte in raccolte.

L’autrice campana parla di arte in ogni forma all’interno di ogni sua storia, la sfiora, la vive e la usa attraverso i suoi personaggi.

 

 

https://www.ivvi.it/autori/iannotta-maria/

Il mio “Zibaldone”

La nuova lingua nazionale dei mass media

Ci sono alcuni studiosi della lingua che pensano che in fatto di linguaggio siamo conservatori. Ciò era un’ipotesi accreditata ai tempi in cui era necessaria un’invasione straniera per il cambiamento di una lingua. Ma oggi?

Oggi assistiamo ad uno stravolgimento continuo dell’italiano comune, che ci hanno insegnato a scuola. Quante nuove parole ci vengono imposte dal linguaggio omologato dei nuovi mass media, dai gerghi giovanili, dai linguaggi settoriali delle nuove scienze, dall’informatica e dall’economia? Chi parla più oggi veramente italiano?

Diciamo che attualmente riusciamo ancora a scrivere in italiano perché forse la sintassi e l’ortografia sono più “salde” della fonetica e del lessico. Nel nostro Paese c’è sempre stata una linea di demarcazione netta tra parlato e scritto. Sono stati pochi gli scrittori che hanno scritto nello stesso modo in cui parlava realmente la popolazione.

Scrittori e poeti hanno scelto prevalentemente il toscano. La lingua adoprata dagli intellettuali è stato il volgare di Dante, Petrarca, Boccaccio (le tre “corone” di Machiavelli nel “Discorso o dialogo intorno alla lingua”). Lo stesso Ariosto rivide il suo “Orlando Furioso” ed eliminò molti termini padovani ed introdusse molti toscanismi.

Anche Galilei utilizzò il toscano per la divulgazione scientifica; è da secoli che è avvenuta la toscanizzazione della letteratura italiana. Per non parlare poi di Manzoni che andò a sciacquarsi i panni in Arno. Fu proprio Manzoni a capo di una commissione del ministero della Pubblica Istruzione a stabilire che la lingua nazionale dovesse essere il fiorentino.

Chiaramente non tutte le caratteristiche del dialetto fiorentino sono diventate lingua nazionale, come ad esempio la c intervocalica aspirata, il togliere la desinenza re all’infinito dei verbi, il coniugare noi e il si impersonale. Don Milani anni fa era dell’idea che i poveri rinnovassero la lingua e che i ricchi la cristallizzassero.

I nuovi mass media oggi sono gli unici capaci di rinnovare e cristallizzare la lingua italiana. E penso anche che le televisioni soprattutto ci impongano un nuovo italiano: un italiano milanesizzato, che prende spesso a prestito termini dei linguaggi settoriali, espressioni colorite dei gerghi giovanili, inglesismi vari.

D’altronde Mediaset è a Cologno Monzese, le grandi case editrici si trovano quasi tutte nel Nord. Alla RAI si adeguano a parlare il milanese. Al Centro e al Sud è rimasto ben poco. Quando i giornalisti televisivi intervistano persone molto spesso vanno nel centro di Milano. Tutto il resto dell’Italia sembra periferico.

Chomsky qualche anno fa sostenne che un dialetto poteva diventare una lingua nazionale grazie ad un esercito. In Italia la lingua nazionale è stata imposta grazie ad un’egemonia culturale. Da qui in avanti sarà imposta tramite un’egemonia mediatica (gli scrittori oggi contano ben poco): un’egemonia mediatica, che in fin dei conti rappresenta anche l’egemonia industriale del Nord.

Le televisioni generaliste non ci propongono continuamente forse la parlata milanese come dizione corretta dell’italiano? Le show-girl che fanno i corsi di dizione non imparano forse a parlare un milanese privo di termini dialettali? I conduttori non adoprano forse una cadenza milanese o settentrionale?

Oggi se uno va in televisione deve farlo senza inflessione dialettale, a meno che non sia un comico oppure a meno che non sia il familiare di una vittima o un cosiddetto caso umano. Per tutti gli altri non ci sono scusanti. Neanche la parlata toscana è più consentita. È avvenuta da tempo la milanesizzazione della lingua italiana.

Oggi un Leopardi con una cadenza marchigiana forse non bucherebbe il piccolo schermo. E tutto ciò è ingiusto e inappropriato: è alquanto stupido perché presuppone la concezione implicita che chi risiede al Nord sia superiore a chi vive nelle isole, nel Centro e nel Sud. Eppure il Nord così produttivo per arricchirsi ha avuto bisogno in passato ed ancora oggi ha bisogno di tutti gli italiani.

Milano sarebbe ben poco se fosse stata solo dei milanesi. Anche Torino sarebbe stata ben poca cosa con i soli torinesi. Infine nascere al Centro o al Sud non è una colpa, così come non è una colpa avere un accento toscano o meridionale.

 

Davide Morelli

 

‘L’incanto di Venere’ di Salvatore Belzaino: l’invocazione dell’amore in una raccolta poetica compulsiva

Non è raro trovare nella raccolta la parola inchiostro, legata quasi da una sorta di magia alla sorte delle volte dei pianeti, delle maree, degli effetti luce delle stelle con l’atmosfera e l’aria terrestre. L’incanto di Venere dello scrittore napoletano Salvatore Belzaino, (Il mio libro, 2019), come si legge nella sinossi del libro, è una raccolta lirica che esalta e celebra Amore nella melodia che scalza l’oblio; è poetico flusso d’albe e tramonti nel letto stracolmo di attese del cuore. Tra i versi vividi di seducenti e primigenie emozioni, Salvatore Belzaino denuda, in danza di parole limpide, alchemiche e fatali, il significato e l’essenza del perdersi e ritrovarsi. Perdersi e ritrovarsi di vita, di onirico abbandono e persino di morte, nella Bellezza di Colei che strugge in baci, che seduce tra strali di passione e tormento, che si fa speme all’arcobaleno delle stagioni destinate a passare ed essere rimembranza ed anche amnesia.

L’autore vive quasi in una sorta di trance inconsapevole. È spinto. È guidato. È mosso alla scrittura da un vivace movimento astronomico incontenibile. Dall’inchiostro del porta nascono parole come sotto dettatura. Come in un accadimento biblico, le parole sono sentite innanzitutto, poi trascritte quasi, e infine trasformate in invocazione.

Ed è proprio l’invocazione la prima figura retorica che si fa strada nella raccolta. La dedizione è una conseguenza, e i pianeti l’oggetto del desiderio, della pietevole inclinazione all’osservazione di orizzonti distanti.

Parliamo in questo caso dell’invocazione a Venere. Atto che fu già di rottura, se vogliamo, quando la fece Lucrezio; che snobbò le muse per votarsi a Venere, a una dea, per ingraziarsela, per farle illuminare il tracciato del racconto per intero. E in questa nostra raccolta contemporanea il percorso non è diverso. Il pianeta, la stella, la dea, trova qui la sua antica funzione di guida dei mari, delle acque terrestri, delle giostre luminose di luce atmosferica, e dell’inchiostro di cui si compone questa “compulsiva” raccolta dove l’autore campano cerca la propria orbita ontologica e poetica.

E facendo correre velocissimi gli anni coi secoli, possiamo legare tutto il trattato poetico al naturalismo cosmico e incantato, panteistico, che fu di Leopardi, e in qualche misura tipico ottocentesco caratterizzato da un lessico di maniera, ragionato, cercato; soprattutto perché poi compare la luna con le maree, con l’aurora e i rapporti con sole, e tutte queste creature del cielo sono fortemente inclini a dettare sentimenti e a suggerire emozioni. E l’autore nel riconoscersi con Pavese e con la radiazione pessimistica di fondo, non fa altro che continuare e proseguire un pessimismo su di sé e sulla natura dell’uomo che fu celebre in Leopardi. E fondamentalmente l’autore da vita al teorema dell’impossibilità, del mare, dell’oceano in un bicchiere, della surrealtà, delle immagini che furono di Magritte.

Il poeta è alla ricerca di una nuova dimensione. La indaga, la isegue, la ricerca. La inquisisce, la invoca.
Il lessico poi può sembrare molto di maniera, studiato, un po’ troppo ragionato, voluto, cercato. Impreziosito da bagliori extraterrestri.
È il fanciullino di Pascoli che diventa adulto e cerca solo un atavico, eterno, cantuccino in qualcosa di molto distante e coscientemente irraggiungibile, impossibile.

Passando poi da una lettura storiografica ad una superficialmente psicoanalitica, questa fissazione per Venere nasconde la voglia, decisamente manifesta, di un rifugio privato perduto, quasi immaginario. Una voglia insaziabile, bulimica, quasi compulsiva. Ci sono pagine e pagine in cui si parla di cose reali ma della loro trasfigurazione astrofisica tramite algoritmi verbali molte volte dai tempi antichi.

Recanati festeggia dal 21 al 24 marzo il bicentenario dalla stesura de ‘L’infinito’ di Leopardi

La città di Recanati riparte dall’Infinito di Giacomo Leopardi per la gestione e valorizzazione dei beni culturali e delle politiche del turismo, proprio dal suo colle estremamente evocativo e rappresentativo nell’immaginario collettivo. Un progetto innovativo per la città di Recanati che fa leva sulla sua forte identità legata all’arte, alla poesia e alla musica. Il progetto è stato ideato e redatto dalla Società Sistema Museo e si propone come modello forte per la valorizzazione di un territorio.
Infinito Recanati ha dato vita ad un circuito uniforme tra le risorse culturali, museali e turistiche. Obiettivo generale è quello di promuovere non la singola realtà museale o collezione ma il patrimonio culturale nel suo complesso, come un unico museo diffuso da percorrere e scoprire.

In occasione della giornata mondiale della poesia, la città marchigiana festeggerà con un lungo evento dal 21-24 marzo, nell’ambito delle celebrazioni per il bicentenario dalla stesura de L’Infinito di Leopardi (1819-2019).  Ospiti del mondo della cultura si interrogheranno sul tema dell’ INFINITO dalla letteratura, alle arti, alla scienza. Ad inaugurare l’evento sarà il Ministro Marco Bussetti.

Dalla matematica alla filosofia, dalla pittura passando per la scienza e ovviamente la poesia. Il 21 marzo cade la Giornata mondiale della Poesia, facendo di Recanati a titolo assoluto il centro della manifestazione.
Per l’occasione Recanati diventerà palcoscenico per conferenze, spettacoli, concerti dove ragionare sul tema dell’infinito in tutte le arti. Un lungo weekend animato da iniziative che vedranno come protagonisti personalità del mondo della cultura salire sul palco del Teatro Persiani o al museo di Villa Colloredo Mels: Davide Rondoni, Vittorio Sgarbi, Paolo Crepet, Umberto Bottazzini, Sergio Givone, Samuel dj set from Subsonica, Antonino Zichichi, Remo Anzovino.

Per tutto il 2019, infatti, si svolgerà nella cittadina marchigiana “Infinito Leopardi”, un evento che tra mostre, spettacoli, conferenze, pubblicazioni possa sollecitare la necessità di tornare a pensare all’infinito e alle infinite espressioni dell’uomo nella natura, tema portante e modernissimo del pensiero leopardiano.

“Infinito Leopardi” è un progetto promosso dal Comitato Nazionale per le celebrazioni del bicentenario de L’Infinito di Giacomo Leopardi, istituito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC), con la partecipazione di Regione Marche, Comune di Recanati, Centro Nazionale Studi Leopardiani, Casa Leopardi, Centro Mondiale della Poesia e della Cultura e Università degli Studi di Macerata.
La programmazione rientra nel Piano strategico unitario della cultura messo in campo dalla Regione Marche per valorizzare al meglio il patrimonio culturale locale, che individua nel 2019 l’anno di Giacomo Leopardi sostenendo gli eventi ad esso collegati.

 

IL PROGRAMMA

Giovedì 21 marzo

Ore 11
TEATRO PERSIANI
MARCO BUSSETTI
Incontro pubblico con il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca
Ore 12
TEATRO PERSIANI
VITTORIO SGARBI
“Romanticismo: l’infinito nell’arte e nella poesia”
Critico d’arte, saggista, politico, opinionista. Ha definito Giacomo Leopardi “il più grande poeta italiano”. A Recanati ha ideato la mostra “Solo senza fidel governo et molto inquieto de la mente. Lorenzo Lotto dialoga con Giacomo Leopardi”.
Ore 13
VILLA COLLOREDO MELS
Inaugurazione nuovo percorso e allestimento museale, alla presenza del ministro dell’Istruzione, università e ricerca Marco Bussetti
Ore 17
SALA DEL GRANAIO, VILLA COLLOREDO MELS
UMBERTO BOTTAZZINI
Presentazione del libro “Infinito” con l’autore
Matematico e divulgatore. Il libro invita ad un viaggio nell’infinito che nasconde nelle pieghe paradossali dei ragionamenti di Zenone e di Galileo, nella filosofia di Aristotele, nel paradiso dei numeri transfiniti di Cantor.
Ore 18
SALA DEL GRANAIO, VILLA COLLOREDO MELS
SERGIO GIVONE
L’Infinito visto/per/secondo Sergio Givone
Presentazione del libro “Sull’infinito” con l’autore
Filosofo. Il viandante romantico ritratto da Friedrich sembra essere consapevole che l’infinito è più grande di lui ma, allo stesso modo, ne è tentato. Irraggiungibile, l’infinito è poco rappresentabile. Perchè allora non cessa di tormentare pittori, filosofi, matematici e letterati?
Ore 21
TEATRO PERSIANI
SAMUEL from SUBSONICA
“L’Infinito all’infinito”
Il frontman dei Subsonica, di cui è anche compositore e autore dei testi, si esibirà in un dj set ispirato al componimento di Giacomo Leopardi.

Venerdì 22 marzo
Ore 21
TEATRO PERSIANI
DAVIDE RONDONI
“E come il vento”
Poesia, danza e musica con Davide Rondoni, Paola Camarco e Megahertz.

Sabato 23 marzo
Ore 17
TEATRO PERSIANI
ANTONINO ZICHICHI
“La bellezza dell’infinito”
È uno dei massimi esponenti della cultura scientifica moderna e autore di oltre 950 lavori scientifici, tra cui molte scoperte, invenzioni, che hanno aperto nuove strade nella fisica subnucleare delle alte energie.
Ore 21
TEATRO PERSIANI
REMO ANZOVINO
“Sovrumani silenzi”
Viaggio musicale nelle sensazioni de L’Infinito.
Considerato da critica e pubblico uno dei più originali e innovativi compositori in circolazione, Remo Anzovino, che ha recentemente vinto il Nastro d’Argento 2019, è uno dei massimi esponenti della musica strumentale.

Domenica 24 marzo
Ore 18
TEATRO PERSIANI
PAOLO CREPET
“Infinita passione”
Dialogo sulla psiche. Sociologo, saggista, opinionista, nonché figura importante nel mondo della psichiatria, cresciuto sotto l’insegnamento di Franco Basaglia, padre della legge che, nel 1978, sancì l’abolizione dei manicomi.

Giornata mondiale della poesia, il programma che si svolgerà il 24 marzo, prevede i versi in musica di Leopardi e Alda Merini

Si svolgerà il 24 marzo 2018 presso la Sala Maffeiana del Teatro Filarmonico, con ingresso libero al pubblico sino ad esaurimento posti disponibili, la 17esima edizione della Giornata mondiale della poesia che avrà come tema: “Siamo fatti per l’Infinito”, con la partecipazione straordinaria di Fabio Armiliato e Giovanni Nuti e inoltre di: Davide Rondoni, Carlos Aganzo, Valentina Colonna, Majo Danilovic, Barbara Herzog, Antoine Houlou, Paolo Lagazzi, Dato Magradze, Massimo Morasso, Ales Steger, Maestro Fausto, Taiten Guareschi, Gian Mario Villalta, Abdallah Falaikawa.

L’evento, con ingresso libero al pubblico fino ad esaurimento posti disponibili, vedrà, quest’anno, anche la straordinaria partecipazione di due eccellenze della musica italiana che apriranno la manifestazione: il tenore Fabio Armiliato e il cantautore Giovanni Nuti che proporranno L’infinito di Leopardi, musicato, per l’occasione, da Nuti che dichiara: “Ho accettato con ‘timore e tremore’ la proposta di Laura Troisi di musicare i versi de ‘L’infinito’ di Leopardi, a cui è dedicato l’evento di quest’anno. Confrontarsi con uno dei componimenti poetici più noti della letteratura mondiale richiedeva una dose di tracotanza e di incoscienza cui neppure tutti i miei anni di frequentazione e osmosi creativa con Alda Merini mi hanno preparato. Ho cercato di accostarmi con consapevolezza e umiltà a questa poesia, sgombro però di troppe letture e troppe interpretazioni, ‘come se’ la leggessi per la prima volta, in modo da far scaturire la mia musica dall’inesauribile ombra di silenzio del Canto leopardiano. Il risultato lo presenterò il 24 marzo insieme all’amico Fabio Armiliato che mi aiuterà a proporvelo con la sua consueta sensibilità interpretativa”.

Il programma prevede al mattino del 24 marzo, presso la Sala Maffeiana del Teatro Filarmonico, l’apertura con i saluti delle autorità e della Presidente Patrizia Martello, quindi la cerimonia di premiazione del Primo concorso nazionale di Poesia con Immagine via Instagram che ha come tema appunto “Siamo fatti per l’Infinito. In questo modo si vuole celebrare una poesia considerata unanimemente un “bene comune”: un bene immateriale, che ha mosso milioni di miliardi di pensieri, emozioni, inquietudini, visioni, pensieri filosofici, energia esistenziale e che ha reso l’uomo più libero e vicino all’immortalità. Premio per i primi 3 giovani classificati sarà un laboratorio di poesia con Davide Rondoni, poeta e critico letterario e la poetessa Isabella Leardini. Per gli altri vincitori è previsto un diploma d’onore dell’Accademia Mondiale della Poesia.

L’evento, condotto dal regista e attore Alfonso De Filippis, proseguirà poi nel pomeriggio con l’“Infinito”, apertura in musica con Giovanni Nuti e Fabio Armiliato e poi ancora poesia in musica con i versi di Alda Merini, accompagnato da José Orlando Luciano al pianoforte e da Simone Rossetti Bazzaro al violino. Giovanni Nuti interpreterà, sempre con Fabio Armiliato, il duetto Io non ho bisogno di denaro e renderà omaggio a Daniela Dessì con il duetto Genesi, che il grande soprano aveva registrato con lui prima della sua prematura scomparsa (entrambi i brani fanno parte di Accarezzami musica – Il Canzoniere di Alda Merini, il cofanetto che racchiude 16 anni di collaborazione con la poetessa da poco pubblicato).
A seguire la consegna del Premio Catullo che quest’anno andrà a Massimo Morasso per il libro Rilke feat. Michelangelo e un dibattito che avrà come tema “L’Infinito”. Introdurrà Davide Rondoni e parteciperanno Carlos Aganzo(Spagna) Majo Danilovic (Serbia) Barbara Herzog (Svizzera) Antoine Houlou (Francia), Paolo Lagazzi (Italia), Dato Magradze(Georgia), Ales Steger (Slovenia), Maestro Fausto Taiten Guareschi (Italia/Giappone) Gian Mario Villalta (Italia), Abdallah Falaikawa (Kuwait).
Chiuderà la manifestazione “Risonanze PianofortePoesia”, una suggestiva esibizione di musiche e poesie di Valentina Colonna.

L’Accademia Mondiale della Poesia nasce a Verona il 21 marzo 2001 e riunisce 60 poeti, tra i più famosi al mondo, fra cui anche i Premi Nobel della Letteratura, Wole Soyinka, Derek Walcott, Seamus Heaney e, tra i soci fondatori, accanto al Cancelliere Nadir Aziza, il grande poeta italiano Mario Luzi. La costituzione dell’Accademia Mondiale della Poesia nella città che ha visto nascere Catullo, ha accolto Dante e che ha ispirato Shakespeare costituisce un prolungamento naturale dell’iniziativa del Consiglio Esecutivo dell’UNESCO, sotto la Presidenza Esecutiva di Sua Ecc. Mme Sonia Mendieta de Badaroux. La proclamazione del 21 marzo Giornata Mondiale della Poesia da parte dell’UNESCO, ha reso utile la costituzione di un’Istituzione che raggruppasse poeti in rappresentanza dei cinque continenti con lo scopo di promuovere la poesia in tutto il mondo. Obiettivo statutario dell’Accademia Mondiale della Poesia è quello di celebrare ogni anno, la Giornata Mondiale della Poesia proclamata dall’UNESCO, con un grande evento poetico-musicale

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