Yaprak Öz, scrittrice turca, approda in Italia grazie alla pubblicazione del giallo intitolato Il fiore di Faràhnaz, da Edizioni Le Assassine (tradotto da Nicola Verderame). Un libro che gioca con il mistero, tramutandosi immediatamente in una lettura intrigante. Le Assassine ancora una volta si dimostra specializzata in letteratura gialla scritta esclusivamente da sole donne e naturalmente della traduzione di opere che hanno avuto successo.
Alla fine degli anni settanta nel tranquillo quartiere di Zonguldak vengono commessi terribili omicidi. Yıldız Alatan, che vive vicino alla scena del delitto, decide di indagare sul mistero che si nasconde dietro la coincidenza che unisce la vittima e l’assassino. Yıldız Alatan, appassionata di romanzi polizieschi, è una sarta, casalinga perfetta, nonché vicina di casa affidabile e dolce, una buona amica il cui suo sogno più grande è risolvere un giorno un caso misterioso. La donna è la voce narrante del romanzo di genere tutto al femminile, ben orchestrato da Yaprak Öz, le cui pagine restituiscono al lettore il profumo e un sentore di infetto, connubio che rende il libro della Oz davvero degno di nota.
L’avventura investigativa di Yıldız diventerà ben presto sempre più complicata ed intricata, ma con l’aiuto delle sue amiche non si arrenderà nemmeno nelle situazioni più difficili.
La donna comprende che dietro l’omicidio si cela molto di più di quanto appaia. Ci riuscirà, senza mettere a repentaglio la sua stessa vita?
“Da casalinga a sarta, e tutti sanno che mi chiamo Yildiz Abla, moglie dell’ingegnere minerario Ziya Alatan, che lavora nelle miniera di Kozlu, nel complesso carbonifero di Eregli. Abbiamo una figlia di nome Berrin, un genero di nome Engin e una dolcissima nipotina di nome Berrak. Ciò che più mi contraddistingue è la passione per la lettura. In particolare vado matta per i romanzi gialli.”
Il fiore di Farahnaz è un giallo ricco di suggestioni, complice l’ambientazione in Turchia, Paese in cui è facile smarrirsi dall’atmosfera languida, in bilico tra sfarzo e miseria, scritto con un linguaggio fluido, che bene mette in evidenza le ombre di una comunità, dove tutti sembrano fingere, dove si aggira, indagando, una deliziosa e acutissima Miss Marple turca, simbolo del riscatto femminile.
L’autrice coglie l’occasione per far conoscere la Turchia degli anni ’80, quando, nel 1984 il PKK (organizzazione politico-militare curda considerata illegale in Turchia) ha cominciato un’insurrezione contro il governo turco. Il conflitto, che è costato migliaia di vite, continua ancora oggi. Dalla liberalizzazione dell’economia turca durante gli anni ottanta, il paese ha goduto di una più forte crescita economica e maggiore stabilità politica.
La casa editrice Le Assassine torna in libreria con un avvincente romanzo. Il loro ultimo gioiello, per la collana Vintage, è Nelle loro mani di Hilda Lawrence. Hilda Lawrence è una scrittrice americana nata nel 1906 e morta nel 1976. Con il tempo, scopre un forte interesse per la lettura per ciechi, e la segue: così, dopo gli studi, approfondisce questa passione, per poi entrare nella redazione di Macmillan Publishers e, in seguito, di altre case editrici. Molto interessante è il fatto che scrive anche sceneggiature per la radio. Non è un’autrice prolifica e, oltre a Composition for Four Hands, che pubblichiamo con il titolo Nelle loro mani, scrive altri tre romanzi, avvicinandosi, sempre con un pizzico di humor, al noir di Dashiell Hammett e al Whodunit, tipico di Agatha Christie.
Dalla sua nascita la casa editrice pubblica gialli di scrittrici straniere, contemporanee e non. Questa volta il libro riscoperto è stato proprio Who has done it, in Italia tradotto con il titolo Nelle loro mani.
Lo strabiliante giallo, in distribuzione da settembre 2023, tradotto da Maria Grassini, racconta la storia di Nora Manson. Completamente paralizzata e incapace di parlare per lo shock dovuto all’apparente suicidio del figlio, Manson gode delle migliori cure possibili grazie alla sua ricchezza. È circondata da infermiere che l’accudiscono a tempo pieno, da medici, marito, parenti e amici premurosi. Ma lei vive in uno stato di paura mortale, perché sospetta che il figlio, un aspirante scrittore, non si sia tolto la vita, e percepisce di essere sulla lista del killer, solo che non sa quando questi colpirà, e che se desse il minimo segno di vitalità non farebbe che avvicinare la sua fine. E allora come fare per comunicare con qualcuno che le dia fiducia e uscire dalla trappola mortale che la tiene prigioniera?
L’intricata narrazione si apre con la presentazione del personaggio di Nora, un anziana signora facoltosa. Nora è prigioniera del suo corpo, non mangia, né beve, né si può muovere in totale autonomia, e soprattutto non può parlare. A prendersi cura di lei la sua infermiera Milly, il marito Ralph, il suo medico personale, Babcock, la governante Emma, la cuoca Hattie, il massaggiatore Breitman e alcuni amici di famiglia. E’ proprio dalle riflessioni che Nora fa tra sé e sé, che pagina dopo pagina, il lettore non solo conosce il personaggio di Robbie ma riesce a ricostruire l’accaduto e a scoprire il triste destino a cui è andato incontro. Da quel maledetto giorno, in cui era stato rinvenuto il cadavere dell’amatissimo figlio Robbie, tutti avevano preferito che Nora vivesse in un misericordioso torpore, per preservarla da un ulteriore trauma. Nora trascorre le sue giornate immobile nel letto, isolata. L’unico contatto con il mondo esterno gli è offerto dalla finestra della camera che da sul giardinetto della casa.
Alla immobilità fisica e all’assordante silenzio in cui è costretta a vivere la protagonista, si contrappone un turbinio di pensieri rumorosi che non smettono di affollare la sua mente dall’inizio alla fine del libro.
Nora custodisce un grande segreto e costante è la paura di essere la prossima vittima. Ma purtroppo la donna non è in grado di comunicarlo a voce. Quando pensa che la sua fine sia ormai vicina capisce di avere una valida alleata in Milly, l’unica che sembra riuscire a capirla.
Quello che emerge già dalle prime pagine è che si ha a che fare con un intrigante giallo. Hilda Lawrence, attraverso la sua proverbiale penna delicata e profonda, confeziona una storia enigmatica e piena di suspence, che inesorabilmente attrae chi legge. Il lettore, sulla scia della costante domanda del “Chi è stato?”, divora famelicamente ogni pagina, per arrivare a scoprire l’assassino.
Ogni personaggio ha un ruolo specifico, ogni parola e descrizione sono pensate, ogni minimo particolare curato minuziosamente, con lo specifico intento di restituire al pubblico un romanzo appassionante e anticonvenzionale. Non ci sono all’interno del libro scene truculente, eppure in più passaggi il lettore rabbrividisce per la paura e l’atmosfera sinistra che l’autrice è riuscita a ricreare. Ne sa qualcosa il maestro del brivido, Alfred Hitchcock, che si è lasciato ispirare da questo libro per il suo The Long Silence.
Nelle loro mani è un romanzo coinvolgente dal finale inaspettato: tanti gli intrighi e le paure che serpeggiano, ma alla fine il grande mistero che aleggia su casa Manson sarà svelato.
Marco Lugli è uno scrittore e fotografo emiliano che da alcuni anni vive in Salento. “La Madre” (2020) è il terzo romanzo giallo della serie dedicata al commissario Luigi Gelsomino, dopo “Nel Tuo Sangue” (2015) e “Ego Me Absolvo” (2017).
La Madre racconta il parto di una ragazza madre, l’innesco del caso di omicidio che riporta il commissario Luigi Gelsomino al centro dell’azione investigativa dopo mesi di aspettativa. Nella sua Lecce, la città dove ha vissuto, dove si è sposato e dove ha sempre lavorato, alcuni fantasmi sembrano materializzarsi e interferire nell’indagine con i loro messaggi provenienti dal mondo dei morti.
E se il periodo di riposo lo aveva illuso di essersi liberato della zavorra del suo doloroso passato e di averlo preparato a spiccare un salto verso il futuro, è un intreccio di morte e nuova vita a tenerlo ancorato a terra. Un Salento arido eppure generoso di emozioni, fa ancora da sfondo a questa terza indagine di Gelsomino e sospinge il lettore tra Lecce e il Capo di Leuca, in balia dei venti di Scirocco e Tramontana.
Da qualche anno a questa parte ci sono sempre nella società occidentale i soliti film gialli o romanzi thriller con il serial killer che ha una personalità multipla. In questo periodo la correlazione tra omicida seriale e sindrome di personalità multipla nei film e nei romanzi thriller americani è molto sopravvalutata.
Diciamo pure che questi film americani adoprano alcune nozioni della moderna psichiatria per riprendere il topos de “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, scritto da Stevenson. Nei film e nei romanzi gialli americani inoltre viene dato grande spazio ai cosiddetti profilers; è innegabile che in America esistono professionisti, che fanno questo mestiere. Ma spesso nei film viene dato grande spazio al profiler perché è più accattivante un esperto che fa ipotesi sulla personalità del killer piuttosto di un anatomo-patologo, di un medico legale o di un esperto di balistica, che utilizzerebbero termini incomprensibili ai più.
Gli sceneggiatori dei film gialli e dei thriller rischiano sempre di scadere nel già visto, nell’ovvietà, nella banalità. Rischiano di utilizzare luoghi comuni abusati. Questa premessa era doverosa per dire che è difficile trovare una trama originale come nel caso di questo romanzo di Lugli.
Oggi scrivere gialli e thriller è molto più difficile di trent’anni fa: un giallista si trova di fronte ad un bivio: consultare esperti della scientifica e coroner oppure sfoggiare la sua creatività nel modo più spontaneo e meno artefatto possibile, che è quello che fa Lugli. In molti gialli di oggi la documentazione ha nettamente la meglio sull’ispirazione, sulle trovate, sull’inventiva, ma non in questo caso. Spesso in fondo ai libri gialli vengono rivelati tutti i debiti contratti dagli autori, che ringraziano esperti del crimine e poliziotti consultati.
Lugli lavora più che altro in proprio per quello che è possibile. È un ottimo artigiano del giallo. Il suo ė un giallo procedurale ma è più incentrato sul commissario che sul suo team. Gelsomino è un piccolo commissario Maigret, pur con sostanziali differenze, nel senso che accentra su di sé l’attenzione del lettore.
La madre è un romanzo corposo ma mai noioso. Sono 352 pagine dense ma avvincenti. Un genuino sottofondo di ironia pervade il libro e lo rende divertente. L’ambientazione lo aiuta. La scelta del paesaggio pugliese si rivela azzeccata. È una scelta logica ed appropriata. L’autore è anche un promotore della bellezza del Sud. Non vanno discusse in questa sede le ragioni ma c’è tutta una narrativa che descrive un Meridione in modo negativo, diciamo pure col segno meno.
Non è questo il caso. Viene da chiedersi se lo scrittore mette al centro del romanzo il parto di una ragazza madre per porre l’accento sulle culle vuote, sulla denatalità, sul fatto che gli italiani facciano sempre meno figli. Secondo alcuni studiosi delle linee della mano sembra che della gravidanza indesiderata resti una traccia nei palmi, sembra che sia somatizzata.
Per gli psicologi di certo è un trauma psicologico, spesso rimosso. Ma nel romanzo le vicende portano il lettore a riflettere ad ampio raggio sulla procreazione e sulla genitorialità perché il commissario Gelsomino ha perso una figlia e la moglie. Tutti i suoi progetti di padre sono terminati. La perdita di un figlio è il lutto più tremendo per una persona, è il lutto più difficile da elaborare perché è quello meno prevedibile e più contro-natura di tutti.
Gelsomino è un protagonista solitario ed ironico, che suscita nel lettore simpatia ed empatia. Lo scrittore lo ha definito in una intervista un antieroe, è una figura complessa e complicata, un uomo mai pienamente risolto. La vena ludica emiliana, la cifra lunatica nel senso migliore del termine dell’autore hanno fatto sgorgare dalla penna un personaggio chiave ben delineato e allo stesso tempo ricco di sfumature, contraddittorio e contraddetto, in una parola sola sfaccettato, così come indefinibili e polisemiche sono le figure di donne che si avvicendano nel libro.
Il romanzo è ricco di peripezie e capovolgimenti di fronte. Il lettore rimane spiazzato, spesso deve cambiare prospettiva. Lugli adotta uno stile originale, il quale, pur avendo riferimenti, non soffre di epigonismo ed occupa un posto a parte tra I bastardi di Pizzofalcone,I delitti del BarLume e i romanzi di Carlo Lucarelli.
La madre è un romanzo in cui entra in scena prepotentemente il soprannaturale senza però utilizzare immagini, simboli e linguaggio esoterici. Si perdono i punti di riferimento. Si rimane spaesati. E poi lo sfondo del bel Salento è un omaggio alla Puglia.
È un giallo scritto bene, cosa non comune e che non dovrebbe lasciare indifferenti. Lugli è la riprova ennesima che si può fare della pregevole narrativa senza recarsi per forza nelle metropoli ma rimanendo ancorati alla provincia, in città a misura di uomo. E poi chi l’ha detto che nella provincia apparentemente sonnolenta e sorniona non possano accadere crimini efferati? .
Il romanzo di Lugli è un congegno ben pensato: un ottimo incastro di situazioni, circostanze, atmosfere, stati di animo, enigmi, paesaggi: molto di più di quello che si trova in un comune romanzo giallo.
Edizioni Le Assassine, diretta da Tiziana Elsa Prina, è un piccolo gruppo di appassionate/i di crimeche da anni lavora nel mondo editoriale, occupandosi di scelta dei libri, traduzioni, editing e comunicazione. La casa editrice propone la letteratura gialla, declinandola nelle sue svariate sfaccettature – giallo a suspence, deduttivo, hard boiled, psicologico, noir –, negli stili più diversi – fantasiosi, essenziali, sofisticati, semplici, d’antan – e nei contesti geografici più vari – Marocco, Malesia, Canada, ma anche Germania, Francia, solo un piccolo esempio dei Paesi da cui vengono le scrittrici.
Il logo di Edizioni Le Assassine è un volto enigmatico, che rievoca donne un po’ misteriose, immerse in un’atmosfera inquietante.
Pur spaziando dall’enigma della camera chiusa al thriller psicologico, al noir, Edizioni Le Assassine ha “un centro di gravità permanente”: protagoniste della narrazione, oltre che le scrittrici, ci sono nel bene e nel male le donne, talvolta vittime e talaltra vessatrici.
Si è voluto avere, inoltre, uno sguardo più ampio sul mondo e così è stato pensato, di dedicarsi ai romanzi stranieri, mettendosi sulle tracce di penne che abitano i quattro angoli del globo e delle storie che più entusiasmano.
La ricerca non si ferma al presente, la passione per il crime, come una macchina del tempo, ha portato alla scoperta di scrittrici del passato, coraggiose pioniere di questo genere, A volte potranno sembrare distanti perché soggette a certe convenzioni letterarie e sociali, ma non per questo sono meno capaci di creare atmosfere intriganti.
La scelta di trattare la letteratura gialla non solo al femminile ma anche di scrittrici straniere sia viventi, per la collana Oltreconfine, che non per quella Vintage ha catalizzato l’attenzione di molte testate nazionali, trasformando Edizioni Le Assassine in un caso editoriale.
L’urlo dell’innocente per la collana Oltreconfine delle Edizioni Le Assassine
L’ultima uscita sul mercato editoriale de Le Edizioni Assassine è L’urlo dell’innocente di Unity Dow.
Unity Dow, giudice, attivista per i diritti umani, scrittrice e ministro del governo del Botswana è nata in un’area rurale dove i valori tradizionali erano dominanti; ha frequentato Giurisprudenza all’Università del Botwsana e dello Swaziland e poi a Edinburgh in Scozia, suscitando con la sua educazione occidentale un misto di stima, ma anche di sospetto. Impegnata nella difesa dei diritti delle donne, è stata tra le fondatrici di EmagnBasadi, la prima organizzazione femminile del Paese. Si è occupata dei diritti dei gay e ha partecipato anche alla creazione di Aids Action Trust. Prima donna giudice dell’Alta Corte del Botswana, si è impegnata molto per la democratizzazione delle leggi del Paese, per esempio nell’ambito del diritto di famiglia.
Personaggio poliedrico, ha dimostrato il suo valore anche come scrittrice; nei suoi libri spesso emergono i conflitti tra i valori occidentali e quelli tradizionali, ma anche i problemi riguardanti i rapporti tra uomo e donna in un continente afflitto dalla povertà come quello africano. Dow ha contribuito al libro Schicksal Afrika (Destino Africa) dell’ex presidente tedesco Horst Koehler (2009), e ha spesso fatto parte di missioni dell’Onu in Sierra Leone e Ruanda. Oltre al conferimento della Legion d’onore francese, Unity Dow è stata menzionata al Women of the World Summit nel marzo 2011 come una delle 150 donne che “scuotono il mondo”. Dal 2013 è entrata in politica e da allora ha più volte rivestito il ruolo di ministro.
Sinossi
Una ragazzina di dodici anni sparisce nei pressi del suo villaggio, nel Botswana. La polizia locale dice alla madre che è stata presa e uccisa dalle bestie feroci. Cinque anni dopo, la giovane Amantle Bokaa viene inviata in quel villaggio sperduto dell’Africa per assolvere un tirocinio nell’ospedale, e lì accidentalmente trova una scatola dalla misteriosa etichetta. La scatola contiene qualcosa che riporta al caso ormai archiviato e dà luogo alla ricerca della verità, verità che risulterà ben più terribile di quanto Amantle possa immaginare.
La guardava senza malizia: semplicemente la voleva, ne sentiva il bisogno. Certo, nel volerla e nel sentirne il bisogno c’era una qualche forma di affetto, anche se era difficile definirlo tale. E lei era, a conti fatti, disponibile. La guardava ridere con gli amici, gettando la testa all’indietro, mentre forse imitava con le braccia il volo di un uccello. Era intenta a raccontare una storia divertente ai compagni e tutti l’ascoltavano. Probabilmente stava facendo la sciocchina, come talvolta succede ai ragazzini. Qualsiasi cosa stesse facendo, non si era accorta che lui la osservava. Era la seconda volta che con l’auto passava accanto a quel gruppetto di bambini. Non aveva avuto difficoltà a riconoscerla, l’aveva già puntata in precedenza. No, la guardava senza malizia, senza volerle fare del male o causare dolore ai suoi famigliari. Semplicemente la voleva, ne sentiva il bisogno: dopo, il dolore sarebbe stato inevitabile. Sotto ogni aspetto lo si poteva considerare una brava persona
“Questo romanzo pubblicato da una piccola casa editrice australiana che ho trovato alla Fiera di Francoforte non è solo un thriller nato dalla fertile fantasia di uno scrittore, ma una storia che si basa su un caso vero o, forse, sarebbe meglio dire su casi veri di omicidi rituali. L’autrice, che tra l’altro è una donna nota nel continente africano per le sue battaglie per i diritti civili, ci porta infatti in un mondo sconosciuto a molti occidentali e attraverso la narrazione riesce non solo a creare quella suspense che si cerca in questo genere di romanzi, ma a farci capire aspetti di una società così lontana dalla nostra. Un libro, insomma, che incuriosisce, ma che strappa anche il cuore per quel che ci mostra” – ha dichiarato l’editrice Tiziana Elsa Prina
Edizioni Le Assassine: Il mistero della vetreria per la collana vintage
Edizioni Le Assassine arricchisce la sua collana vintage con Il mistero della vetreria di Margaret Armstrong, scritto nel 1939 con il titolo Murder in Stained Glass.
Margaret Armstrong nasce nel 1867 a New York da una famiglia socialmente molto in vista. Per gran parte della sua vita è illustratrice molto apprezzata di copertine in stile Art Nouveau e solo in età avanzata si dedica alla scrittura, diventando un’esponente tardiva della Golden Age. Come il padre, grande conoscitore dell’arte vetraria, e una sorella, Margaret si distingue per le sue doti artistiche e in tarda età abbandona l’attività di illustratrice per dedicarsi alla scrittura, pubblicando due biografie e tre romanzi gialli molto apprezzati dalla critica; tra i suoi lettori si annovera anche Agatha Christie.
Sinossi
La signorina Trumbull, agiata e frizzante newyorkese di mezza età, decide di lasciare la sua comoda dimora per andare a trovare la vecchia amica Charlotte. Non può sottrarsi all’invito, che prevede però già noioso, sia perché preferisce la vita effervescente di New York alla tranquillità della campagna, sia perché considera la donna un po’ triste e cupa. Tuttavia le sue previsioni saranno del tutto scombinate quando nella fornace della vetreria di Frederick Ullathorne, noto creatore di vetrate artistiche, verranno ritrovati resti umani. Grazie alla sua spiccata curiosità e a un’innata capacità investigativa, la signorina Trumbull si troverà così coinvolta nell’indagine ̶ che si rivela alquanto complicata ̶ per scoprire chi era la vittima e chi l’assassino; la guida la certezza di essere più abile del detective incaricato del caso, e di riuscire a “vedere ciò che altri non hanno visto”. Non sa che la sua intraprendenza potrebbe costarle cara.
Immagino che il tempo, bello o brutto che sia, abbia spesso fatto la differenza nella vita delle persone. È un’ovvietà, senza dubbio: tuttavia quando ripenso alla parte che ho avuto nel caso Ullathorne, mi rendo conto che se il sole non fosse stato così splendente in quel particolare lunedì mattina dello scorso marzo, niente di quello che è avvenuto a Bassett’s Bridge sarebbe accaduto esattamente nello stesso modo, e anzi una parte non sarebbe successa affatto. Perché io non sarei stata là. Era un po’ come quella filastrocca che diceva: “E venne il gatto che si mangiò il topo, che al mercato eccetera eccetera”. il tempo non si fosse messo al bello, non sarei andata a far visita a Charlotte Blair
Haycraft, uno dei maggiori studiosi del genere giallo, considerò Margaret Armstrong tra le migliori scrittrici che ricorsero nei loro romanzi alla tecnica dell’HIBK (Had I But Know ovvero “se lo avessi saputo”), di cui un’altra autrice americana, Mary Roberts Rinehat, fu l’iniziatrice
Ella utilizza questa tecnica, soprattutto nella parte iniziale e in quella finale. L’elemento caratterizzante era costituito dal narratore, di solito una donna, non più giovane e benestante, che si lamentava per le cose che avrebbe potuto fare per prevenire i terribili crimini esposti nella storia, se solo avesse avuto l’acutezza di prevederli.
Mentre per alcune detective amatoriali HIBK l’accusa è quella di mancare di razionalità e dunque di presentare un’investigatrice che resta incapace di risolvere il caso e che deve alla fine rivolgersi a un uomo per risolverlo, la nostra signorina Trumbull sa investigare con vigore e intelligenza e giunge alla soluzione più logica, se solo l’autrice non intervenisse con un paio di mosse che portano a un esito inatteso della vicenda.
Insomma, ci viene presentata una figura di donna agiata, determinata e single e che a tratti ci meraviglia per la sua libertà di pensiero e di azione: in nuce ha tutte le caratteristiche della donna emancipata che sa bastare a se stessa, pur non rinunciando a un certo lato romantico soprattutto nei confronti di due giovani personaggi della storia che faticano a coronare il loro sogno d’amore: in quel caso si presenterà non più come una novella Sherlock Holmes ma come la Fata Turchina.
Un altro elemento interessante del libro e della tecnica narrativa a cui si faceva riferimento è la narrazione in prima persona, che nel giallo della Armstrong riesce a dare un tono leggero e anche divertente all’intera vicenda, cosa non facile visti i tranelli e le difficoltà che pone l’utilizzo della prima persona al posto della terza. Immaginiamo infatti un personaggio come Miss Marple che narra in prima persona invece che in terza come perderebbe molto della sua attrattiva, anche se in fondo entrambe le investigatrici hanno almeno una somiglianza: la capacità di trarre informazioni dalle chiacchiere degli altri.
Abbastanza curioso, poi, il fatto che uno dei personaggi più immorali e spiacevoli del romanzo abbia la stessa professione del padre della Armstrong. Che in qualche modo rispecchiasse una relazione difficile padre-figlia?
Anche Charlotte, l’amica dell’investigatrice improvvisata, ricorda vagamente la scrittrice: le accomuna la passione per la natura, che portò l’autrice a viaggiare per il West, raccogliendo nozioni sui fiori selvatici che poi mise in un libro.
Domina comunque sull’intera storia il personaggio della signorina Trumbull, che inizialmente indaga per curiosità, ma poi viene spinta dalla volontà di anticipare le mosse della polizia per soddisfare un suo personale bisogno, quello di arrivare a un finale del caso che sia positivo per le persone che le sono care, più che per un senso di giustizia. Non manca infatti un lato romantico della donna che influenza talvolta le sue teorie, rendendole un po’ fantasiose, anche se poi lei sa prendere in mano le situazioni con molto senso pratico.
Pur trovandoci di fronte a un delitto, non proviamo angoscia, ma curiosità per il dipanarsi della vicenda, e il modo leggero in cui la donna tratteggia personaggi e situazioni spesso ci strappa un sorriso.
Dal commissario Ricciardi all’ispettore Lojacono. Dai ricordi di “Ti racconto il 10 Maggio” a pochi giorni dal trentennale del primo scudetto del Napoli al grande successo de “Il resto della settimana” per ripercorrere tutta la sua serie ‘sportiva’. Sarà una chiacchierata a tutto tondo quella con Maurizio De Giovanni che culminerà nella presentazione del suo ultimo successo editoriale annunciato: I Guardiani(Rizzoli Editore), romanzo che profuma di successo con protagonista una squadra di investigatori guidata da un professore di antropologia e dal suo assistente, che, da pochi giorni nelle librerie, ha inaugurato un nuovo filone di romanzo tra il mistery e il fantasy per raccontare anche la parte più sotterranea ed esoterica della città di Napoli.
L’angolo del gusto con la polenta alla sorrentina e De Giovanni
Come in ogni ‘match’ anche dopo l’incontro con Maurizio De Giovanni ci sarà un angolo del gusto tematico che questa volta, come tributo al successo pacifico e colorato della Giornata dell’orgoglio terrone di Pontida, sarà dedicato ad un esperimento di ‘meridionalizzazione della polenta’ ideato da “Amico Bio Sorriso Integrale” il primo ristorante biologico napoletano nato a Piazza Bellini, nel cuore del centro storico, oltre vent’anni fa. L’idea del food manager, Bruno Zarzaca, ricorda lo storico siparietto di “90esimo minuto” tra i giornalisti Luigi Necco e Gianni Vasino sull’asse Napoli-Milano. In questo caso la polenta finirà ‘sotto’ la mozzarella e il pomodoro con una ricetta innovativa che si ispira a quella degli gnocchi alla sorrentina.
La rassegna Match Point: da Aldo Masullo a Gino Rivieccio
Dalla scienza alla cultura, dal cinema al teatro, dalla musica allo sport. La Campania eccellente da gennaio è ‘scesa in campo” al “Clubino”, il circolo culturale fondato al Vomero (in via Luca Giordano 73) da Piera Salerno, per un ciclo di incontri con il pubblico intitolato “Match Point”. Maestri e talenti ‘made in Campania’, che danno lustro all’intero Paese nel rappresentare la cultura, l’arte o la creatività campana, si radunano al “Clubino” ogni ultimo giovedì del mese per dare vita ad una rassegna di incontri-confronti con il pubblico coordinata dalla scrittrice Bernardina Moriconi e condotta dal giornalista Roberto Conte.
È, infatti, decisamente originale la formula della rassegna nel corso della quale i confronti vedono come protagonista soprattutto il pubblico e sono strutturati come un match virtuale di tennis tra il protagonista ed i partecipanti alle serate di “Match Point” che ‘sfidano’ l’ospite con domande e curiosità. Il protagonista del confronto viene, poi, chiamato a fine serata a servire il proprio match point ponendosi con un’idea progettuale per la Campania come stimolo attivo e propositivo per i giovani, la società civile e le istituzioni pubbliche.
La camera azzurra (Adelphi, 2003) è un romanzo di Georges Simenon e viene pubblicato per la prima volta nel 1964; esso va collocato nel genere poliziesco per la presenza di un giudice, di un investigatore e di un’atmosfera che ha non poco a che fare con il giallo ma che da esso si diparte in fretta. O, per meglio dire, chi legge quest’opera avrà una sensazione diversa, in cui languore e disgusto sedimentano e stimolano la lettura che non è quello che si prova leggendo un giallo di Agata Christie.
L’autore della Camera azzurra è ormai mitico: si tratta dello scrittore belga Georges Simenon, ideatore delle vicende del celebre commissario Maigret. Simenon è uno scrittore strabordante e ricco di talento, quasi convulso. Il fenomeno Simenon vuole che egli abbia scritto un romanzo nell’arco di una settimana, così come è nota la storia della sua irrefrenabile e mai esausta creatività. Improbabile fornire infatti una bibliografia della sua opera completa: si tratta di uno scrittore che vive per scrivere mai scrive per vivere:
“Sono passato poco a poco da 12 giorni ad 11, a 10, a 9. Ma ecco che per la prima volta sono giunto alla cifra 7, che è diventato come lo stampo definitivo nel quale saranno colati ormai i miei romanzi” (G. Simenon).
Tony Falcone, protagonista del romanzo, vive a Saint-Justin con la sua famiglia, insieme alla moglie Gisèle dalla quale ha avuto una bimba, Marianne. La loro è una vita semplice e genuina, fatta di abitudini, certezze e molti sacrifici. Basata sul reciproco rispetto e su di un amore “razionalmente” controllato, così prosegue la vita dei coniugi, fino ad un momento: quello in cui Andrée entra nella sua vita. Lei alta e fredda così che a Tony pare una “statua”, una donna senza emozioni che non può dare amore, almeno questo è ciò che Tony crede. Quella donna diventerà l’amante disinibita, cruda ossessione, la sua rovina, pone fine alla calma – che vige nello stagno noioso di un piccolo borghese – impettita dell’esistenza. Ma la protagonista eccentrica della storia, nucleo dell’intreccio che ritorna a più riprese non è una donna, bensì lei: la camera azzurra. Come fosse animata da un spirito ribelle, accompagna Tony fino alle ultime pagine.
A Tony bambino il colore azzurro sembra un miracolo, come può una polverina cromata di cielo candeggiare lenzuola e vestiti? Allo stesso modo, si può costruire un parallelo tra questo non cedibile candore, la pulizia che a Tony ricorda l’amore materno, con la relazione con la devota moglie Gisèle? Se non fosse per quell’azzurro mozzafiato della stanza dell’Hotel de Voyageurs, che lo ha tentato inconsciamente, non sarebbe colpevole, no, non lo sarebbe. Strano, è proprio quello che Andrée si lascia scappare durante il proprio interrogatorio al giudice: “Le donne come lei non sono capaci di un vero amore”. Così, secondo Andrée, Giséle Falcone sarebbe un corpo svuotato dell’istinto, una moglie affidabile ma non una donna innamorata. E’ curioso perciò constatare che l’immagine che Tony aveva anteriormente al primo vistoso amplesso con Andrée, mai svelata all’amante, sia la stessa che l’amante di Falcone ha della sua rivale. Inversione di ruoli o gioco di specularità? Una cosa è certa: le donne del libro sono virili nell’animo, pusillanime è invece il ritratto di Falcone. C’è un momento, uno spartiacque nella vicenda, raccontata tramite la serie di interrogatori ai quali viene sottoposto il protagonista, quello dell’invio delle lettere spedite da Andrée. Lì Tony si sveglia, e comincia l’incubo giudiziario. E’ colpevole, lui stesso lo dirà. Ma di cosa? Di non essere stato sincero con se stesso? O c’è dell’altro? Si sovrappone il passato al presente, la bellezza al turpe inferno delle domande.
Simenon mostra in una parola, in un suono o in un dettaglio, nell’indubbia paura che si può scivolare nel baratro e racconta proprio questo: chi sopravvive nell’infelicità è morto da tempo. Solo ad un certo punto del libro l’autore ci concede di capire, ma non tutto. Il protagonista, insieme alla sua amante Andrée, è artefice di una vicenda torbida e piena di ambiguità. Non sono solo amanti, ma accusati di un ignominioso crimine: entrambi sono stati arrestati con l’accusa di aver commesso l’omicidio dei rispettivi coniugi Nicolas, ex marito, inutile e malato, e la placida Gisèle.
Con La camera azzurra lo scrittore belga è riuscito a tessere una trama autentica che trascina giù con efficacia più del vero: nella quotidianità siamo tutti Tony e abbiamo paura di scegliere. A partire dalle prime righe della prima pagina Simenon non può non colpire il lettore: che sia nel bene piuttosto che nel male, basta poco per capirlo. Quelle parole sono scolpite, affisse come un annuncio di festa che poi si capovolga in un necrologio. La sua nettezza è lampante, plastica la luce come le ombre. Si afferra ogni virgola con gli occhi, come battuta di una piccola inquadratura cinematografica, o l’inizio di una sceneggiatura.
La camera azzurra non solo è un romanzo scritto come se fosse un sogno, senza sbavature o incrinature, è una casa in cui ogni oggetto si muova come animato e, al ritorno del padrone di casa, si riponga autonomamente al posto di assegnazione; mestoli nella credenza, la frutta sul tavolo, e così via. Ogni emozione in Simenon è al suo posto, questo libro riesce ad aprire il cuore senza chiudere la mente, la spalanca . Chi entra a leggere, non potrà uscire se non cambiato da questa storia di passione e autodistruzione. Il libro stesso risulta costruito come un interrogatorio vero e proprio che scandaglia fino alle viscere oceaniche del nulla, per poi ammettere che la verità non è mai una sola, è solo che un’omissione è più potente di una bugia. E che cos’è, la verità, se non forse solo un’impressione?