Verso il Referendum del 4 dicembre tra sì, no, “ma anche”

Tra le eredità lasciateci da Walter Veltroni c’è una nuova categoria logica che sarebbe molto utile nella scheda che gli italiani si troveranno davanti domenica 4 dicembre quando dovranno esprimersi sul Referendum, il ma-anche. Può sembrare una provocazione ma, di fatti, non lo è. Una ipotesi di riforma che comprende 47 articoli della Costituzione confonderebbe chiunque ed è inevitabile che in una materia così ampia finiscano modifiche condivisibili insieme ad altre non accettabili.

Così nel dibattito sul Referendum, tra balletti di cifre su presunti risparmi, tagli del numero dei parlamentari, modifica del rapporto tra stato e regioni, minacce di derive autoritarie e show televisivi, anche l’elettore più attento continua ad avere più di qualche dubbio. Cerchiamo, a questo punto, di mettere ordine e di chiarire in maniera sintetica in due soli punti le posizioni in campo. I favorevoli all’ipotesi di riforma sostengono che occorre votare sì al Referendum perché:

  1. Si supera il bicameralismo perfetto attualmente presente in Italia che vincola l’approvazione delle leggi a due passaggi parlamentari con due Camere che hanno le stesse funzioni. Con la riforma scompare il Senato così come lo conosciamo oggi e lascerà il posto ad un nuovo organismo composto da rappresentanti degli enti locali che avranno funzioni diverse rispetto alla Camera;
  2. Si tagliano i costi della politica con la scomparsa del CNEL e delle province. La riforma prevede che i consiglieri regionali non potranno percepire un’indennità più alta di quella del sindaco del capoluogo di regione e i gruppi regionali non avranno più il finanziamento pubblico.

Chi si schiera per il no alla riforma, sostiene che:

  1. La riforma rende il sistema più confuso e crea conflitti di competenza tra Stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato non intaccando in maniera significativa i costi della politica e moltiplicando i procedimenti legislativi;
  2. Limita la democrazia in quanto triplica da 50.000 a 150.000 le firme per i disegni di legge di iniziativa popolare e rafforza il potere centrale a danno delle autonomie, private di mezzi finanziari. Inoltre espropria la sovranità al popolo e la consegna a una minoranza parlamentare. Il Senato, che non scompare assolutamente, viene privato della scelta dei cittadini divenendo qualcosa di informe e senza legittimazione elettorale.

In estrema sintesi queste le posizioni dei due schieramenti. Come detto, però, nel mezzo c’è la modifica di aspetti rilevanti della Costituzione il cui impatto non è quantificabile con esattezza. Ad esempio il nuovo art. 117 al comma 4 recita: “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale“, che si traduce in una forte limitazione sulla determinazione delle scelte dei territori. Non è questione da poco, si pensi all’attuazione di questa norma su questioni delicate come Tap o Ilva, dove interessi economici e impatto ambientale sono molto forti. E se anche questo rientrasse nell’interesse nazionale?

Non essendoci possibilità della casella ma-anche sulla scheda, sarebbe stato preferibile spacchettare i quesiti rendendo più agevole il voto degli elettori.

Nelle ultime ore, inoltre, si continua a caricare di significati diversi la disputa elettorale mettendo in campo rottamazioni e presunte cadute del governo, ma possiamo essere certi che il 5 dicembre se dovesse vincere il sì non arriveranno le cavallette e se dovesse vincere il no non ci saranno speculazioni finanziarie e disastri economici. Sempre che la gente il 4 dicembre vada a votare, in caso contrario la sconfitta sarà sicuramente di tutti.

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