Lévi-Strauss e l’antropologia strutturale

Claude Lévi-Strauss (Bruxelles 1908 – Parigi 2009) è stato un antropologo, psicologo e filosofo francese. Studia legge e filosofia alla Sorbona di Parigi ma nel 1931 si laurea in Filosofia. Le sue posizioni filosofiche si dimostrano da subito estremamente critiche nei confronti delle tendenze idealiste e spiritualistiche della filosofia francese di quel periodo; egli riconosce in se stesso un’esigenza di concretezza che lo porta verso direzioni completamente nuove. Ben presto infatti scopre presto nelle scienze umane, in particolare nella sociologia e nell’etnologia, la possibilità di costruire un discorso innovatore sull’uomo. Decisivo è  l’incontro con Paul Rivet e con Marcel Mauss del quale è allievo.

La fascinazione per i riti e i miti primitivi comincia proprio dall’insegnamento di Mauss. Lévi-Strauss è professore all’università di San Paolo in Brasile dal 1935 al 1938, poi alla New school for social research di New York (1942-45), all’ École pratique des hautes études di Parigi (dal 1950), infine al Collège de France dove (dal 1959 al 1982) insegna antropologia sociale. Dal 1973 è accademico di Francia. Durante la seconda guerra mondiale soggiorna negli U.S.A. dove entra in contatto con la tradizione etnografica di F. Boas e con le più generali prospettive teoriche dell’antropologia culturale. Di estrema importanza in questo periodo è l’incontro con la linguistica strutturale, e in particolare con R. Jakobson. Primi segni della fecondità dell’incontro si ritrovano in alcuni saggi nei quali si applicano i metodi dell’analisi strutturale in linguistica allo studio di fenomeni, come la parentela o il mito. La prima grande opera di L.-S. è Les structures élémentaires de la parenté. In questo studio L.-S. elabora una nuova teoria della parentela: partendo dall’analisi di aspetti fino ad allora poco comprensibili delle relazioni di parentela (il matrimonio preferenziale tra cugini incrociati – figli di germani di sesso differente; l’esclusione del matrimonio tra cugini paralleli – figli di germani dello stesso sesso; le organizzazioni dualiste), riesce a mostrare come tutti questi comportamenti siano espressione di un unico modello strutturale elaborato a partire da alcuni principi elementari.

L’elemento centrale nella costituzione dell’unità e dei gruppi di parentela è l’unione matrimoniale. Tutte le società umane a partire da questo si danno regole per definire un’area, più o meno ampia, di evitazione dell’unione matrimoniale. Il divieto dell’incesto rappresenta il principio che consente ai gruppi umani di passare da una condizione puramente naturale, pre-sociale, a una condizione culturale, di uscire dalla natura per collocarsi nella cultura. L’incesto è dunque un’ invarianza transculturale, funzionale e necessaria allo scambio e alla comunicazione tra gruppi umani secondo le modalità della reciprocità; tutte le culture pongono un divieto al desiderio incestuoso e pertanto il tabù dell’incesto si configura come una legge universale. Il tabù dell’incesto consente alla famiglia di stabilire relazioni esterne che rafforzano la solidarietà sociale. La proibizione dell’incesto è la costante universale che segna il passaggio dal puro stato di natura a una società umana seppure minimamente organizzata. In talune società antiche l’incesto era comunque spesso consuetudine nelle famiglie che detenevano il potere, con l’evidente finalità dell’autoconservazione dello stesso.

Il problema del rapporto tra natura e cultura e quello del rapporto tra aspetti strutturali, universali del funzionamento della mente umana e della società e aspetti storici, torna in alcuni scritti degli anni Cinquanta e Sessanta in testi quali Race et histoire del 1952 e Tristes tropiques del 1955. Di particolare importanza è la critica alla visione evoluzionistica delle società umane che per L.-S. sono connotate invece da una ritmicità storica peculiare. Alla contrapposizione etnocentrica e ottocentesca di “primitivo” e “civilizzato”oppone infatti la famosa dicotomia tra “società calde” e “società fredde”, ovvero tra società caratterizzate da un elevato grado di accettazione della dinamicità, dell’evento, del mutamento, e società tese invece a congelare il fluire degli eventi, della storia. Alcune rivoluzioni tecnologiche e culturali insieme a particolari condizioni sociali hanno rappresentato gli eventi che hanno favorito la creazione di aree storiche particolarmente “calde”. Nel vasto corpus di miti amerindiani, lo studioso ha individuato il luogo potente di una logica che informa il complesso sistema di relazioni tra individuo, struttura sociale ed ecosistema, affrontando tale studio in due lavori dedicati alle forme di pensiero che più sembrano caratterizzare le società non occidentali: Le totémisme aujourd’hui e La pensée sauvage, entrambi del 1962.

L.-S. elabora una prospettiva che, rispettando e meglio comprendendo le forme di vita non occidentali, le connette profondamente a quelle che ci sono più familiari. Il “pensiero selvaggio” è una modalità del pensare umano che, comune agli uomini di tutte le culture, caratterizza alcuni settori della nostra società e, soprattutto, le culture non occidentali. Si tratta di una forma logica di pensiero che non agisce per astrazione, per classificazione e sublimazione di qualità, o per gerarchizzazione logica, ma opera partendo da una particolare attenzione alle qualità sensibili del reale considerate nella loro capacità di fungere da segni, per produrre una continua rete di simboli e di significati. In questa ottica i fenomeni di identificazione tra animali o altri esseri e fenomeni naturali e individui e o gruppi, il totemismo, divengono particolari espressioni di questa esigenza concreta e classificatoria, logica e simbolica, del “pensiero selvaggio”.

Per Lévi-Strauss quindi i cosiddetti selvaggi sono più vicini a noi di quanto si possa pensare. Nel segno del distacco dall’etnologia tradizionale, le ricerche  dell’antropologo scelgono come tema un attributo universale dello spirito umano: il pensiero allo stato selvaggio presente in tutti gli uomini, antichi e contemporanei. Il pensiero selvaggio ha esercitato un’influenza decisiva sulle discipline che formano il campo delle scienze sociali ed è oggi considerato un classico dell’etnologia.

La logica del “pensiero selvaggio” è colta nel mito, fenomeno a Lévi-Strauss dedica il suo studio tra il 1960 e il 1970 con quattro volumi Mythologiques: Le cru et le cuit del 1964, Du miel aux cendres del 1966, L’origine des manières de table del 1968 e L’homme nu del 1971. Analizzato da una prospettiva strutturale, il corpus dei miti indigeni amerindiani si rivela organizzato da una logica coerente, pienamente comprensibile quando si assumono le procedure cognitive del “pensiero selvaggio”. Logica che tra l’altro rende comprensibili le trasformazioni cui i miti sono sottoposti nel loro propagarsi da società a società. Terminata l’impresa delle Mythologiques, Lévi-Strauss affrontata problemi di natura estetica già analizzati negli anni Cinquanta con il volume La voie des pasque uscito nel 1975; torna poi sulla parentela con Le regard éloigné e con Histoire et etnologie del 1983 e sul mito con La potière jalouse del 1985 e con Histoire de Lynx del 1991.

In Antropologia strutturale, il più importante testo dell’etnologia moderna, Lévi-Strauss. parte dalla teoria del linguista Jakobson e ne formula una possibile applicazione alle culture: anche tra gli uomini esistono costanti universali, individuabili nel carattere sistematico delle differenze tra i singoli. L’antropologo  quindi è colui che ricerca la struttura, il sistema di regole inconsce che condizionano il comportamento umano. A partire da questa teoria, ogni società viene considerata come insieme di persone che comunicano mediante linguaggi verbali e non verbali e che vive nella storia, cambiando. L’antropologia strutturale si propone come ricerca rigorosa del senso degli insiemi. Ma storia è  davvero solo una delle scelte possibili che gli uomini possono compiere?

Lévi-Strauss riprende l’idea della natura psichica dei fatti sociali: questi sono sistemi di idee oggettive, ma questi sistemi non sono elaborazioni consce, bensì inconsce. Il fondamento ultimo è dato dallo spirito umano inconscio, che si rivela attraverso i modelli strutturali della realtà.

Nel 1973 Lévi-Strauss riceve l’Erasmus Prize e nel 2003 il Meister Eckhart Prize per la Filosofia. Dalle Università di Oxford, Harvard e dalla Columbia University riceve la laurea ad honorem. È stato onorato anche della Grand-croix de la Légion d’honneur e gli è stato attribuito il merito di “Commandeur de l’ordre national du Mérite” e di “Commandeur des Arts et des Lettres”.

 

Gérard Genette: nascita della narratologia moderna

Il critico letterario e professore di letteratura francese presso la Sorbona Gérard Genette (Parigi, 1930) è senza dubbio una delle personalità di spicco, insieme a Barthes e Levi-Strauss, dello strutturalismo, nonché massimo esponente della narratologia moderna.

Nella sua analisi narratologica Genette parte dalla trattazione del racconto come enunciato narrativo. Il racconto infatti, secondo il critico, «designa l’enunciato narrativo, il discorso orale o scritto che assume la relazione di un avvenimento o di una serie di avvenimenti: così si chiamerà racconto d’Ulisse il discorso tenuto dall’eroe nei canti dall’IX al XII dell’Odissea, e dunque questi stessi quattro canti, cioè il segmento del testo omerico che pretende esserne la trascrizione fedele».

Il concetto di  racconto viene affrontato anche in altri termini: storici, ovveroquando esso designa la successione di avvenimenti, reali o fittizi, che fanno l’oggetto del discorso narrativo e le loro diverse relazioni di concatenamento,  Secondo questa definizione, l’ “analisi del racconto” non è altro che <<lo studio di un insieme di azioni e di situazioni considerate in se stesse, fattane astrazione del loro canale mediatico, linguistico o altro, che ce ne dà conoscenza, e strettamente narrativi quando il racconto designa  un avvenimento: però non quello che si racconta, ma quello che consiste nel fatto che qualcuno racconta qualcosa: l’atto del narrare preso in se stesso>>.

Nell’ambito del discorso narrativo il punto di vista indica le modalità di presenza del narratore e in tale ambito ci è utile fare riferimento alla focalizzazione, distinta da Genette in focalizzazione zero, ossia quando il narratore è onnisciente e controlla l’intera scena narrativa e ne sa più dei suoi personaggi, focalizzazione interna, quando il narratore si annulla dietro ai suoi personaggi e non ne sa più di essi e infine  focalizzazione esterna, quando il narratore si pone all’esterno del racconto e ne sa quanto i suoi personaggi.

Tuttavia, come ha notato Betrand, <<nella creazione della struttura del racconto il punto di vista è chiamato in causa anche dalla selezione di un personaggio e dal conseguente sviluppo che ne determina il percorso>>. Tale scelta è dovuta dai vincoli della testualizzazione, meccanismo molto importante ai fine dell’organizzazione della macchina narrativa consentendo agli altri attori di occupare una posizione secondaria, in questo ultimo caso si parla di prospettiva narrativa. Il significato di un testo dunque è il risultato delle relazioni intertestuali che intercorrono tra  la singola istanza testuale e l’universo testuale in cui viene inserito dal lettore.

A tal proposito prendiamo in esame i primi due capitoli di Germinale, romanzo di Zola nei quali vi è un’alternanza di prospettiva di Etienne Lantier e quella degli operai che si alzano per andare a lavorare. In seguito, il primo capitolo della seconda parte del libro introduce la prospettiva di alcuni borghesi e via dicendo. La scelta di una prospettiva, secondo Bertrand, implica il duplice meccanismo di selezione di un percorso narrativo e di occultamento sistematico degli altri percorsi possibili. Ad esempio il narratore della fiaba si avvale della prospettiva dell’eroe, il quale si fa interprete dei valori della comunità, nascondendo la prospettiva dell’antagonista.

Volendo sintetizzare, Genette si è occupato dello svelamento dei meccanismi linguistici, prendendo in considerazione i vari punti di vista della letterarietà, applicando questo metodo a diverse opere, tra le quali spicca La Recherche di Proust. Il critico ha affrontato la questione in diverse opere come le celebri Figure e Discorso del racconto.

Greimas, teorico della sintassi narrativa

Algirdas Julien Greimas linguista e semiologo lituano è uno dei padri della semiotica strutturale e teorico della “sintassi narrativa”.

Nato in Russia a Tula, da genitori lituani, Greimas studia legge in Lituania poi e Lettere in Francia. Affascinato dal Medio Evo si dedica a studi di dialettologia franco-provenzale conducendo un’ analisi nella regione alpina del Rodano alla ricerca della presenza di un substrato ligure pre-gallico.
Nel 1948 completa il dottorato di ricerca all’Università della Sorbona a Parigi con una tesi in lettere sul vocabolario della moda. Il lavoro è  ispirato dall’analisi lessicologica sincronica (o statica) di George Matoré, con il quale Greimas pubblica due articoli. Comincia la sua carriera accademica. Un anno dopo Greimas viene inviato come lettore all’Università di Alessandria d’Egitto, per insegnare storia della lingua francese. Qui conosce il critico letterario Roland Barthes di cui diviene un buon amico. La conoscenza di Barthes gli fa abbandonare progressivamente gli studi di lessicologia per concentrarsi su quelli della semantica.

A partire dagli studi di Georges Dumézil, Claude Lévi-Strauss e Maurice Merleau-Ponty, Greimas pubblica nel 1956 un saggio in cui postula, sulla base della lezione di Ferdinand de Saussure, un mondo strutturato e comprensibile nei significati condivisi. Il suo obiettivo diventa l’elaborazione di una metodologia unificante delle scienze sociali. Nel 1958 gli viene assegnata la cattedra di lingua e grammatica francese all’Università di Ankara, capitale della Turchia. Qui fonda con alcuni colleghi la Société d’étude de la langue française. Tornato in Francia insegna per la prima volta semantica strutturale al “Centro di linguistica quantitativa” di Parigi, all’Istituto Poincaré. L’anno 1966 Greimas vede la fondazione insieme a Roland Barthes e altri studiosi della rivista “Langages”. Lo scopo del progetto è indagare l’ insieme dei sistemi di significazione e di indigarli proprio come strutture relazionali gerarchizzate. L’ attività del critico è energica, continua fonda infatti il “Gruppo di ricerca semio-linguistica” (GRSL) presso la Scuola di alta formazione di Parigi sempre con la partecipazione di Barthes, di Claude Lévi-Strauss e del Collège de France. Tra i membri fondatori vi sono anche il critico cinematografico Christian Metz, il teorico della letteratura Gérard Genette, la filosofa e psicanalista Julia Kristeva ed il semiologo bulgaro Tzvetan Todorov.

Nel 1966 esce anche il suo capolavoro “Semantica strutturale” opera tradotta in sette lingue che conferma la sua rivoluzionaria e fondativa teroria. Nel 1970 Greimas viene nominato anche capo di una struttura creata in Italia: il Centro Internazionale di Semiotica e di Linguistica a Urbino.
Alla base della teoria semiotica del critico  vi è il concetto di attante, predendo in considerazione la funzione di Propp, ridefinendola: questa che prende il nome di Enunciato Narrativo è definita come una “relazione-funzione tra almeno due attanti” ovvero EN=R. L’attante è un concetto fondamentale definito da Coquet come il “pezzo forte del teatro semiotico”.Lo svillupo della sintassi narrativa, quindi, produce generalizzazioni partendo dall’enunciato elementare per cogliere la dimensione discorsiva, dalle forme più superficiali del testo a quelle più complesse riguardanti la semantica e la sintassi.
Tornando all’attante, Greimas individua tre coppie di categorie di attanti (“Semantica strutturale”): un attante Destinante/Destinatario, un attante Soggetto/Oggetto e un attante Aiutante/Opponente. In questo modo Greimas inscrive la descrizione delle strutture narrative dentro le teorie che formano il complesso apparato concettuale del discorso.
Nel 1979 pubblica con Joseph Courtès il famoso “Dizionario di Semiotica”. L’opera raccoglie la definizione di tutte le parole chiave della semiotica greimasiana che rimane a tutt’oggi il punto di riferimento per tutti gli studiosi di semiotica strutturale.

 

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