Il fantastico nei racconti di Massimo Bontempelli: da ‘La scacchiera davanti allo specchio’ a ‘Eva ultima’

In particolare sono due i generi affrontati da Bontempelli che più hanno risentito dell’influenza del fantastico, il meraviglioso fiabesco delle Due favole metafisiche e i racconti.

Quali sono i procedimenti narrativo-retorici e i sistemi tematici che dimostrano l’influenza di tale modo sui diversi generi? Attingendo ai contributi di Ceserani, sarà importante illustrare ora gli elementi specifici più ricorrenti del modo fantastico.

Introduzione al fantastico di Bontempelli

Nel volume Il fantastico, Ceserani dedica un capitolo alla ricerca e alla catalogazione di questi procedimenti, distinguendo fra quelli tematici e formali. Tra questi ultimi troviamo la narrazione in prima persona, accompagnata talvolta dalla presenza di destinatari espliciti, per accrescere il coinvolgimento del lettore e la sua identificazione con il lettore implicito, la messa in rilievo dei procedimenti narrativi nel corpo stesso della narrazione, al fine di attirare il lettore e al tempo stesso renderlo continuamente consapevole che di narrazione si tratta, o l’interesse per le capacità proiettive e creative del linguaggio, che si esplica per esempio nell’utilizzo in termini narrativi della metafora, tramite il quale il rapporto verbale tra i mondi semantici diventa materiale, creando passaggi di soglia e di frontiera dalla dimensione del quotidiano a quella del perturbante.

Il passaggio di soglia è raggiunto anche attraverso i cosiddetti “oggetti mediatori”, la cui presenza nel testo dimostra la veridicità del viaggio compiuto dal protagonista nell’ “altro mondo”, dal quale ha portato con sé il suddetto oggetto.

Ancora importante è la teatralità, cioè la tendenza ad utilizzare procedimenti appartenenti alla tecnica e alla pratica teatrale, che comprende anche l’attivazione di elementi di figuratività sia materiali, come gli specchi, relativi al vedere, sia come esaltazione della gestualità, per esempio “mettendo in scena”. Frequentemente utilizzata è poi la figura retorica dell’ellissi in momenti cardine del testo, dove cioè la narrazione raggiunge il culmine, con effetto di sorpresa e di incertezza nel lettore, incapace di trovare risposte alle proprie domande. Ma, come sostiene la Bessière, «Per sedurre, il fantastico ha il dovere di deludere».

Dal punto di vista tematico spiccano la contrapposizione fra luce e buio legata soprattutto all’ambientazione notturna, l’attrazione verso la vita dei morti, l’individualità borghese come soggetto della modernità, con tutte le contraddizioni che lo portano sovente anche alla follia, intesa non più come una differenza fra il folle e l’uomo normale, ma come tramite verso una più profonda conoscenza.

Legati a quest’ultimo sono poi il tema del doppio, che nel fantastico si unisce a oggetti come lo specchio e mette in crisi il concetto di soggettività, e quello del nulla, tematica fortemente moderna che si spinge fino al nichilismo. Lazzarin pone, accanto ad una tematica e ad una stilistica e retorica del fantastico, anche una topica, cioè un insieme di luoghi comuni utilizzati in diversi contesti e con diverse funzioni, come per esempio il tòpos dello sguardo inquietante ed ardente del personaggio fantastico.

La scacchiera davanti allo specchio, trama e contenuti

Scritto nel 1921 e pubblicato presso l’editore Bemporad a Firenze nel 1922 nella «Biblioteca Bemporad per ragazzi» con illustrazioni di Sto (Sergio Tofano), La scacchiera davanti allo specchio seguirà Viaggi e scoperte nel volume Mondadori del 1925 e, infine, con Eva ultima, costituirà il volume Due favole metafisiche (1921-1922), sempre presso Mondadori, dal 1940.

L’originaria pubblicazione in una collana per ragazzi, il nome scelto dall’autore per l’ultimo volume, e la dedica al figlio Mino, complicano ulteriormente la già difficile categorizzazione dell’opera; si potrebbe, infatti, ingenuamente essere indotti a considerarla solo come una semplice storia per bambini. Tuttavia, ad un occhio più attento, essa si potrebbe situare alla convergenza di più generi, traendo elementi in particolare dal mondo della fiaba e dal fantastico.

Il soggetto si riconosce quindi solo nel momento in cui si vede nello specchio. Interessante, a questo punto, riprendere le considerazioni espresse da Mangini nel capitolo del volume Letteratura come anamorfosi dedicato allo specchio e alla sua stretta relazione con l’anamorfosi; il «riconoscimento della propria immagine speculare, costitutivo dell’identità del soggetto (e cioè della sua presunta autonomia dall’oggetto), è in realtà un riconoscimento di sé nell’Altro (o di sé come Altro) e dimostra innegabilmente che il soggetto non può incontrarsi e ri-conoscersi altrimenti che così: come Altro, appunto».

Il protagonista vive lo sdoppiamento fra sé e la sua immagine nel momento in cui compie l’attraversamento della soglia. Le parole del Re sono eloquenti: «Quando dico che sei qui, intendo che qui c’è un altro come te: la tua immagine, via; siete due, come io e quel Re Bianco che sta costì dalla tua parte».

Molto forte è poi l’influenza della pittura metafisica nell’ambientazione che circonda il manichino; in seguito alla sua esplorazione, il protagonista arriva infatti in un «vasto fossato, riquadrato come una piazza d’armi ma sprofondato molto più basso del suolo», all’interno del quale si stagliano vari oggetti, che «stavano in certo modo come stanno gli alberi e le rocce nella campagna. […] Erano, ecco, erano una specie di paesaggio, fatto di oggetti invece che di piante e altri prodotti naturali».

Saltano subito alla mente le pitture di Giorgio De Chirico, dove a popolare le grandi piazze squadrate sono, oltre le architetture, oggetti come statue e manichini, che arrivano a fondersi in una sorta di ibrido in opere come Le Muse inquietanti (1919). Per Piscopo, Bontempelli accetta l’opzione “saviniano-dechirichiana” del manichino, assumendolo «non a stereotipo funzionale, ma a referente materiale per eccellenza nell’atelier dell’artista, in quanto suggeritore e moltiplicatore di metafisicità, ovvero di spettralità; ma anche in quanto valore da recuperare in contraddizione col consumismo volgare e col Kitsch di massa. La presenza del manichino presso i metafisici ha una funzione complessa. È cifra di misteriosità e d’inquietudine».

Nei suoi scritti teorici, Bontempelli esplicita di volersi riallacciare all’antica tradizione omerica, per riavvicinare la narrazione alla lirica, come accade in ogni primordio, dove «poesia coincide con l’invenzione della favola».

Come osserva Bosetti, però, la soluzione da lui proposta non è irrazionalistica, ma anti-intellettualistica, in quanto Bontempelli intende distaccarsi da “quella deprecanda orgia di verismo documentario” di cui la prosa era rimasta vittima. Questa sorta di primitivismo bontempelliano è, però, complicato dalla distinzione che egli introduce tra la meraviglia del fanciullo e lo stupore dell’artista. Solo quest’ultimo è, come accadeva ai pittori quattrocenteschi, attivo e capace di «popolare il mondo di creature immaginate in cui le esperienze quotidiane si sono totalmente risolte e trasformate.

Eva ultima, l’opera problematica di Bontempelli

Scritta nel 1922, quindi ad un anno di distanza dalla Scacchiera, ed uscita per la prima volta presso l’editore Stock di Roma nel 1923, Eva ultima è la seconda delle due “favole metafisiche”, ma ciò non deve trarci in inganno nel considerarla affine alla prima, con cui sicuramente condivide l’atmosfera magica e meravigliosa, ma da cui si discosta anche ampiamente, soprattutto per la maggiore artificiosità.

Eva ultima è un’opera problematica, ma che costituisce un tassello imprescindibile in un discorso sul fantastico bontempelliano. Anche di fronte ad essa ci si trova in difficoltà a doverla incasellare in un genere specifico; fin dall’inizio, infatti, sono ripresi temi e stilemi dei generi maggiori dell’800, ma subito rovesciati in una sorta di parodia.

I racconti più propriamente “fantastici” di Bontempelli sono considerati da molti critici, non a torto, come i risultati più felici della sua produzione artistica. Se già nel 1943 Carlo Bo afferma che in Bontempelli «il racconto ha una soluzione intatta: ha la misura stessa dell’invenzione», Baldacci, nell’introduzione al Meridiano dedicato alle Opere scelte dell’autore, auspica l’uscita di un volume, sempre nella collana dei Meridiani, incentrato solo sui racconti.

Anche Luigi Fontanella afferma che le raccolte degli anni ’20 sono da considerarsi come espressioni della maturità artistica del narratore. Nonostante ciò, una raccolta completa di racconti non è ancora stata pubblicata, e quelle già esistenti sono pressoché irreperibili. Anche per quanto riguarda la critica, se fioriscono pubblicazioni sui romanzi e sul teatro, non si trova altrettanta letteratura sul racconto.

La produzione novellistica di Bontempelli si snoda lungo tutta la sua attività, a partire dalle prime opere rifiutate, Socrate moderno e Amore, passando per la filosofica raccolta Sette Savi e la sperimentale Viaggi e scoperte, arrivando fino alla magica Miracoli e alle più mature Galleria degli schiavi e L’amante fedele.

 

 

Fonte: https://www.academia.edu/36651096/Il_lavorio_delle_fantasime._Il_fantastico_nei_racconti_di_Massimo_Bontempelli

Il teatro in Italia nel primo ‘900: da Marinetti a Chiariello

In Italia le forme ottocentesche del Teatro verista, il Teatro dialettale e il dramma borghese agli inizi del novecento, vengono messe in discussione e soppiantate da altri generi teatrali. I primi ad operare in questo contesto sono gli avanguardisti del movimento futurista di Filippo Tommaso Marinetti.
Tre sono i manifesti dedicati al teatro.

Tre sono i manifesti che i futuristi hanno dedicato al teatro. Il primo approccio alle questioni teatrali è costituito dal Manifesto dei drammaturghi futuristi del 1911, nel quale l’intero sistema del “mercato culturale” dell’epoca viene criticato per aver trasformato il prodotto artistico in merce. Un’arte che per essere venduta, si basa su luoghi comuni, lusingando e accrescendo la pigrizia del pubblico.
Il manifesto, al contrario, teorizza un teatro che induce a riflettere e ad avere un atteggiamento critico nei confronti di ciò che viene rappresentato. I procedimenti stilistici impiegati sono la deformazione, lo straniamento e la gestualità esagerata con lo scopo di stimolare reazioni ed impedire l’adesione passiva degli spettatori. I futuristi, in particolare, propugnano il disprezzo del pubblico: i fruitori non devono essere accontentati ma scossi con proposte estreme. Il manifesto arriva ad ostentare la voluttà di essere fischiati, perché nulla più dell’insuccesso garantisce la riuscita della provocazione.

Famose in questo senso sono le “serate futuriste” in cui i membri del movimento espongono testi poetici, declamano manifesti, presentano brani musicali e quadri futuristi. Le serate, per il loro intento provocatorio spesso si concludevano con diverbi, scontri fisici e risse tra i partecipanti e gli avanguardisti.

L’innovazione più grande consiste nel proporre una scrittura drammaturgica originale che riflettesse la vita moderna, «esasperata dalle velocità terrestri, marine ed aeree e dominata dal vapore e dall’elettricità» lontana dunque dall’esaltazione di eroi, dagli stereotipi come le storie d’amore travagliate, l’adulterio e racconti pietosi e commoventi tipici delle forme teatrali passate.

Con il manifesto Il Teatro di varietà del 1913 Marinetti individua nel Teatro di varietà la forma di spettacolo più vicina alle tendenze futuriste, ritenendolo «il più igienico fra tutti gli spettacoli, pel suo dinamismo di forma e di colore (movimento simultaneo di giocolieri, ballerine, ginnasti, cavallerizzi multicolori, cicloni spiralici di danzatori trottolanti sulle punte dei piedi). Col suo ritmo di danza celere e trascinante, trae per forza le anime più lente dal loro torpore e impone loro di correre e di saltare».

Due anni dopo nel 1915 esce l’altro manifesto Teatro futurista sintetico in cui si propone una forma di teatro «sintetico», «atecnico» (al contrario della scrittura drammatica del teatro borghese, naturalista e tecnica), «dinamico» e «simultaneo» («cioè nato dall’improvvisazione, dalla fulminea intuizione, dall’attualità suggestionante e rivelatrice»), «autonomo», cioè svincolato dalla tradizione, «alogico» e «irreale». Nascondo così le sintesi futuriste: azioni teatrali sintetiche cioè brevi <<stringere in pochi minuti, in poche parole e in pochi gesti innumerevoli situazioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti e simboli>>.

Il Teatro grottesco

L’altra tipologia di teatro nata in opposizione al dramma borghese e alle forme teatrali tradizionali è il Teatro del grottesco. Di poco successivo al teatro futurista, si sviluppa nel periodo della prima guerra mondiale fino agli anni venti. Il termine grottesco appare per la prima volta nel 1916 come sottotitolo del dramma la Maschera e il volto di Luigi Chiariello. Il dramma avvia una tendenza tutta nuova e da l’impulso per quello che sarà poi definito teatro del grottesco. Il tema centrale di questo genere è il costante conflitto tra l’apparire ed l’essere: tra quello che siamo o crediamo di essere e come invece appariamo agli altri e le innumerevoli maschere che l’uomo deve indossare per essere accettato dalla società.

Molti esponenti della letteratura novecentesca aderiscono al teatro grottesco. Il più noto è senza dubbio Luigi Pirandello con i testi Così è (se vi pare) (1917), Il piacere dell’onestà (1917), La patente (1918), Il giuoco delle parti (1918). Altro nome di rilievo è Pier Maria Rosso San Secondo. Siciliano e amico di Pirandello che porta in scena innumerevoli opere grottesche Marionette che passione, Tre vestiti che ballano, La bella addormentata.

L’esperienza del grottesco coinvolge anche Massimo Bontempelli con il capolavoro Minnie la Candida. Questi drammi sono accomunati dalle stesse tematiche: vengono rappresentate, discusse, parodiate la bassezza e l’inautentica dei rapporti sociali.

Tutte queste nuove forme teatrali non solo hanno disgregato le strutture teatrali tradizionali, ma hanno gettato le premesse su cui si fonderanno gli sperimentalismi della seconda metà del novecento, grazie ai quali il teatro conoscerà un periodo davvero fortunato.

Fonti: Luperini: La scrittura e l’interpretazione
Baldi-Giusso: La letteratura

 

L’amante fedele, il simbolismo di Bontempelli

Lo scrittore lombardo Massimo Bontempelli possiede una sorta di immunità, né triste né felice, dai guai che spesso compromettono l’essere umano con il quotidiano, ma la facoltà di non stupirsi di nulla produce come effetto quello di generare stupore. In effetti sembra che Bontempelli ignori la vita, contrabbandando innocenza, pensiamo all’attacco della novella del libro Donna nel sole: “Ero andato a fare un giro in aria col mio aeroplano più piccolo”, oppure alla frase della raccolta di racconti L’amante fedele (1953): “La Bella Addormentata nel Bosco russava”. Il contrabbando dello scrittore di Como altro non è che lo scandalo della naturalezza.

Altro contrabbando è il forbito galateo delle belle lettere attuato da Bontempelli, scrittore di impostazione carducciana, che ha cominciato scrivendo odi e drammi per poi compiere una rivoluzione nel suo mondo, con il futurismo che ha prodotto una delle più moderne e libere prose nel novecento letterario italiano. Lo scrittore riesce a tenere il lettore avvinto, senza utilizzare il pettegolezzo. Prendiamo ad esempio i pellegrini che intitolano uno dei racconti dell’Amante fedele (Nitta – Il ladro Luca – La violetta – I pellegrini – Pietro e Domenico – Convegno – Luci – La Bella Addormentata – Imperatrice – Ottuagenaria – L’amante fedele – Il segreto – Lunarie – Gallo – L’Acqua (I. La tavolozza; II. La vasca; III. Il monumento; IV. Il sipario; V. Il baccarà; VI. La cascata; VII. La capanna; VIII. Il ruscello): un giovane uomo, una sera, dalla sua camera mobiliata sente un coro che avanza per le strade della città; scende e si mescola nella fila, la sua vestaglia, essendo uguale ad un saio, lo rende uguale ai pellegrini. Procedono verso un bosco, parlano delle loro esperienze infernali, incontrano angeli e disegnano costellazioni; verso l’alba il protagonista si ritrova sotto la propria camera e sale a spegnere la luce e i pellegrini si allontanano. Quale interpretazione alla vicenda? Si potrebbe trattare della storia di una vocazione, di un’iniziazione mancata, di una parabola esistenziale-apocalittica, dato il dominio assoluto di simboli. Forse, piuttosto che scervellarci sul significato della vicenda, dovremmo semplicemente fermarci alla bellezza dei segni:

<<In faccia a me, oltre la prateria, si alzava il colle come un bel cono tranquillo al lume della luna, e in cima al colle il cipresso sottile saliva a pungere il cielo>>.

Nell’Amante fedele Bontempelli ritrae figure fatte di corpo astrale e anche la memoria adopera materie simili per resuscitare l’invisibile del passato; e i suoi racconti sembrano dettati dalla memoria di eventi mai accaduti e il lettore ne resta affascinato, complice l’abilità di Bontempelli di creare modelli che smuovono i nostri sentimenti senza provare l’esigenza di manifestarci il sentimento che invece hanno loro stessi. Ma nell’Amante fedele vi sono molti esempi dove il racconto appare di sostanza più corposa e vissuta: il ladro Luca sul tetto, sotto l’effetto di un incantesimo lunare, salva la vita al poliziotto che è scivolato verso il vuoto, rimanendo appeso alla grondaia, quando stava per prenderlo. Il ladro Luca non è una sentimentale allegoria di casi commoventi che vedono aguzzini e vittime riuscire a comprendersi reciprocamente data la loro miseria comune. Lo scrittore invece mostra un mondo dei modelli dove si esce dal “gioco delle parti”.

Lo stesso vale per il racconto più burrascoso dell’opera che dà il titolo al libro: Vittorio dovrà stare lontano dalla sua amata per sessanta giorni. L’impossibilità di sopportare la separazione e l’eccesso della fedeltà fanno di Vittorio un inconsapevole fanatico dell’amore; la sua ossessione per una donna si muta un’ignara ossessione della femminilità. Finisce con la moglie di un amico che all’inizio gli sembrava insopportabile, lo fa ruzzolare con una trappola infernale, in un abbraccio a tassametro, dove la donna si fa chiamare Teodora. Il giorno seguente, tornata quella che era, la donna rifiuta di lasciarsi riconoscere dall’avido Vittorio, come la donna del peccato; Vittorio perde la testa, cadendo in una parodia dell’amore: adesso gli viene negato il nuovo amore che baratterebbe con la fedeltà ormai perduta. La storia di Vittorio mostra come nel mondo dei modelli, i sentimenti possono scambiarsi perché non hanno ancora il nome in cui la commedia umana li ha irrigiditi e smettono di pretendere che il protagonista  diventi la caricatura di se stesso, strizzando l’occhio a Pirandello, autore compreso a fondo da Bontempelli.

‘Gente nel tempo’, lo stile coraggioso di Bontempelli

Massimo Bontempelli è senza dubbio uno scrittore “tutto stile” come dimostra, probabilmente più di ogni suo altro romanzo, Gente nel tempo (1937), sua ultima fatica. Perchè Bontempelli può essere definito uno scrittore di tutto stile? Per il suo modo semplice di raccontare cose complicate. In Gente nel tempo, lo scrittore lombardo stabilisce rispettivamente la natura del complicato e del semplice e i loro mutui rapporti, inventando, come dice il critico Debenedetti, dei casi complicati per forza di immaginazione e li rende semplici per forza di fantasia.

Gente nel tempo narra di una famiglia in cui, per un ricorso inizialmente inavvertito, si è prodotta tre volte consecutivamente, allo scadere di ogni quinto anno, la morte di uno dei componenti: inizialmente la Gran Vecchia madre di Silvano, poi Silvano stesso e infine sua moglie Vittoria. Legge o accidente? Un abate che vive nello stesso paese di Colonna, dove questa famiglia Medici ha la sua villa, scopre astrologicamente che si tratta di una vera e propria legge.

In questo romanzo le tre morti ad orologeria potrebbero anche non intervenire, in quanto morti immotivate, le quali, secondo Debenedetti, si presentano come un risultato di un arbitrio capriccioso. Tale gioco dell’immaginazione è assunto da Bontempelli come un’ipotesi di lavoro narrativo: si tratta di rendere indiscutibili alcuni fatti che si succedono sul filo di questa ipotesi, nella quale il poeta non sente l’esigenza di credere, come anche noi, del resto. Questa è la cosa complicata e la maniera semplice per comunicarcela sarà di conferire a quei fatti una forte evidenza e concretezza. Per comprendere meglio tale meccanismo, basta seguire subito i primi capitoli del romanzo; ci troviamo dinnanzi al racconto di una morte: quella della Gran Vecchia, circondata da misteriose anticipazioni e presagi; poi quella di Silvano, amante di vecchi libri, la vita di Vittoria e il suo inutile tentativo di amore con Maurizio; infine vi sono l’infanzia e l’adolescenza di Dirce e Nora, le figlie di Silvano e Vittoria. Verrebbe da chiederci come mai ad un preludio pieno di minacce e di un magico esoterismo, subentrino vicende più modeste e comuni. Bontempelli, in realtà attinge dai luoghi topici della narrativa più frequentata, ma piuttosto che narrare di vite, vuole mettere l’accento sulle morti per dare seguito al romanzo. Quindi sia Silvano che Vittoria muoiono ma la loro morte riesce sempre gratuita che al termine di una vita non certamente vivace, porta con se un qualcosa di arbirtrario. Basta quindi registrare le morti successive con la spontaneità di una constatazione.

Per quanto riguarda i sentimenti, Bontempelli li fa diventare puro stile: nomi semplici per alludere all’universo metafisico di un destino astratto, scatenandoli o moderandoli; lo scrittore non lascia vivere per conto loro i personaggi, ma gli conferisce delle note di colore per raggiungere la “verosimiglianza”. Ad esempio quando Bontempelli parla di Nora e Dirce, ci dice che Nora è più bella, più in carne e Dirce, più oscura ed egoista, insiste che affinché si faccia un costume da bagno più seducente lasciando intendere che Dirce abbia ammirazione per la sorella, ma invece vuole che la sorella sia il più possibile provocante per attirare amori balneari nella speranza che le nasca un nuovo figlio sul quale si possa scaricare la condanna.

Bontempelli ci lascia giudicare le due sorelle ma sempre entro i limiti che lui ha stabilito, facendoci credere ad una verità delle sue protagoniste. L’impegno dello scrittore è quello di buttare qualche fatto a deflagarsi entro quella che è chiamata la fornace del tempo, colmando gli intervalli insignificanti per raggiungere le date importanti. Sul tempo lo scrittore getta dei ponti e ci induce a contare gli anni che sono trascorsi sotto quel ponte. Afferma lo stesso Bontempelli:

“Questo racconto…si trova a non avere un filo di corrente cui abbandonarsi, ma deve remigare tra la misura degli episodi vagabondi sulla superficie dello stagno”.

Gente nel tempo è una specie di tragedia a lieto fine e rappresenta una delle imprese più coraggiose e ardue della letteratura italiana.

 

Premio Strega 2014: la rosa dei candidati

Si sono chiuse a Roma le candidature per la sessantottesima edizione del Premio Strega 2014; le prime ventisette opere sono presentate dagli Amici della domenica, la storica giuria composta da giornalisti, scrittoti, artisti, letterati che dal 1944 attribuiscono il riconoscimento a un libro di narrativa italiana pubblicato tra il 1° aprile dell’anno precedente e il 31 marzo dell’anno in corso. Nella prima riunione degli Amici della domenica hanno partecipato personalità del calibro di Maria Cristina Donnarumma, Carlo Bernari, Paola Masino, Palma Bucarelli e Alberto Savinio.

Il comitato degli Amici della domenica quest’anno è presieduto da  Maria Pia Ammirati, scrittrice e vicedirettore di Rai Uno; Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore; Anna Grazia D’Oria, direttore editoriale Manni editori; Franco Di Mare, giornalista, conduttore televisivo e scrittore; Maria Cristina Donnarumma, insegnante e operatrice culturale; Dario Franceschini, scrittore e attualmente Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo; Linda Giuva, archivista e docente universitaria; Roberto Ippolito, giornalista e scrittore; Massimo Lugli, giornalista e scrittore; Lisa Roscioni, storica e saggista; Rossana Rummo, direttore generale per le biblioteche, gli istituti culturali ed il diritto d’autore del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; Benedetta Tobagi, giornalista, scrittrice e consigliere di amministrazione della Rai; Monique Veaute, giornalista, presidente della Fondazione Romaeuropa.

Come di consueto l’11 Aprile il Comitato direttivo del Premio, presieduto da Tullio De Mauro, selezionerà tra le ventisette proposte degli “Amici” i dodici libri che andranno avanti nella selezione fino alla proclamazione del vincitore del Premio Strega 2014. Oltre a Tullio De Mauro, a Valeria Della Valle (rispettivamente presidente e consigliera della Fondazione Bellonci) ad Alberto Foschini e  a Giuseppe D’Avino (presidente e amministratore delegato di Strega Alberti spa), al comitato direttivo si aggiungono: gli scrittori vincitori del Premio Strega Paolo Giordano, Melania G. Mazzucco, Edoardo Nesi, Simonetta Fiori, il giornalista Enzo Golino e lo storico della lingua Luca Serianni. In questa nuova composizione il comitato resterà in carica per il triennio 2014-2016.

Quest’anno i dodici finalisti si contenderanno il Premio Strega Giovani, novità assoluta; una giuria di circa quattrocento ragazze e ragazzi, di età compresa tra i 16 e i 18 anni, in rappresentanza di licei e istituti diffusi su tutto il territorio italiano e all’estero (tra cui Berlino, Bucarest e Parigi) potranno esprimere la loro preferenza e determinare il vincitore di questo nuovo titolo.

I ventisetti libri presentati sono:

1. Intanto anche dicembre è passato ed. Baldini&Castoldi di Fulvio Abbate; presentato da Michele Mari e Massimo Onofri.

2. Oltre le Colonne d’Ercole  ed. Book Sprint di Lorenzo Bracco e Dario Voltolini; presentato da Daria Bignardi e Paolo Di Stefano.

3. Match nullo ed. Cavallo di Ferro di Luca Canali; presentato da Roberto Pazzi e Paolo Ruffilli

4. Non dirmi che hai paura ed. Feltrinelli di Giuseppe Catozzella; presentato da Giovanna Botteri e Roberto Saviano.

5. Lisario o il piacere infinto delle donne ed. Mondadori di Antonella Cilento; presentato da Nadia Fusini e Giuseppe Montesano.

6. Il mantello di porpora ed. La Lepre di Luigi De Pascalis; Presentato da Filippo La Porta e Claudio Strinati.

7. Il paese senza nome Ed. Carabba di Lucianna Di Lello; presentato da Vittorio Avanzini e Ludovico Gatto.

8. C’è posto tra gli indiani ed. Perrone di Alessio Dimartino; presentato da Antonio Augenti e Elena Clementelli.

9. Bella mia ed. Elliot di Donatella Di Pietrantonio; presentato da Antonio Debenedetti e Maria Ida Gaeta.

10. Publisher ed. Fazi di Alice Di Stefano; presentato da Giuseppe Conte e Francesca Pansa.

11. Riscatto ed. Libroteca Paoline di Melo Freni; presentato da Giampaolo Rugarli e Giovanni Russo.

12. Una storia ed. Coconino Press di Gipi; presentato da Nicola Lagioia e Sandro Veronesi.

13. To Jest Edizioni il Foglio di Fabio Izzo; presentato da Predrag Matvejević ed Elisabella Kelescian.

14. Calcio e acciaio ed. Acar di Gordiano Lupi; presentato da Marcello Rotili e Wilson Saba.

15. Viaggiatori di nuvole ed. Marsilio di Giuseppe Lupo; Presentato da Salvatore Silvano Nigro e Sebastiano Vassalli.

16. Come fossi solo ed. Giunti di Marco Magini; presentato da Maria Rosa Cutrufelli e Piero Gelli.

17. Ganymede e la notte dei cristalli ed. Biblioteca dei Leoni di Franco Massari; presentato da Giorgio Bàrberi Squarotti e Luciano Luisi.

18. Oltre il vasto oceano ed. Avagliano) di Beatrice Monroy; presentato da Renato Besana e Corrado Calabrò.

19. Nella casa di vetro ed. Gaffi di Giuseppe Munforte; presentato da Arnaldo Colasanti e Massimo Raffaeli.

20. La mia ora di vento ed. Il Papavero di Gerardo Pepe; presentato da Piero Mastroberardino e Cesare Milanese.

21. La terra del sacerdote ed. Neri Pozza di Paolo Piccirillo; presentato da Valeria Parrella e Romana Petri.

22. La vita in tempo di pace ed. Ponte alle Grazie di Francesco Pecoraro; presentato da Giuseppe Antonelli e Gabriele Pedullà.

23. Il desiderio di essere come tutti ed. Einaudi di Francesco Piccolo; presentato da Paolo Sorrentino e Domenico Starnone.

24. Storia umana e inumana ed. Bompiani di Giorgio Pressburger; presentato da Gianfranco De Bosio e Sergio Givone.

25. Venga pure la fine ed. e/o di Roberto Riccardi; presentato da Francesco Guccini e Giuseppe Leonelli.

26. Ovunque, proteggici ed. nottetempo di Elisa Ruotolo; presentato da Marcello Fois e Dacia Maraini.

27. Il padre infedele ed. Bompiani di Antonio Scurati; presentato da Umberto Eco e Walter Siti.

Non resta che augurare buona fortuna a tutti e aspettare l’11 Aprile per la prima selezione. La prima votazione per definire la cinquina dei finalisti avrà invece luogo l’ 11 Giugno in casa Bellonci, così come tradizione vuole. La seconda votazione e la proclamazione del vincitore avverranno il 3 Luglio in Villa Giulia.

Intanto, buona lettura!

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