“Second Helping”: la purezza dei Lynyrd Skynyrd

Second Helping-MCA Records-1974
Second Helping-MCA Records-1974

Maledetti, senza alcuna regola, assidui sostenitori e praticanti della sacra triade del rock (sesso, droga & rock’n’roll), i Lynyrd Skynyrd, nel 1974, sono un gruppo in cerca di definitiva consacrazione dopo aver mostrato autentici sprazzi di genio nel loro album di debutto: Pronouced Leh-nerd Skin-nerd. Nonostante continue tensioni interne, dovute al carattere irascibile e rissaiolo dei vari membri, gli Skynyrd riescono nell’impresa di comporre, incidere e produrre un disco epocale, vero manifesto degli anni ’70 e del southern rock in particolare. Un autentico distillato di tutta la mitologia sudista infarcito di chitarre affilate come rasoi, voci roche, sentori boogie conditi da umori blues, swamp ed honky tonk. I degni eredi di Allman Brothers Band e Creedence Clearwater Revival trovano finalmente la formula necessaria a proiettare il sound del Sud in vetta alle classifiche.

“Well, I heard Mr. Young sing about her/Well, I heard ol’ Neil put her down/ Well, I hope Neil Young will remember/A Southern man don’t need him around anyhow” (Sweet Home Alabama)

Second Helping, pubblicato nell’aprile del 1974, diventa immediatamente un classico. La voce rabbiosa di Ronnie Van Zandt snocciola storie fatte di amori turbolenti, frustrazione personale e dosi massicce di orgoglio sudista mentre i tre chitarristi, Gary Rossington, Ed King, Allen Collins dialogano tra loro intrecciando riff in maniera talmente precisa da sembrare fili di un’ invisibile ragnatela musicale. La batteria di Bob Burns, il basso di Leon Wilkenson e le tastiere di Billy Powell forniscono il carburante necessario a far viaggiare quest’album come un treno in corsa. Da questo affiatamento pressoché perfetto, in grado di produrre un suono grezzo e potente, nascono capolavori quali Sweet Home Alabama, diventato il pezzo simbolo dei Lynyrd Skynyrd, grazie ai numerosi riferimenti alla cultura southern, ad una decisa polemica con Neil Young ed ad un ritmo sincopato e travolgente. Da segnalare anche il loro lato tenero nella splendida I Need You, power ballad disperata e straziante. L’adrenalinica Don’t Ask Me No Questions, la provocatoria Working For MCA, la magnifica Ballad For Curtis Loew, la paludosa Swamp Music, la drammatica The Needle And The Spoon, fino ad arrivare alla gigantesca cover di Call Me The Breeze, composta da J.J.Cale, sono tappe di un percorso attraverso la filosofia esistenzial-musicale di un’intera regione. Musica da sentire, musica da ballare, perfetta per i luridi saloon del Tennessee come per la programmazione delle maggiori radio del paese. Il motivo di tanto successo sta nell’esplosiva miscela tra melodie godibilissime e parole semplici ma efficaci in grado di essere memorizzate all’istante e cantate in maniera quasi naturale.

Lynyrd Skynyrd nel 1974

C’è da dire, però, che tecnicamente i brani degli Skynyrd non sono di facile esecuzione. I complessi fraseggi di chitarra, le diteggiature di basso, i ricami di pianoforte, denotano una tecnica ed una preparazione fuori dal comune. Queste caratteristiche, unitamente ad una immagine pubblica debosciata e violenta, ha fatto si che i loro concerti diventassero veri e propri happening a base di alcool, droghe e risse. Negli anni successivi la band attraverserà periodi di grande turbolenza contraddistinti da continui cambi d’organico, problemi con la legge e scarsa ispirazione musicale, fino al tragico volo del 1977 che decimerà l’organico del gruppo. Fino a quel momento, però, si può senz’altro dire che i Lynyrd Skynyrd sono stati una delle più significative espressioni del rock americano, in grado di assimilare la lezione impartita dagli illustri predecessori e di riproporla con uno stile assolutamente unico e accattivante. L’amore per il blues, il country, il soul, il rockabilly emerge in queste magnifiche composizioni originali che colpiscono per la loro freschezza e atemporalità oltreché per la loro indiscutibile bellezza tecnica e melodica. A più di quarant’anni di distanza Second Helping rimane uno degli esempi più fulgidi del southern rock ed una pietra miliare della musica di fine millennio capace di donare agli autori un’immortalità in grado di trascendere perfino un incidente aereo.

“Live At Fillmore East”: Un miracolo chiamato Allman Brothers Band

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Live At Fillmore East-Capricorn Records-1971

Accade, alle volte, che un concerto si trasformi in un evento unico, straordinario, irripetibile. L’empatia che si instaura tra pubblico ed artisti sul palco raggiunge vertici assoluti trasformando un live act in un’esperienza che va oltre la musica in grado di suscitare sentimenti e sensazioni profonde capace di tramutare un semplice happening musicale in un qualcosa di storico, degno di essere tramandato alle generazioni future. Questo è quanto accaduto durante la serie di concerti tenuta da The Allman Brothers Band, al leggendario Fillmore East di New York tra l’11 ed il 13 marzo 1971. Il problema vero era, però, riuscire a catturare tanta bellezza ed intrappolarla su nastro. Le tecniche di registrazione all’epoca non erano così avanzate inoltre la band voleva un vero disco dal vivo rifiutando ogni lavoro di post-produzione (il che significava incidere tutto in presa diretta). A questo si deve aggiungere che gli Allman Brothers avevano una line up mastodontica comprendente un organista/cantante (Gregg Allman), un bassista (Berry Oakley), due chitarristi (Dickey Betts e Duane Allman) e ben due batteristi (Butch Trucks e Jay “Jaimoe” Johanson) più diversi turnisti all’armonica, al sax ed alle percussioni, cosa che rendeva molto problematica la microfonazione e l’amplificazione dei diversi elementi. Con l’aiuto del produttore Tom Dowd, il gruppo riesce a trovare una soluzione, visionando ogni sera i nastri agli Atlantic Studios e compilando la scaletta per l’esibizione successiva scegliendo i brani che avevano bisogno di essere messi a punto. Il risultato è l’album dal vivo più bello, celebrato ed importante della storia del rock.

“Questi shows, registrati a New York il 12 ed il 13 marzo 1971, restano la miglior live performance rock mai registrata su vinile. Catturano la miglior rock/blues band d’America al suo picco” (Mark Kemp- Rolling Stone-2002)

Questa citazione è più che mai azzeccata poiché rivela la vera natura di quest’opera. I microfoni riescono nell’impresa di catturare il fantastico suono di un gruppo in stato di grazia. L’annunciatore del Fillmore, Michael Ahren, apre le danze col semplice annuncio: “Ok, the Allman Brothers Band” e da quel momento è tutto un fiume di note che stende gli ascoltatori. L’attacco fulminante di Statesboro Blues, la torrida Trouble No More, la cadenzata Don’t Keep Me Wondering, la torrenziale Done Somebody Wrong, per arrivare alla strumentale In Memory Of Elizabeth Reed, alle bellissime Whipping Post, Stormy Monday, Midnight Rider, One Way Out, fino all’improvvisazione pura di Mountain Jam ed Hot’Lanta, tutto è suonato alla perfezione con una passione ed una tecnica difficili da trovare altrove

Duane (sinistra) e Gregg (destra) Allman

Gregg Allman disegna splendide linee di Hammond su cui innestare la sua voce roca e passionale coadiuvato dal basso puntuale di Oakley e dalle percussioni sorprendentemente complementari del duo Trucks/Johanson. Dickey Betts, per parte sua, cesella mirabili fraseggi chitarristici che ancora stupiscono per precisione ed innovazione  E poi c’è lui, Duane Allman, uno dei più grandi virtuosi della sei corde, che domina il disco in lungo ed in largo col suono inconfondibile della sua slide guitar e con la bellezza incredibile dei suoi estatici assolo. La Allman Brothers Band sembra una fonte inesauribile di musica, una miscela unica ed irripetibile di tecnica e talento. Blues, rock, jazz, improvvisazione, questi gli elementi che fanno di questo disco un capolavoro e l’innegabile atto di nascita di quello stile musicale chiamato Southern Rock che annovera tra le sua fila artisti del calibro di Lynyrd Skynyrd, Alabama, Marshall Tucker Band e ZZ Top. Essere presenti in una di quelle tre date del marzo 1971 deve essere stata una esperienza incredibile, di quelle che capitano una volta nella vita, ma chi, per i motivi più svariati, non ha potuto esserci può riassaporare quell’atmosfera ascoltando quest’opera. C’è qualcosa di magico dentro in grado di suscitare ancora, a distanza di tanti anni, sensazioni forti. Ma la magia è destinata a finire molto presto. Duane Allman, leader indiscusso della band, morirà in un tragico incidente motociclistico il 29 ottobre 1971, appena tre mesi dopo la pubblicazione di questo epocale doppio album.

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