Luchino Visconti vi girò nel 1974 il film Gruppo di famiglia in un interno: un rigoroso professore, Burt Lancaster, che vive in un antico palazzo romano ricco di arredi preziosi e libri antichi, nel ricordo di sua madre e sua moglie e il giovane dissoluto con manie rivoluzionarie, Helmut Berger, accampato al piano superiore con i suoi immorali amici. Schifano affittò l’appartamento all’ultimo piano dove si consumavano cene, feste e vita sfrenata.
È la casa-museo del grande e temuto anglista Mario Praz che sembra richiamare il titolo di una sua opera “La carne, la morte e il diavolo” sulla letteratura romantica, per la sua ricchezza di vita vissuta per lo studio e per il gusto del dettaglio al suo interno; è il regno di uno dei più grandi studiosi e critici che l’editoria italiana ha dimenticato: Mario Praz.
È stato inaugurato a Roma, nell’appartamento di Palazzo Primoli, in via Zanardelli, il Museo “Mario Praz”, dedicato proprio al celebre critico che lì visse dal 1969 fino alla sua morte nel 1982.
L’operazione è stata possibile grazie all’intervento della Direzione generale Musei del Ministero della Cultura, guidata dal prof. Massimo Osanna, che in questa fase riveste anche il ruolo di Direttore avocante della Direzione Musei Statali della Città di Roma, di cui il museo fa parte.
La casa riflette l’anticonformismo, la malinconia, il conservatorismo di Praz, collezionista non solo di antiquariato ma di solitudini, amante dello stile Impero e del pettegolezzo dotto, e instancabile viaggiatore, alimentatore della sua fama di “iettatore”, data la sua claudicanza, strabismo e predilezione per i temi demoniaci.
Sinistro, morboso, eccentrico, patologico, cupo, sono alcuni tra gli aggettivi accollati a Praz, al quale piaceva contribuire alla creazione di una inquietante aura attorno alla sua figura.
Il professor Mario Praz insegnò a Liverpool, Londra, Manchester, prima di stabilirsi alla “Sapienza”, e poi, a Palazzo Ricci, in via Giulia, sempre a Roma.
La sua Storia della letteratura inglese, seppur datata ovviamente, spicca, in un’epoca come questa, dei critici incompetenti e dai giudizi sommari, privi di carisma e passione. Praz suscitava invidia anche quando era in vita, era coltissimo e raffinato, ha anticipato i cultures studies, in un romanzo intravedeva le linee di un ritratto pittorico. L’ampiezza di sguardo, tuttavia non lo risparmiò dal prendere un abbaglio con Pound non capendo il suo talento e con Joyce che addirittura considerava inutile.
Raffinato osservatore dello svariare delle mode e dei costumi, collezionista di punti di svolta, Praz sicuramente avrebbe sottoscritto l’invito di Sergio Solmi a ricordare che sia il critico sia l’autore sono «punti egualmente mobili nel tempo», ma non sempre applica con uguale costanza queste sue doti a sé stesso. Spesso infatti mantiene la struttura generale di uno scritto modificando però dettagli, aggiungendo note recenti, facendo rapidamente i conti con nuove prospettive critiche.
Se Voce dietro la scena incoronò definitivamente Mario Praz saggista, che nella Prefazione si accosta ancora una volta allo stile dell’Elia di Lamb, nel Mondo che ho visto, invece, Praz scrittore di viaggio raggiunge la vetta più alta fornendo una impressionante carrellata di impressioni e suggestioni di viaggio osservando come «pochi viaggiatori sanno essere personali, sanno vedere con occhi che penetrano nell’essenza delle cose».
La casa-museo racchiude decenni di appassionato collezionismo e ne riflette gusti e inclinazioni: dall’amore per il periodo napoleonico all’interesse per l’arredamento d’interni e per gli oggetti d’uso dello stesso periodo, che insieme formano e ci riportano concretamente il gusto di un’epoca, alla profonda cura per il dettaglio visibile nell’accurata scelta della posizione di ogni oggetto, sulla base di rispondenze non solo estetiche ma anche culturali e intellettuali. Durante il periodo di chiusura temporanea, il MiC ha curato approfonditi restauri, sia sulle strutture di servizio che sulle opere, coordinati dalla Direttrice del Museo, Francesca Condò, con la collaborazione della restauratrice Silvana Costa.