L’ONU ci salverà dal razzismo dilagante in Italia!

10 settembre 2018: ci siamo risvegliati in un paese razzista. Invano La Repubblica e il Corrierone ci avevano messo in guardia dal nefasto ritorno agli anni Trenta; inutili gli appelli dell’Opposizione democratica, dei grandi media e delle ong contro il Governo gialloverde e fascistissimo. Siamo stati ciechi, sordi agli accorati avvertimenti di questi profeti novelli: il ducetto Salvini è andato a risvegliare nell’inconscio di noi italiani tutti i nostri più orrendi e reconditi sentimenti d’odio razziale. Satana ha vinto, siamo peccatori. Non ci resta che aspettare il Messia per la nostra redenzione. Ed ecco che nell’alto dei cieli dell’ONU arrivano le urla imploranti dei profeti, tanto fischiati e disprezzati dal popolino ignorante che si lascia incantare dal demonio, e ci si accorge finalmente di questa Italietta sporca, sudicia e razzista. Così Michelle Bachelet la Misericordiosa, Alto commissario Onu per i diritti umani, ha dato il lieto annuncio della venuta degli Arcangeli dal casco blu: «Abbiamo intenzione di inviare personale in Italia per valutare il riferito forte incremento di atti di violenza e di razzismo contro migranti, persone di discendenza africana e Rom».

È tutto perfetto: è il frame dei più buoni. Un – fintissimo ed ipocrita – umanitarismo sfrenato per andare a incipriare un discorso prettamente politico: «Il Governo italiano ha negato l’ingresso di navi di soccorso delle Ong. Questo tipo di atteggiamento politico e di altri sviluppi recenti hanno conseguenze devastanti per molte persone già vulnerabili […] Anche se il numero dei migranti che attraversano il Mediterraneo è diminuito, il tasso di mortalità per coloro che compiono la traversata è risultato nei primi sei mesi dell’anno ancora più elevato rispetto al passato».

Sono le scelte del governo in politica migratoria a non andare bene; i no agli scafisti e alle Ong; quello della Bachelet è solo l’ennesimo avvertimento. Per questo l’Italia viene accusata ingiustamente di razzismo: un intero popolo viene omologato a fatti di cronaca a sfondo – talvolta presunto – razzista, che sono ben presenti, ma vengono amplificati e sfruttati ad arte dai media per creare inutili allarmismi, attaccare il governo e, soprattutto, il vicepremier Matteo Salvini. Quello della Bachelet altro non è che l’ennesima interferenza, l’ennesimo sprezzante giudizio sulle politiche salviniane; poco importa se, come replicato dalla Farnesina, «si riscontra una riduzione del 52% delle vittime di naufragi nel Mediterraneo, dall’inizio del 2018, rispetto allo stesso periodo del 2017. […] E che i nostri sforzi, umanitari, politici, diplomatici, finanziari, materiali, abbiano determinato la contrazione dell’80% degli sbarchi di migranti sulle coste italiane e dunque, europee, negli ultimi 12 mesi». Poco importa se le forze dell’ordine smentiscano l’allarme razzismo: l’Italia è all’improvviso diventata razzista e i caschi blu ci devono salvare.

 

Alessandra Vio

La Magistratura migrante da riformare, e l’inchiesta contro Salvini

Un’inchiesta da manuale, quella del procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio. Secondo la migliore tradizione italiana. Leggasi infatti: inchiesta dai risvolti politici. Anzi, politicissimi. La vicenda ha inizio dopo Ferragosto, quando un’imbarcazione carica di extracomunitari viene intercettata dalla Squadra marittima delle Forze armate di Malta in acque maltesi. La nave, proveniente dalla Libia, non corre il rischio di affondare e perciò viene rimbalzata dalle faine isolane. Lasciata al proprio destino in mezzo al mare, è lì che viene rinvenuta dal pattuglia-barconi Diciotti, unità della Guardia costiera italiana. Alla richiesta di individuare un porto sicuro dove poter far sbarcare gli immigrati, La Valletta risponde niet. Tradotto: li avete salvati voi, ve li tenete voi. Da far invidia a Ponzio Pilato. E in barba al fatto che si trovassero nell’area Sar dell’isola, di competenza maltese.

A quel punto, la Diciotti ha fatto rotta verso Catania. Certo, quegli extracomunitari potevano finire a mollo a causa della negligenza di Malta, ma i magistrati non metteranno mai sotto accusa l’isoletta di Muscat. Perché, per i magistrati, Matteo Salvini è preda molto più ambita. È infatti notizia di sabato scorso che il procuratore capo Luigi Patronaggio, accompagnato dal procuratore aggiunto Salvatore Vella, si è recato a Roma per ascoltare i dirigenti del servizio Libertà civili del Viminale e alcuni funzionari della Guardia costiera. Il tutto dopo aver aperto un fascicolo per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio a carico del Ministro dell’Interno, reo di aver impedito lo sbarco degli immigrati dal pattugliatore Diciotti. Fascicolo aperto evidentemente non sulla base di sole valutazioni penali, date le personali vedute del procuratore, il quale ritiene, come riporta Il Giornale, che si debba fare i conti col fenomeno immigratorio tenendo a mente che “si tratta di persone costrette a lasciare con dolore terra e affetti, a fuggire da guerra e miseria.”

E non importa se non è vero che la maggior parte degli extracomunitari fugge dalla guerra e che è contro la legge non rimpatriare coloro che non hanno diritto a rimanere in Italia. Perché l’unica cosa importante, per certi apparati dello Stato, sembra esser quella di far naufragare l’esecutivo giallo-verde, in anticipo persino rispetto al paventato attacco dei mercati. E mettendo nel mirino l’uomo forte dell’esecutivo, colpevole soltanto di voler far rispettare la legge, ovviamente con l’appoggio morale del popolo degli arancini, appendice portuale dell’annaspante Partito Democratico, che nemmeno si è presentato in tutti i suoi ranghi per i funerali di Stato a Genova. Senza però farsi sfuggire la passerella catanese: ecco le priorità di una compagine politica ormai allo sfascio. Di una compagine politica che non ha compreso (o che ha volontariamente ignorato?) le cause e le implicazioni dell’attuale fenomeno immigratorio, parte di una strategia che mira a privare di coesione il sistema socio-politico italiano con un obiettivo ben preciso: appropriarsi del nostro capitale.

Lo spiega anche la Prof.ssa Greenhill nel suo libro Armi di migrazione di massa. Quante figuracce avrebbero evitato le anime belle del Nazareno, se solo l’avessero letto! Quel che è certo è che con avversari simili Salvini può permettersi qualunque cosa. Anche vincere quando sembra perdere. Infatti, nonostante i suoi limiti in materia di geopolitica, continuerà a mietere consensi. Soprattutto se continueranno a piovere inchieste ad hoc.

Claudio Davini

Maturità 2018: la versione di greco al liceo classico e i commenti grossolani degli eruditi radical chic: Aristotele non è un modello di integrazione

La versione di Aristotele? E’ davvero un’ottima scelta, perché è stata pensata per fare un dispetto al pessimo ministro dell’Interno che attualmente abbiamo. Ruota intorno al concetto che è l’amicizia con gli altri che tiene in piedi le città, Aristotele è un uomo che la sapeva lunga. Bravi al ministero, hanno scelto un brano che dà inizio alla Resistenza contro il nuovo fascismo. (fonte ANSA).

Questo il commento di Luciano Canfora al testo della versione di maturità classica di quest’anno, un brano dell’Etica Nicomachea di Aristotele. Eppure non serve essere né filologi classici né storici dell’antichità per rimanere perplessi di fronte ad un’ affermazione come questa. Precisiamo quindi un piccolo e insignificante dettaglio trascurato da Canfora: “l’amicizia che tiene in piedi le città” – si badi bene: non solo nel pensiero di Aristotele, ma nell’humus generale della cultura greca antica fino almeno all’Ellenismo – è quella tra cittadini, ossia individui di sesso maschile, adulti e formati dalla polis, che addirittura, con la Legge sulla cittadinanza di Pericle (451/450 a.C.) dovevano avere entrambi i genitori ateniesi. Tutti gli altri – meteci, figli illegittimi, donne, stranieri di passaggio, schiavi) erano in condizione di inferiorità; potremmo dire, con Orwell, che nella polis tutti gli uomini sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri, con quel che ne consegue in termini di diritti. I barbari (xenoi barbaroi) è persino superfluo nominarli: Aristotele con un non-greco che non conoscesse la sua lingua non ci avrebbe mai nemmeno parlato.

Detto ciò, possiamo alternativamente imputare a Canfora o una disarmante ignoranza – ma, dato il curriculum studiorum e le numerose pubblicazioni in materia di storia greca,  sembra decisamente poco plausibile – o un’altrettanto disarmante malafede. Perché va bene, professore, che entrambi i suoi genitori fossero in prima linea a militare contro il fascismo e che lei voglia calcare le loro orme: il pensiero politico di un individuo è faccenda personale che non può essere messa in discussione. Quello che invece deve essere messo in discussione è il fatto che un intellettuale del suo calibro cada in un errore storico così grossolano per portare acqua ad un mulino, che di questi tempi è, peraltro, già strabordante di suo e, mi creda, non ha bisogno del suo intervento. Lei che, da insegnante, in classe insegnerà sicuramente a non manipolare la storia, a non giudicarla, a non cadere in beceri anacronismi, a non prestarsi a mistificanti riletture ideologiche, lei, un esimio professore, si mette sotto i piedi tutta la sua onestà intellettuale e ci suggerisce, surrettiziamente, che Aristotele fosse un teorico dell’integrazione del mondo antico, addirittura modello per noi contemporanei.

Se volessimo fare come lei, professore, utilizzando indebitamente, a nostro uso e consumo, l’autorità di un filosofo come Aristotele per leggere e interpretare meccanicamente il presente, allora le diremmo che contro questi barbaroi (i migranti), che parlano una lingua incomprensibile, che vengono da paesi caldi, che non conoscono la democrazia e che invadono senza permesso le nostre coste, noi dovremmo organizzare una terza guerra persiana.

 

Claudia Stanghellini

Lo sgombero di Roma in Piazza Indipendenza: un’operazione giusta con buona pace della becera indignazione dei perbenisti e radical chic

Lo scorso 24 agosto a Roma, in Piazza Indipendenza, la polizia ha eseguito la sentenza di sgombero di uno stabile di proprietà privata, che era stato occupato da anni da centinaia di immigrati, quasi tutti regolari. Come al solito il Paese, sia i suoi rappresentanti ai diversi livelli istituzionali e non, sia l’opinione pubblica, si sono divisi, divisione accentuata dalla modalità di tale sgombero.
E’ il caso non solo di partire dai fatti, ma anche di finirci, e solo allora maturare un giudizio.

I fatti sono i seguenti: in Italia vige il diritto italiano. Questo vuol dire che tale diritto, al contrario di quanto pensano alcuni, sia di estrema destra che di estrema sinistra, ma soprattutto di estrema stupidità, è italiano non perché riguarda gli italiani, ma perché riguarda tutti coloro che si trovano sul territorio italiano. Dunque anche gli immigrati regolari. Questi ultimi sono pertanto persone con dei diritti e dei doveri, entrambi, non solo diritti, né solo doveri.
Immigrato regolare, nel caso in questione rifugiato, cioè immigrato riconosciuto come proveniente da un Paese (nel caso Eritrea) in cui la sua vita era in pericolo, ha diritto giuridico, cioè riconosciuto dalla legge (differente dal diritto umano in generale), di avere ospitalità, residenza e alloggio. Ovviamente ha anche i doveri connessi alla sua permanenza nel nostro territorio. Nel caso in questione tali migranti regolari non hanno ricevuto un alloggio, pur essendogli riconosciuto.

Nel nostro territorio, sia per gli italiani che per gli stranieri (regolari o meno che siano), l’occupazione di una qualsiasi proprietà privata è un reato. Occupazione di proprietà privata vuol dire che a casa mia o vostra qualcuno entra con la forza (qualsiasi violazione di domicilio in quanto tale è forzosa, anche se la porta è lasciata aperta per incuria dal proprietario) e ci vive. Non conta che tipo di difficoltà spingano l’occupante ad agire così, resta il fatto che qualcosa di mio, che la legge riconosce come mio, viene rubato da un estraneo, che si giustifica con le proprie difficoltà. Cioè viola il mio domicilio e ruba il mio spazio: è un furto, così si chiama. Al danno come al solito si unisce la beffa, perché il privato in questo caso ha continuato a pagare le bollette di coloro che illegalmente e ingiustamente occupavano la sua proprietà, e ha perso sia i soldi dell’investimento lavorativo che lì voleva attuare, che i posti di lavoro che ne sarebbe conseguiti.

Il privato ricorre alla giustizia dei tribunali, che gli dà ragione: la proprietà è un diritto inalienabile, va ripristinata la proprietà del privato. Tradotto, il palazzo va sgombrato dai migranti.
Siamo in Italia, questo a quanto pare significa che una sentenza venga applicato dopo qualche anno. Cioè qualche giorno fa, nel 2017!

Lo sgombero, a detta di alcuni commenti, è stato eccessivamente violento. Qui si devono sottolineare alcuni impliciti. La violenza di base sta nell’occupazione illegale (cioè, come si diceva su, avvenuta con la forza) del palazzo. Altra violenza ancora sta nell’ammissione del comune di Roma che gli abusivi impedivano anche l’accesso ai funzionari del comune stesso per un censimento e un rapporto sulla situazione. In un tale contesto lo sgombero si attua di fatto con la forza, proprio perché è una risposta a persone che si sono imposte con la forza e che quindi presumibilmente non vogliono andarsene di propria spontanea volontà. E’ plausibile ritenere che se gli abusivi avessero obbedito immediatamente allo sgombero (perché sì, assurdamente, alla legge si obbedisce) le forze dell’ordine non avrebbero dovuto agire coattamente. Gli idranti, i manganelli e i gas lacrimogeni sono usati per spostare persone che la magistratura e la legge avevano stabilito che se ne dovessero andare e che invece facevano resistenza con sassi e bottiglie. A questo punto si inseriscono una mancanza e due episodi in particolare, che hanno suscitato scalpore nei differenti schieramenti.

La mancanza è la più grave di tutte: pare che tale sgombero fosse stato programmato senza che la politica trovasse immediatamente alloggi alternativi, rendendo più comprensibile lo spaesamento dei rifugiati e quindi la loro, pur illegale, modalità di resistenza. Alcune soluzioni stanno emergendo, due delle quali sembrano essere la disponibilità di alcune villette in provincia di Rieti, a 80 km circa da Roma, e le abitazioni sequestrate alla mafia (quindi presumibilmente dislocate soprattutto nel sud Italia). A queste possibili soluzioni i rifugiati pare abbiano risposto inizialmente, almeno stando alla interviste, con un rifiuto. Ora, lo stato dovrebbe garantire al rifugiato un alloggio, non anche la località che lui preferisce. Rieti non piace, peggio per loro: l’ospitalità, per quanto garantita dalla legge, non può permettere di diventare lo sfruttamento dei fessi. Si accampano scuse del tipo che da Rieti è difficile raggiungere Roma, o che le scuole ormai erano vicine a dove loro vivevano illegalmente. Certo, ma le scuole esistono anche a Rieti e nel sud Italia, mentre i posti di lavoro eventualmente ormai presenti a Roma, vanno, qui si deve dire purtroppo, messi in discussione, cercando di mantenere l’immigrato nel suo posto di lavoro, ma se esso confligge con la disponibilità di un alloggio, purtroppo, si ripete, l’immigrato dovrà spostarsi e cercare altro lavoro. La repubblica italiana deve garantire dunque i diritti spirituali della persona e quelli materiali, ma tra quelli materiali non esiste il diritto di vivere per forza a Roma, né il diritto di lavorare lì, invece che in altro posto, o il diritto di andare a scuola lì, piuttosto che altrove. Questi non sono diritti, ma desideri, sta alla politica decidere se soddisfarli, ma non ha il dovere di farlo, poiché non sono diritti, ma possibilità.

Il primo episodio grave invece è stato quello del funzionario di polizia che pronuncia queste parole (che chissà quante volta avrà pronunciato parole simili ad un suo connazionale): “Se non obbediscono spezzagli un braccio”. La giustificazione dello stesso è stata poi che era un frase in libertà, che non avrebbe dovuto pronunciare, mentre chi lo difende in generale afferma che in quelle situazioni come in altre lavorative, seppur differenti, escono molte frasi che esprimono più la tensione, che l’intenzione. Comprensibilissimo, ma non sufficiente. Perché? Si confrontino le due situazioni: un cittadino normale arrabbiato per il traffico, dunque in tensione, urla un romanesco “mo (adesso) t’ammazzo” ad un altro autista; seconda situazione, quella in questione: un funzionario che comanda alcuni poliziotti ordina di dover spezzare il braccio ai resistenti. La differenza è evidente: il primo non ha per legge il monopolio della forza, non ha armi con sé, non ha nessuno a cui può dare ordini, la sua è dunque una frase, terribile certo, ma priva dei mezzi, a meno che non sia un assassino, per divenire reale, la seconda frase, quella del funzionario di polizia, non è più una frase, ma un ordine nel momento stesso in cui i suoi uomini lo ascoltano, nel momento in cui la pronuncia in servizio, durante un’operazione, nel momento in cui il suo lavoro prevede, a differenza del cittadino, un addestramento alla tensione, che dovrebbe evitare che il monopolio della forza diventi un abuso della forza. Dunque l’immigrato se avesse sentito tale frase, avrebbe avuto ragione di temerne la possibile traduzione nella realtà. Tale funzionario va sanzionato, perché per lui la violazione del diritto è addirittura più grave che la violenza del privato cittadino. Inoltre ci si sta fossilizzando su questa frase e non si è rivolta l’attenzione, ad esempio, al poliziotto che invece va a confortare una donna.

Il secondo episodio è il famoso lancio della bombola vuota di gas da parte di un rifugiato dal balcone del palazzo, mentre in piazza c’era la polizia. E’ stato accertato che non è stato lanciato addosso alla polizia, dunque per ferire od uccidere, ma come monito a non avvicinarsi, dunque una minaccia di violenza, più che una violenza. Questo non toglie che sia grave ugualmente. Gravissimo. Chiunque di noi usasse oggetti più o meno pesanti per esprimere una minaccia ad un poliziotto che sta agendo in nome della legge, commetterebbe un reato, le intenzioni non lo giustificano: l’atto, pur fermo al gesto simbolico e non pericoloso, rimane un atto ostile alle forze di polizia. Un reato.
Dunque, come ad ogni manifestazione, va tristemente constatato che se un reato, come lancio di oggetti contro un poliziotto, o insulti a pubblico ufficiale etc… lo si commette singolarmente, è reato, se lo commettono in tanti si chiama manifestazione, resistenza, diritto alla casa, disobbedienza civile, etc… La massa però non crea diritti, né all’occupazione abusiva, né alla violenza.

Nel ’68 Pasolini difendeva i poliziotti, veri proletari, dagli studenti che facevano le barricate, per la maggior parte figli di papà che giocavano a fare i rivoluzionari per noia. Purtroppo a distanza di cinquant’anni non è cambiato nulla. E Pasolini aveva ragione da vendere. Fra di loro c’è Mario Capanna, rivoluzionario di quegli anni che oggi difende a spada tratta i vitalizi. Oppure pensiamo al sovversivo Francesco Caruso, che è passato dalla barricate alla cattedra universitaria a Catanzaro. Il che è tutto dire. E guardacaso è abbastanza palese una certa contiguità tra alcune ONG, associazioni, convegni, premi giornalistici, finanziamenti… Solitamente chi difende a prescindere i migranti ed è per l’accoglienza senza se e senza ma, non vive i problemi quotidiani dei cittadini che sono a contatto con i migranti ed è per l’abolizione della proprietà privata e delle frontiere, idee criminogene.

Si può allora dire che c’è un colpevole solo e più vittime. Il colpevole è la politica, lo stato, che avrebbe dovuto impedire il crearsi di una tale situazione e non l’ha fatto, costringendo il diritto della legge a scontrarsi con il diritto alla casa dei rifugiati. Eschilo diceva che il diritto lotta contro il diritto, se si riferiva alla politica, si sbagliava. In una democrazia il diritto evita i conflitti, non entra in conflitto, la democrazia è (dovrebbe essere) armonia di interessi, interessi che esprimono dei diritti. Se la democrazia smette di tessere l’ordito, di essere sarta di tutti i fili, come direbbe Platone nel Politico, allora fa emergere l’anarchia, e tra democrazia e anarchia c’è e ci sarà sempre contraddizione.

Infine, se è vero che non ci può essere accoglienza vera senza sufficienti risorse – perché sì, l’accoglienza è una scelta morale, ma una scelta morale senza mezzi per farla come si deve diventa scelta immorale, cecità sulle conseguenze – è però altrettanto vero che in uno stato in cui il diritto lotta contro il diritto, la solidarietà non sarà mai possibile, perché costringe alla lotta, invece che al compromesso, costringe il vinto ad una sopravvivenza illegale e il vincitore ad un abuso, seppur legale. Se gli italiani vogliono rimanere persone morali, devono costruire insieme una democrazia dove non esista questa contraddizione, che non vuol dire accogliere tutti o nessuno, ma accogliere umanamente. Come sempre, la sfida di diventare veramente esseri umani ci ritorna addosso.

Renzi scafista

L’ex ministro Bonino in una recentissima intervista rilasciata al giornale locale di Brescia ha ammesso che fu il governo Renzi a stringere accordi perché gli sbarchi di profughi, richiedenti asilo e migranti avvenissero tutti in Italia, anche a costo di scavalcare le disposizioni internazionali sancite a Dublino.

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