“Iride”, la tragedia di uno scherzo

Riccardo Bacchelli, conosciuto soprattutto per l’omonima legge, promulgata nel 1985, la quale  prevede un fondo a favore di cittadini illustri che versino in stato di particolare necessità e per  la vasta trilogia romanzesca del Mulino del Po (I, Dio ti salvi, Milano 1938; II, La miseria viene in barca, 1939;. III, Mondo vecchio, sempre nuovo, 1940), che abbraccia un secolo di storia italiana, dal declino napoleonico sino alla battaglia di Vittorio Veneto, è stato senza dubbio uno dei più talentuosi scrittori del panorama letterario novecentesco. Il suo ultimo romanzo, Iride, del 1937 rappresenta l’ulteriore conferma delle qualità di scrittore di Bacchelli, oltre che dei suoi limiti.

Lo scrittore bolognese ha rappresentato più che un vero e proprio autore, un caso letterario e anche questo suo ultimo romanzo induce nel lettore “esperto” il dubbio se si tratti di un romanzo o di un discorso, dato che Bacchelli si preoccupa di annessi e connessi discorsivi del racconto, anche i meno importanti, riducendo il romanzo a “veicolo per la sua prosa”. Iride porta con se quell’impianto stilistico fatto di persuasioni, incanti, gusto per la dispersione e costruzioni liriche. L’intero romanzo è sostenuto da un ritmo disgiunto da quello dei fatti che segna il superamento del naturalismo che è stato il peso morto del romanzo moderno; è lo stile che compone per Bacchelli, non lui stesso.

La premessa narrativa di Iride è la storia della sua protagonista, una bellissima fanciulla nella quale le caratteristiche fisiche e morali danno vita ad un ideale romantico; tenuta lontano di casa dalla madre che teme per lei l’aria umida settentrionale dei campi, dato che i due figli sono morti, ella vi torna per far ritrovare la madre morta. Iride tuttavia riporta la vita in quella casa, dove un padre vedovo le riserva un affetto morboso che sfocia nella gelosia quando la ragazza annuncia di essersi innamorata di un vicino di villa, Matteo Almeide, giovane ed elegante signore di campagna. Fortunatamente Iride non ci viene presentata come una creatura troppo alta su questa terra ma lo scrittore si perde in un difetto smodato: il gusto per gli scherzi innocenti. Pochi giorni prima delle nozze infatti, Iride, sorpresa dal fidanzato mentre si prova l’abito da sposa (cosa che porterebbe male al matrimonio), scappa e va a nascondersi dentro ad un baule che ha scoperto in un ripostiglio segreto; un balzo del cane ha abbattuto le scalette con cui la ragazza vi è salita, cancellando in questo modo ogni traccia del passaggio, e si giunge all’ipotesi, grazie all’aiuto della polizia, che Iride possa essere scappata con un amante segreto. E la povera ragazza muore in quel baule, avendo fatto scattare la chiusura sulla propria testa.

A questo punto il romanzo si perde in indugi su altri personaggi, fin quando, molti anni dopo, un’anziana scrittrice svedese, andata ad abitare nella villa, curiosando qua e là, scopre il ripostiglio, il baule e il cadavere mummificato della ragazza. Bacchelli ad un certo punto del libro fa riferimento alla leggenda marinara ripresa da una poesia di Ibsen: “che un morto a bordo tien tutta la nave in angosciosa oppressione, come in un incubo di tristo presagio”, non rendendosi probabilmente, pienamente conto, che il il morto a bordo è proprio il suo romanzo ad avercelo.

In Iride, Bacchelli lavora sull’umano, vuole che la morte per scherzo della ragazza ci colpisca al cuore: se si dà la colpa alla ragazza, vittima della sua stessa mania, si distrugge il suo prestigio, se invece la colpa si dà al destino, non si può fare a meno di pensare a quanto sproporzionata sia la differenza tra il personaggio e la sorte che lo scrittore ha destinato ad Iride. Ma lo scrittore, come ha acutamente notato Debenedetti, paga il contrasto tra la grande tradizione italiana e i generi del romanticismo europeo.

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