La poesia italiana del Novecento tra parola cifrata e colloquio solidale

Montale, Ungaretti, Luzi

Il critico piemontese Giacomo Debenedetti ha riflettuto a lungo sull’origine e sull’originalità dell’ermetismo italiano, sorto in un contesto europeo, occidentale; Mallarmé ne è il dato originario, fondante, insuperato che è utilissimo per comprendere al meglio i testi italiani. Debenedetti dunque uno o pochissimi brani di ogni scrittore e li sottopone ad una lettura che si basa sulla molteplicità dei riferimenti.

Le cause dell’oscurità di Mallarmé sono ricondotte ad una contraddizione ontologica: la poesia è il solo strumento per raggiungere l’Assoluto, che però coincide con il nulla e dunque, in questo senso, la poesia si rivela fallimentare ed è per questo che il poeta parla di naufragio. L’uomo a cui solo tocca, attraverso il linguaggio, l’arduo compito della poesia, è poi abolito da questa stessa poesia che nulla ha più di <<riconoscibilmente umano>>, contraddizione in cui è osservabile <<il tipico paradosso di tutte le imprese mistiche>>. Non a caso si parla proprio di un naufragio nel testo di Mallarmé, A la nue accablante tu, Al nudo travolgente, dove l’immagine del naufragio è costruita da elementi reali ma l’intonazione sacrale ci avverte che la poesia allude a qualcosa che compromette il senso stesso della vita per il poeta e per tutti: si tocca un tragico destino. La poesia fallisce l’impresa di impadronirsi dell’Assoluto, ma l’oscurità con cui ci è trasmessa evoca al tempo stesso il bisogno dell’Assoluto: il tormentato destino del poeta teso ad afferrare la matrice ultima è lo stesso del critico, combattuto tra volontà della ragione e la resistenza dell’evento originario, è l’arcaico destino dell’uomo.

Debenedetti prende in esame come primo poeta Eugenio Montale, cogliendo nelle Occasioni una “crisi della presenza”; la poesia di Montale diventa ermetica quando non constata più gli aspetti comuni del mondo, quando attribuisce all’apparire “una significanza emblematica dei suoi momenti individuali. Soprattutto nell’Elegia di Pico Farnese sono riscontrabili i caratteri tipici dell’ermetismo mallarméano: la chiarezza delle singole notazioni insieme all’oscurità del significato generale, un sovvertimento dei valori razionali e grammaticali del linguaggio. Dunque è lecito razionalizzare il testo montaliano e in genere tutta l’arte moderna? Se si volesse seguire la posizione di Vico “Verum ipsum factum”, la risposta è affermativa, d’altronde l’opera d’arte è creazione dell’uomo e perciò non può non essergli comprensibile.

La molteplicità dei significati in Montale implica una non garanzia e molteplicità del senso; questo progredire dell’ermetismo deriva dalla scomparsa della figura del padre nella società borghese: il poeta si sente orfano e taglia tutti i rapporti visibili e riconoscibili tra il suo Io e la sua persona storica concreta. L’Io del poeta diviene alla maniera di Rimbaud un‘opera fabuleux, una scena in cui si susseguono eventi e spettacoli senza che nessuno ne abbia stabilito il programma.

Anche la poesia di Ungaretti certifica l’estraniamento del poeta come personaggio, teorizzando la scomparsa dell’io empirico e biografico del poeta e anche del lettore. Nella poesia metafisica Lago Luna Alba Notte della raccolta Sentimento del tempo, emerge una straordinaria forza di apparizione dell’oggetto senza rapporti con un prima o un poi, rimuovendo tutti i legami logici, gli eventi annunciano un senso senza spiegarlo e si giunge all’istanza sentimentale e drammatica di una poesia dell’esperienza umana. Nel finale degli appunti ungarettiani l’analisi del linguaggio di Lago Luna Alba Notte porta ad identificare un altro debito rimbaudiano del poeta, quello con la formula “Je est un autre”, collegandosi alle riflessioni di Montale.

La stessa frantumazione dell’Io che emerge nel periodo ermetico di Ungaretti è attestata anche in Mario Luzi; nell’Imminenza dei quarant’anni è assente infatti una linea biografica. Vi sono solo attimi slegati, momenti che non hanno un perché, viene simulato il racconto di una storia  che denuncia il “rifiuto di raccontare”. In questa situazione di smarrimento, di incertezza esistenziale, il poeta di aggrappa alla religione cristiana, per trovare un senso nel mondo.

 

Bibliografia: A. Borghesi, La lotta con l’angelo.

Mario Luzi: poeta “d’elezione” e “della pienezza”

Mario Luzi nasce a Castello di Firenze il 24 Ottobre del 1914. Dopo l’infanzia trascorsa nel luogo d’origine, si trasferisce a Siena, dove vive un breve periodo della sua vita e poi a Firenze, anni in cui frequenta il liceo classico e si diploma. Successivamente, si laurea in letteratura francese e da questo momento in poi stringe rapporti con numerosi intellettuali dell’epoca, dedicandosi al lavoro presso alcune riviste d’avanguardia, come Campo di Marte e Paragone.
La sua prima raccolta di poesie, intitolata La barca esce nel 1935. Pochi anni dopo, insegna alle scuole superiori di Parma e nel ’45 al liceo scientifico di Firenze. Durante questo periodo, vengono pubblicate le sue più importanti raccolte poetiche : Studio su Mallarmé, Onore del vero, Quaderno Gotico, Un brindisi. Durante questo periodo, insegna letteratura francese alla facoltà di scienze politiche.
Tra gli anni che vanno dal 63 alla fine degli anni 70 pubblica diverse opere tra cui Nel Magma, Reportage, Semiserie.

Mario Luzi viene nominato senatore a vita da Ciampi, il 14 Ottobre del 2004, proprio nel giorno del suo compleanno. Muore dopo qualche mese a Firenze, il 28 Febbraio 2005. Considerato sicuramente uno scrittore ermetico, le tematiche a lui più vicine sono quelle che riguardano l’autobiografia e ciò che pone l’uomo in conflitto con se stesso e con ciò che lo circonda. Possiamo dividere la poetica di Luzi in tre fasi.

La prima viene fatta cominciare con La barca nel 1935 e finisce con Quaderno gotico; ora il suo interesse è rivolto al cristianesimo e si rifà a determinati modelli sia per ciò che riguarda lo stile che i contenuti, come Mallarmé ma anche Dino Campana. A metà possiamo collocare Avvento notturno, dove è forte l’influenza del surrealismo e del decadentismo liberty.

La seconda fase della produzione poetica di Mario Luzi comprende le raccolte Onore del vero, Primizie del deserto, Dal fondo delle campagne e Su fondamenti invisibili.

Mosso dalla costante inquietudine che caratterizza i suoi lavori e da un pessimismo di fondo, approda alla terza fase, che vede alla luce Nel magma, Per il battesimo dei nostri frammenti e Al fuoco della nostra controversia; opere dove è chiaro il rimando al periodo dell’infanzia e dell’adolescenza. Sono gli stessi anni in cui, grazie alla poesia Fuoco della controversia vince, ricordiamo, il Premio Viareggio.

Per alcuni resta il poeta “della pienezza”, per altri ”d’elezione” , introverso e mite, per la sua predilezione per le poche parole che raccontano  la  salvezza da una vita apparentemente priva di ogni significato; in un continuo rinnovarsi di pensieri e prospettive,  emblema del tardo Novecento, come dimostra con le seguenti liriche:

Da Avvento notturno, Avorio:

Parla il cipresso equinoziale, oscuro e montuoso esulta il capriolo, dentro le fonti rosse le criniere dai baci adagio lavan le cavalle. Giù da foreste vaporose immensi alle eccelse città battono i fiumi lungamente, si muovono in un sogno affettuose vele verso Olimpia. Correranno le intense vie d’Oriente ventilate fanciulle e dai mercati salmastri guarderanno ilari il mondo. Ma dove attingerò io la mia vita ora che il tremebondo amore è morto? Violavano le rose l’orizzonte, esitanti città stavano in cielo asperse di giardini tormentosi, la sua voce nell’aria era una roccia deserta e incolmabile di fiori.

Da Al fuoco della controversia, Ridotto a me stesso?

Ridotto a me stesso? Morto l’interlocutore? O morto io, l’altro su di me padrone del campo, l’altro, universo, parificatore… o no, niente di questo: il silenzio raggiante dell’amore pieno, della piena incarnazione anticipato da un lampo? – penso se è pensare questo e non opera di sonno nella pausa solare del tumulto di adesso…   Natura. La terra e a lei concorde il mare e sopra ovunque un mare più giocondo per la veloce fiamma dei passeri e la via della riposante luna e del sonno dei dolci corpi socchiusi alla vita e alla morte su un campo; e per quelle voci che scendono sfuggendo a misteriose porte e balzano sopra noi come uccelli folli di tornare sopra le isole originali cantando: qui si prepara un giaciglio di porpora e un canto che culla per chi non ha potuto dormire sì dura era la pietra, sì acuminato l’amore.

Dal periodo dell’assenza della realtà e della storia  caratterizzato da un linguaggio prezioso a quello del manierismo della sublime eloquenza, dall’esistenzialismo intriso di inquietudine e di ricerca dell’identità, alla speranza per la l’immortalità dell’anima; il poeta d’elezione e di lungo corso Mario Luzi ha attraversato tutte le stagioni dell’anima, senza conoscere pigrizia, un vero modello di civiltà.

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