‘Storia di due amici e dei Dik Dik’ di Pietruccio Montalbetti. Un omaggio a Lucio Battisti

Un racconto autobiografico che riporta alla luce gli esordi, l’amicizia profonda con Lucio Battisti e l’epopea dei Dik Dik: la storia di una generazione, scritta da chi l’ha vissuta. Bologna, 6 giugno 2025 – Cosa succede quando a scrivere è chi ha vissuto in prima persona l’inizio di un’epoca? Succede che il racconto si fa vivido, personale, nostalgico e appassionato. È quello che accade in “Storia di due amici e dei Dik Dik”, il nuovo libro di Pietruccio Montalbetti edito da Minerva (con una prefazione di Marco Buticchi), che è al tempo stesso un’autobiografia, un omaggio all’amico Lucio Battisti, e un percorso musicale e umano attraverso i decenni più travolgenti della musica italiana.

amici

Con uno stile diretto e sincero, Pietruccio – fondatore e storico chitarrista dei Dik Dik – rievoca il tempo delle radio pirata, delle prime chitarre sognate e sudate, delle notti passate a provare nelle sale parrocchiali e dei lunghi viaggi in Cinquecento, con strumenti caricati fino al soffitto, pur di suonare in qualche balera di provincia.

Ma soprattutto, racconta Lucio. Non il mito, non il personaggio riservato che poi tutti avrebbero conosciuto, ma “l’uomo”, l’amico. “Quando sento la parola ‘amicizia’, mi viene in mente solo un nome: Lucio”, scrive l’autore. L’incontro con Battisti, avvenuto quasi per caso in uno studio di registrazione, dà il via a un rapporto profondo e duraturo, fatto di stima reciproca e condivisione. Un rapporto che precede la fama, e che proprio per questo è autentico, schietto, commovente.

“Lui suonava e cantava cose sue, alcune acerbe, altre sorprendenti. Mi chiese un parere e io, forse con un pizzico di benevolenza, gli dissi che erano belle. Ma una mi colpì davvero. Decisi di inciderla nel nostro primo disco. Era Se rimani con me. E fu il primo brano a portare ufficialmente la firma di Lucio Battisti”. 

Questa storia è anche quella di una band che ha fatto la storia: i Dik Dik. Dagli inizi sotto il nome “I Dreamers”alle prime audizioni alla Ricordi, dalle prove con l’amplificatore nel pianerottolo fino ai successi in classifica, il libro attraversa la parabola di un gruppo che ha segnato la colonna sonora di una generazione. “Sognando la California”, “Il vento”, “L’isola di Wight”canzoni diventate inni, specchi fedeli di un’epoca fatta di ribellione, ideali, amori e viaggi interiori.

“I Dik Dik – scrive Marco Buticchi nella prefazione – hanno accompagnato la mia generazione: ci hanno fatto crescere, innamorare, contestare, sognare. E la meraviglia è che quel vento soffia ancora. Quelle canzoni sono leve invisibili, come direbbe Archimede, capaci di sollevare mondi interiori”. 

Montalbetti racconta tutto con lucidità e ironia: i provini andati male, i produttori improbabili, le notti senza un soldo e la voglia incrollabile di “fare un disco”. Le pagine scorrono tra aneddoti gustosi, incontri fortuiti, piccoli grandi miracoli della vita. Come la madre di Pietruccio, che per sostenere il figlio durante le prove diventa una presenza costante nella sala parrocchiale. O come don Angelo, il viceparroco che firma una lettera di raccomandazione alla Ricordi pur di aiutarli a ottenere un provino. Una Milano popolare, viva, solidale, fa da sfondo a queste storie: una città in cui tutto sembrava possibile.

“Storia di due amici e dei Dik Dik” è un libro per nostalgici, una dichiarazione d’amore alla musica, all’amicizia, alla giovinezza vissuta intensamente. E anche un promemoria che, dietro ogni grande canzone, ogni mito, ci sono incontri fortuiti, passioni feroci, prove ed errori, e soprattutto persone.

“Lucio era timido, profondo, ossessionato dalla musica – ricorda Montalbetti –. In quella prima giornata passata insieme mi raccontò di suo nonno, che gli aveva costruito il primo flauto con le sue mani. Poi si addormentò, come fanno i bambini piccoli. Era un’anima bella. Non potevi non volergli bene”. 

Un libro che emoziona, diverte, commuove. E che lascia in chi legge il desiderio di tornare a quei giorni in cui tutto era da costruire. Pietruccio Montalbetti ci consegna non solo un pezzo di storia della musica italiana, ma anche – e soprattutto – un pezzo della sua vita. E, per estensione, della nostra.

L’autore

Pietruccio Montalbetti Storico chitarrista dei Dik Dik, il gruppo musicale fondato nel 1965 e mai tramontato nel cuore degli italiani, è nato a Milano nel 1941.Tra i loro più grandi successi: Se rimani con meSognando la CaliforniaIo mi fermo qui, Senza luce, Il vento, Il primo giorno di primavera, L’isola di Wight, Come passa il tempo e molte altre. Con la band ha all’attivo ben quattro partecipazioni al Festival di Sanremo, più una come solista. Ha collaborato con artisti del calibro di Lucio Battisti, Mogol, Rita Pavone, Ricky Gianco, Caterina Caselli, Donatello, Giorgio Faletti, i Camaleonti e Maurizio Vandelli. Appassionato da sempre di viaggi, è stato in Colombia, a Cuba, in Messico, Belize,

Guatemala, India, Nepal, Thailandia, Birmania, Ecuador, alle Galapagos, in Perù, Venezuela, nella Guyana, in Africa e nel Sahara. E’ autore dei libri: Sognando la California, scalando il Kilimangiaro (2011), Io e Lucio Battisti (2013), Settanta a settemilaUna sfida senza limiti di età (2014), I ragazzi della via Stendhal (2017), Il mistero della bicicletta abbandonata (2021).

 

Mina: L’urlo della Tigre

Un’artista. Anzi, una grande artista. Soubrette, attrice, presentatrice ma soprattutto cantante. Mina è stata il personaggio chiave del panorama televisivo e musicale italiano degli anni ’60 e ’70. Dagli esordi come urlatrice con lo pseudonimo di Baby Gate nel lontano 1960 fino al ritiro volontario nel 1978, Anna Maria Mazzini (questo il suo vero nome) è stata la punta di diamante della canzone italiana. Una voce e che voce! Potente, limpida, sensuale, versatile, dall’incredibile estensione (basta ascoltare il brano Brava scritto su misura per lei proprio per evidenziarne il fantastico registro vocale), che non accenna a mutare col passar del tempo e capace di confrontarsi, negli anni, con i repertori più disparati (dalla musica sacra ai Beatles passando per Renato Zero, Battisti, gli splendidi duetti con Celentano, la canzone napoletana fino ad arrivare ai recentissimi canti natalizi) uscendone, sempre e comunque, vincente. Non è facile trovare, in una produzione sterminata che si snoda in oltre cinquant’anni di carriera, un album simbolo o capolavoro. Un personaggio di tale statura ha lasciato tracce del suo genio e del suo talento in ogni singola opera perciò ho deciso di scegliere due lavori degli anni 70 che riescono a mettere in luce tutta la sua abilità interpretativa sia di brani inediti che di brani incisi da altri artisti.

Mina- anni ’70

Frutta e Verdura (1973)

Frutta e Verdura, pubblicato nell’ottobre del 1973, è senza dubbio uno dei migliori album di Mina in assoluto; splendidamente arrangiato, magistralmente suonato e prodotto.

«Frutta e verdura è un album straordinario» (Placido Domingo– Rai2-“Unici”-7 novembre 2013)

Frutta E Verdura- PDU-1973

In quest’album la Tigre Di Cremona si confronta con pezzi di autori di gran classe quali Califano, Shel Shapiro, Pino Donaggio, Dario Baldan Bembo e Antonio Carlos Jobim. Si passa dall’ironica e cadenzata Fa Qualcosa alla splendida Non Tornare Più, dalla tormentata Devo Tornare A Casa Mia alla tenerissima e poetica La Vigilia Di Natale fino alla straordinaria rivisitazione di un classico della bossa nova Aguas De Marco che si trasforma nella fantastica La Pioggia Di Marzo. Un disco molto intimo e sentito fatto di amori tormentati, tradimenti, sensazioni profonde e felicità a momenti. Suoni prettamente acustici ed un’orchestrazione leggera che permette a Mina di “indossare” al meglio le canzoni evidenziando tutte le sue doti di interprete. Uscito inizialmente in coppia con Amanti Di Valore  e poi distribuito singolarmente, Frutta E Verdura arriva a vendere un milione di copie risultando, così uno dei maggiori successi della cantante.

Minacantalucio (1975)

Minacantalucio-PDU-1975

Che Lucio Battisti sia stato l’alter ego maschile di Mina ci sono pochi dubbi. Il feeling artistico/musicale tra i due artisti è sembrato più che evidente in numerose occasioni. La stima reciproca è testimoniata dal fatto che Battisti ha “regalato” a Mina due delle canzoni più belle che abbia mai composto: Insieme (1970) e Amor Mio (1971); dal canto suo Mina ha infarcito i suoi dischi di rivisitazioni del canone battistiano fino a dedicare, nel 1975, un intero album al musicista di Poggio Bustone. Minacantalucio, uscito due anni dopo Frutta E Verdura, si avvale degli arrangiamenti del premio Oscar Gabriel Yared che riescono nell’impresa di trasformare e riadattare brani già famosissimi nella versione originale. Titoli quali I Giardini Di Marzo, 7 e 40, Dieci Ragazzi, L’Aquila, Emozioni, Il Nostro Caro Angelo, 29 Settembre, Innocenti Evasioni e Fiori Rosa Fiori Di Pesco diventano improvvisamente canzoni di Mina. Sembrano essere state composte appositamente per lei, per la sua voce, per il suo stile cosi dinamico ed eclettico. Cambiano pelle, cambiano forma, assumono nuovi significati e nuovo fascino grazie allo splendido lavoro dell’artista cremonese. Non è un semplice disco di cover fatto in un momento di scarsa ispirazione ma un preciso progetto artistico di altissima qualità musicale e di enorme spessore tecnico. Un omaggio al più grande cantante italiano di tutti i tempi dalla più grande cantante italiana di tutti i tempi. Non serve aggiungere altro.

Mina- un’immagine recente

I successi, i drammi personali, le discese ardite e le risalite, attraversano tutta la carriera di Mina e si riflettono inevitabilmente nei suoi lavori che assumono così una dimensione umana, vicina, familiare. Anche ora che è lontana, invisibile, inavvicinabile, Mina c’è e riesce ogni volta a stupire noi ascoltatori e amanti della musica, grazie alla sua innata capacità di trasformarsi musicalmente e di risultare totalmente nuova anche dopo mezzo secolo di carriera. E’ proprio questo suo essere un “camaleonte canoro” (potrebbe essere un ottimo titolo per un suo album), unitamente ad una voce “eterna”, a renderla una stella di prima grandezza nel firmamento artistico internazionale (al pari di Aretha Franklin, Celine Dion, Barbra Streisand, Liza Minelli) capace di trascendere confini geografici e generazionali, musicali e temporali.

“Una donna per amico”: L’amore ai tempi di Battisti

Una Donna Per Amico

A volte la parola pop assume contorni molto negativi. Diminutivo della parola “popular”, questo termine, specie in musica, definisce le canzonette banali, scontate e di facile consumo. Ma attenzione, scrivere un canzone pop di successo non è affatto facile. Lo sa bene il duo Battisti-Mogol che, per il numero di hit scritte in Italia è paragonabile al duo Lennon-McCartney, nel loro tredicesimo album, Una Donna Per Amico, riescono a sfornare canzoni di enorme effetto e contemporaneamente di gran classe. Mogol leviga le parole, le pesa, le misura, le sceglie con estrema cura per adattarle alle melodie estremamente raffinate che Lucio Battisti in quel momento propone. Siamo alla fine degli anni ’70, nel 1978 per l’esattezza, e le classifiche sono dominate dalla rabbia del punk e dall’effervescenza della disco-music. Battisti, sempre un passo avanti musicalmente parlando e non solo in Italia (uno dei primi esempi di musica disco è al celeberrima Ancora tu del 1976 mentre Stayn’ Alive dei Bee Gees è del 1977), fiuta l’aria che tira e butta giù note che, per l’Italia dell’epoca, sono un balzo nel futuro. Per sottolineare l’intenzione di “internazionalizzare” la propria musica, il buon Lucio vola a Londra per avvalersi di uno studio all’avanguardia, di strumentisti prestigiosi e dell’accurata produzione di Geoff Westley. Il risultato è a dir poco spettacolare. Otto canzoni incentrate sul rapporto uomo/donna che rappresentano un distillato dell’amore secondo Battisti.

“Quello che cerco è una specie di incrocio tra disco-music e melodia, che è molto difficile perché la melodia fa un po’ a pugni con il ritmo ribattuto. Quando ho fatto Ancora tu in Italia era dato come un disco perdente. Invece il risultato non è stato un brano disco, ma una canzone che aveva un certo ritmo. E Una Donna Per Amico non è neanche tanto disco-music, ma un pezzo con un ritmo martellante, imperativo” (Lucio BattistiRadio Svizzera Italiana).

Il lato A del disco è, a dir poco, incredibile. Sfido chiunque a non riconoscere di primo acchitto i seguenti brani: Prendila Così, Donna Selvaggia Donna, Aver Paura Di Innamorarsi Troppo, Perché No. Il lato B si apre esattamente come si è chiuso il lato A con la trascinante e arcinota Nessun Dolore e la magnifica title-track che, ovviamente, non ha bisogno di presentazioni. I brani più deboli sono proprio gli ultimi due: Maledetto Gatto e Al cinema che pur non avendo avuto il successo strepitoso dei precedenti, presentano interessanti innovazioni dal punto di vista melodico e musicale (come l’uso del synth e del vocoder). Mentre le note di Battisti toccano il cuore le parole di Mogol sfiorano l’anima. I testi delle canzoni contenute in quest’album sono diventate veri e propri “modi di dire”, “tormentoni”, patrimonio comune della lingua italiana che tutt’ora vengono spesso utilizzati per definire l’intricato caleidoscopio di emozioni che scaturiscono dall’incontro/scontro tra l’universo maschile e quello femminile. Il plauso di pubblico e critica fu immediato ed unanime.

L’album volò al primo posto in classifica rimanendoci per quattordici settimane consecutive. Le copie vendute furono quasi un milione. La popolarità di Una Donna Per Amico non accenna a diminuire. Negli anni numerosi artisti ne hanno omaggiato la bellezza riproponendo versioni, azzeccate o meno, dei brani in esso contenuti (Mina e Giorgia si sono cimentate con Nessun Dolore, Oxa, Vallesi, Delta V con Prendila Così). Si può affermare che l’esperimento battistiano di spingere “oltre” il cantautorato italiano si sia pienamente compiuto grazie alla riuscita di quest’opera. Una vena di malinconia, assolutamente retroattiva, pervade (si tratta di un giudizio estremamente personale) i microsolchi del disco. Una Donna Per Amico rappresenta il canto del cigno del duo Mogol-Battisti. Successivamente pubblicheranno un altro dignitosissimo album, Una Giornata Uggiosa, che pur contendo ottimi brani non ha certo l’appeal dei lavori fino ad allora pubblicati.; è solo una questione di tempo. Ormai sempre più distanti, umanamente e professionalmente, i due scioglieranno definitivamente il loro sodalizio nel 1980. Battisti si ritirerà in un isolamento volontario che frutterà dischi molto interrogativi ed ermetici, lontanissimi dal grande successo commerciale. Mogol diventerà il paroliere più richiesto d’Italia continuando a scrivere successi per artisti quali Cocciante, Celentano e Gianni Bella. Tuttavia entrambi non ripeteranno l’exploit eccezionale del periodo d’oro che li rese praticamente delle leggende viventi. L’apoteosi rimarrà questo mirabile album che sintetizza un percorso comune lungo quindici anni, aumentando il rimpianto per ciò che ancora poteva essere e purtroppo non è stato.

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