Francesco Orlando e la teoria freudiana

Nato in una famiglia borghese, Francesco Orlando (Palermo, 2 luglio 1934 – Pisa, 22 giugno 2010) è il secondogenito di Camillo, avvocato e nipote del presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando, e di Francesca Perroni Cervello.

La sua infanzia, pur serena, è segnata dal clima della guerra. Tornato a Palermo nel 1943, dopo lo sbarco degli alleati, si iscrive al ginnasio dell’istituto Gonzaga, gestito dai gesuiti, per poi passare alla scuola pubblica, nel liceo Garibaldi, ambiente più adatto al suo spirito critico.

In questi primi anni sviluppa un forte amore per la musica, la letteratura, il teatro. Resta affascinato soprattutto dalla figura di Wagner nel quale Orlando non ha mai cessato di identificarsi  profondamente per alcuni aspetti della sua figura di innovatore.

Per quanto riguarda le sue prime letture sono state tra le più disparate che risentono dell’ambiente palermitano. La prima opera che il critico pubblica è una libera traduzione in versi di Hernani di Victor Hugo (1948), nel 1954 è la volta della raccolta di poesie La Foresta è tutta del sole. Nel 1951, dopo aver conseguito la maturità liceale, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza. Nel 1955, spinto dalla propria passione e vocazione, passa alla facoltà di lettere. Intanto grazie alla mediazione del barone Pietro Sgàdari di Lo Monaco conosce Giuseppe Tomasi di Lampedusa di cui, sotto dettatura dell’autore, tra il 1956 e il 1957 batte a macchina una prima versione del Gattopardo. Questo incontro si rivelerà fondamentale nella vita del giovane Orlando e lo stesso Lampedusa prende a cuore la formazione culturale del ragazzo. Lo scrittore impartisce al suo allievo lezioni di lingua inglese e gli fa conoscere figure importanti della cultura palermitana dell’epoca, come la principessa Alessandra Wolff-Stomersee, moglie di Lampedusa, che era stata allieva diretta di Sigmund Freud e che lo inizia alla conoscenza della psicoanalisi, o come il poeta Lucio Piccolo.

Nel 1959-60 Orlando vince d’un concorso di perfezionamento presso la Scuola normale superiore di Pisa, che gli consente di soggiornare a Parigi, città in cui lavora ad una tesi che darà un notevole contributo sul teatro barocco francese, Rotrou dalla tragicommedia alla tragedia (1963). A partire dall’anno accademico 1962-63, gli viene parallelamente assegnato quello di storia della letteratura francese che tiene per otto anni.

Durante la rivoluzione del 1968, Orlando, da giovane professore, appoggia gli studenti ma nello stesso tempo difende fortemente anche l’istituzione universitaria. Non sono anni facili per il critico il quale però sviluppa in questo periodo una forte coscienza politica in un ambiente quanto mai diverso da quello di Palermo, la sua fama di studioso originale comincia a diffondersi tra i normalisti e le sue lezioni caratterizzate dalle nuove tendenze della critica europea diventano un punto di riferimento per gli studenti, in un clima culturale ancora influenzato dal tardo crocianesimo. Le opere di questi anni infatti testimoniano una profonda inquietudine metodologica attraverso un tentativo strutturalista di rinnovamento della strumentazione analitica (in particolare Erich Auerbach e Jean Rousset).

Nel 1970 Orlando si trasferisce presso la facoltà di lettere dell’Università di Napoli, dove insegnerà cinque anni. Nel 1975 è a Venezia, città dove decide di stabilirsi.

L’aspetto più interessante della critica di Francesco Orlando è il suo metodo rigoroso che si è andato man mano precisando: un’analisi testuale nell’ambito di una particolare teoria del fenomeno letterario. Al centro di tale riflessione critica si trova l’applicazione alla letteratura delle scoperte di Freud attuata in senso non biografico né psicologico, bensì retorico e linguistico; rifiutando il contenutismo psicoanalitico più banale  e scontato che riduce il modello freudiano a modello vuoto a priori di contenuti determinati.

Orlando combina strumenti di derivazione freudiana con concetti linguistici e semiotici  per comprendere al meglio il testo letterario, a tal proposito sono illuminanti e utili le considerazione del critico presenti in Lettura freudiana della «Phèdre», Per una teoria freudiana della letteratura (1973), Lettura freudiana del «Misanthrope» (1979), e Illuminismo e retorica freudiana (1982).

Poniamo l’attenzione su Per una teoria freudiana della letteratura, la quale, a distanza di anni risulta ancora innovativa e attuale, nonostante l’avvicendarsi delle mode e la magmaticità della contemporaneità. Una volta letto questo saggio ci rende conto di come le proposte di Orlando abbiano profondamente inflenzato la cultura italiana.
L’operazione teorica di Orlando è giocata sullo stretto rapporto, intuito da Freud soprattutto negli scritti sul motto di spirito e sull’interpretazione dei sogni, tra ciò che il critico chiama tasso di figuralità  e discorso ideologico tendenzioso. Nella grande letteratura, “materia e forma uniscono il loro ritorno del represso”, nel senso che la figuralità dispiegata è strettamente proporzionale alla tendenziosità o in certi casi all’eversività del messaggio.

Orlando vede il discorso letterario come una formazione di compromesso tra forze concorrenti e inconciliate che si palesa nel concedere spazio alla forza che viene combattuta o rifiutata: è appunto questo, secondo Orlando, che distingue la letteratura dal discorso ideologico, sebbene si sia avvicinato anche all’ortodossia formalista. Per il critico conta la dinamica testuale interna al linguaggio, del tutto indipendente da una qualsiasi genesi biografica che rinvii alla persona dell’autore: e per descriverla egli si avvale delle tecniche fornite dalla linguistica postsaussuriana o dalla neoretorica, privilegiando della tradizione psicoanalitica, proprio il saggio sul “Motto di spirito”.

A proposito di Freud, appare chiarificatrice un’osservazione di Mario Lavagetto nel suo Freud. La letteratura e altro;  secondo lui infatti la letteratura è una sorta di divinità enigmatica, come lo sembra essere anche per Orlando: di volta in volta trappola da evitare, un rischio da correre o una preziosa alleata, una mirabile precorritrice e Freud, armato della sua scienza, si è spinto in territori che, prima di lui, erano stati visitati solo dagli scrittori con una serie di spettacolari e irripetibili exploits personali.

Francesco Orlando, cultore della ragione, ha proposto delle teorie ottimistiche, che non si sposano totalmente con quelle negative attuali, dominanti, che demoliscono altre teorie o che ne sono il seguito e il rovescio (pensiamo a quanti-ismi e a quanti -post vi siano). E naturalmente Orlando non lo ha ignorato.
Ma restano alcune amare considerazioni da fare intorno al costume letterario italiano e senza dubbio, dei saggi di Orlando tutto si può dire tranne che non si prestino alla discussione e alle immancabili polemiche. Il modello freudiano da lui proposto, inoltre, è diverso da altri approcci psicoanalitici alla letteratura fondati sui personaggi, sull’autore o sul lettore (pensiamo al personaggio-uomo di Debenedetti).

La cultura letteraria italiana che attualmente non può vantare grandi esponenti e validi interlocutori come ad esempio accade negli Stati Uniti d’America, ha messo un pò da parte Orlando, un autore scomodo perché non ha improntato la sua ricerca critica sul lettore.Orlando si è anche cimentato in un  , La doppia seduzione, uscito postumo.

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