Le scintille di Alma, edito da Arkadia Editore, Collana Eclypse è il romanzo d’esordio dell’autrice meneghina Elena Zucchi
Elena Zucchi vive a Milano, dove è nata nel 1967. Laureata in Lettere Moderne presso l’Università Cattolica di Milano, ha poi conseguito un dottorato di ricerca in Psicologia presso l’Università degli Studi di Genova. Iscritta all’albo degli psicologi della Lombardia, è specializzata in metodologie innovative di formazione manageriale e sviluppo di persone e organizzazioni, certificata come istruttore di protocolli di Mindfulness, e coach. È cofondatrice e partner di SeStante dove gestisce e coordina progetti per aziende e team di lavoro.
Dal 2001 insegna presso la Facoltà di Scienze e Tecniche Psicologiche dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.
Autrice di diversi articoli sul tema dello sviluppo del potenziale individuale e manageriale, ha pubblicato come coautrice i libri: Oltre il potenziale(Franco Angeli, 2007) e La forza di crescere (Franco Angeli, 2014); ha curato il volume: Il colloquio e l’intervista. Parlare con le persone nelle organizzazioni (Franco Angeli, 2008).
È stata tra i cinque vincitori del premio Letterario Straparola (classifica e premiazioni 26 settembre 2020).
Le scintille di Alma: sinossi
Si tratta di un romanzo psicologico, che mette al centro proprio la ricerca della propria autenticità. Parte della storia è ambientata nel quartiere Isola di una, trafelata ed enigmatica, Milano di cui vengono descritte la complessa evoluzione e le diverse “anime” che la caratterizzano oggi.
Alma ha trascorso gran parte del pomeriggio a incontrare i tesisti.
Tempo rubato alla ricerca e alla scrittura degli articoli. Ma non può
sottrarsi. Il professor Morganti, per il decimo anno di fila, è risultato il docente che ha laureato più studenti della facoltà. La cosa è
risaputa e alla porta del suo studio c’è sempre un pellegrinaggio di
anime alla ricerca della grazia, la tesi assegnata. Lui accetta tutti e
poi li smista tra i collaboratori, come un vigile con il fischietto a un
incrocio affollato.
Giacomo è stato l’ultimo studente del ricevimento. Per i casi difficili Morganti ha un’inclinazione speciale: li attira a sé come la calamita il ferro. Giacomo è tra quelli che il professore arruola a lezione, gli ronzano intorno per mesi o anni, e poi finiscono per fare la tesi nel loro gruppo.
Alma Boselli è una trentacinquenne di origini nobili, ricercatrice di Economia Aziendale in una prestigiosa università milanese. Segnata da un profondo dramma infantile, la misteriosa morte della madre, è insicura e incapace di relazioni profonde. L’incontro con Marzio, anche lui con un’infanzia difficile, si trasforma in un rapporto intenso ma irto di ostacoli. La sfuggente sensualità dell’uomo porta ben presto Alma a rivivere il trauma dell’abbandono della mamma e a trasformare il sentimento in una sorta di ossessione. Il tutto mentre anche nell’ambiente professionale le acque si fanno sempre più agitate. Ed è proprio nel momento in cui il suo equilibrio vacilla che la giovane conosce un gruppo di persone molto particolari, grazie alle quali cerca di riprendere in mano il timone della propria vita. Con l’aiuto di Pedro, un giornalista argentino che si invaghisce di lei, Alma scoprirà la verità. Sulla morte della madre, sui segreti che Marzio nasconde, ma anche su se stessa.
Già autrice di diversi articoli sul tema dello sviluppo del potenziale individuale e manageriale, coautrice in passato di libri e tra i cinque vincitori del premio Letterario Straparola nel 2020, in queste pagine ci racconta di una donna tormentata dal conflitto fra la ricerca dell’amore e lo scioglimento di un nodo decisivo del proprio passato, relativo alla morte misteriosa della mamma. Con l’aiuto di un giornalista argentino, la protagonista si cimenta in un’indagine che esiterà nella scoperta della verità. Sulla morte della madre, sui segreti che l’uomo sfuggente di cui è innamorata nasconde, ma anche su sé stessa.
La storia si sviluppa attraverso tre linee conflittuali parallele: familiare, sentimentale e professionale ed esita nella scoperta della verità da parte di Alma. Si conclude con un sogno che rappresenta la possibilità per Alma di liberarsi dal passato e aprirsi a un nuovo futuro, sentimentale ed esistenziale.
“Per lavoro mi occupo di crescita personale, come psicologa e coach incontro tante vite e tante storie– ha dichiarato l’autrice Elena Zucchi. Negli anni ho pubblicato diversi articoli e qualche libro sull’approccio che utilizzo e sulle mie esperienze professionali. A un certo punto è sorto in me il desiderio che tutto questo prezioso “materiale” potesse farsi narrativa, raccontando una storia il cui fulcro fosse proprio la ricerca della autenticità personale. Alma, la donna protagonista del mio romanzo, ha imparato a convivere con la sua ferita, che risale alla morte misteriosa della mamma quando era bambina. Alcuni fatti del presente, in particolare l’incontro con un uomo affascinante e sfuggente, ne fanno saltare la sutura. Questo per me è uno dei cuori del libro: cosa fa la donna con la sua ferita riaperta e dolorante è il dispositivo drammatico della storia. Inizia un viaggio di ricerca e scoperta che esita nella scoperta della verità sulla morte della madre, sui segreti che l’uomo di cui si è innamorata nasconde, ma anche su sé stessa”.
Negli anni sessanta Milano è già “la capitale morale” e la “capitale sanitaria” del paese. Milano fa scuola nell’economia, nella cultura, nella moda, nella pubblicità, nel design.
Milano tra gli anni ’60 e ’70
La città nella storia dell’Italia è riuscita sempre ad avere un ruolo prioritario in qualsiasi ambito: dall’eroismo delle cinque giornate alla lotta partigiana. Anche il 1968 vede Milano protagonista. Nel gennaio di quell’anno vengono occupate alla Statale le facoltà di Lettere, Legge e Scienze.
A marzo avvengono gli scontri di Largo Gemelli tra studenti e poliziotti. Ad aprile un centinaio di artisti occupa la Triennale. A giugno gli studenti contestatori attaccano la sede del Corriere della sera. A dicembre la contestazione degli studenti alla Scala: uova e cachi lanciati contro signori in smoking e signore impellicciate. Questi sono gli avvenimenti salienti del 1968 milanese. Ma nessun trionfalismo perché il peggio deve ancora venire.
Il 12 Dicembre 1969 proprio a Milano inizia la strategia della tensione: 16 morti e 90 feriti nella strage di piazza Fontana. Milano in quegli anni ha soprattutto il volto di una città operosa e ricca. Non tutti però riescono a raggiungere il benessere. Molti sono costretti alla “vita agra” descritta dallo scrittore Luciano Bianciardi.
La strategia del terrore
All’epoca si registra una massiccia migrazione interna. Torino e Milano sono le destinazioni di molti uomini del Sud, che partono con la valigia di cartone legata con lo spago, alla ricerca di lavoro. Giungono a Milano e subito si sentono spaesati e soffocati dalle coperture a tettoia della stazione centrale.
Milano come Torino ha bisogno di questi lavoratori, ma riesce a stento ad offrire loro un alloggio adeguato: nascono di conseguenza anche delle abitazioni abusive, quelle che verranno battezzate dai milanesi le coree. Milano non è solo vetrine sgargianti, capitani di industria, direttori di giornali, conversazioni da salotto dell’alta borghesia e benessere; è anche asfalto, cemento, traffico, stress, freddo e nebbia. A Milano ci si può perdere nel reticolo di strade del centro, ma anche nelle vie anonime dei quartieri di periferia.
Milano è una moltitudine di volti, una massa di pendolari e di gente che va di fretta. Negli anni settanta Milano era già una “città che sale”, come dicevano i milanesi: erano già stati costruiti il Pirellone e la torre Velasca. Palazzi e grattacieli spuntavano in ogni zona della città. Molti fanno parte della “gente che corre, che si dibatte, che ti ignora” come testimonierà Luciano Bianciardi. Per questa massa di persone Milano promette e non mantiene, fa sognare e poi risveglia bruscamente.
Milano all’epoca era una metropoli abitata da un milione ed ottocentomila persone. Forse a causa di quella che i sociologi chiamano anomia e/o forse a causa della correlazione tra frustrazione ed aggressività e/o forse a causa della società di massa dal dopoguerra in poi Milano diviene nota anche per i fatti di cronaca nera: delitti, sequestri lampo e rapine a mano armata fanno di Milano anche la capitale italiana del noir.
Il lato oscuro di Milano in alcuni romanzi
Giorgio Scerbanenco è il primo scrittore a descrivere magistralmente il lato oscuro di Milano con i suoi gialli: è il primo ad intuire che l’indifferenza, la solitudine e l’apatia possono avere la meglio sulla famosa gioia di vivere milanese. In Cose da bambini (edito da Planet Book) di Toni Brunetti, autore e regista, si sentono gli echi di questi due grandi scrittori.
L’autore rivela una cura certosina del dettaglio, una descrizione minuziosa e mai sciatta dei particolari, che probabilmente richiama Calvino. Però ciò non è un difetto perché Calvino ha influenzato molti ottimi autori, come ad esempio Daniele Del Giudice.
Cose da bambini: un romanzo di formazione che è anche un thriller
In Cose da bambini, ambientato tra il 12 dicembre 1969 e il 31 dicembre 1970, che è al contempo romanzo di formazione e thriller, c’è la periferia violenta di Milano sullo sfondo. Il protagonista vive nel problematico quartiere dell’Anello. Ma siamo davvero certi che quella fosse una Milano minore? Comunque in primo piano c’è la vita del giovanissimo protagonista, Marco di soli 11 anni, sospeso tra il mondo dei cosiddetti pari, con tutti i suoi conflitti come ad esempio la guerra delle clave, e quello familiare, in cui troviamo i contrasti dei genitori e della sorella più grande.
C’è l’evoluzione di Marco, con tutte le sue sensazioni, la sua curiosità, il suo stupore, in una parola sola il suo sguardo partecipe sul mondo. È descritta anche la realtà di un’altra epoca, fatta di cose, oggi ritenute insignificanti, ma che agli occhi del bambino erano importanti, come la cartolina da spedire per fare un provino nell’Inter o i pettegolezzi riguardanti la maestra più bella della scuola. Non ci è dato sapere quanto biografica sia la vicenda narrata.
Forse alcuni episodi ed alcuni personaggi della sua infanzia sono stati trasfigurati in Cose da bambini. La cosa fondamentale è che l’autore l’abbia tratteggiati perché restituiscono uno spaccato di quella Milano, oggi dimenticato o addirittura sconosciuto ai più. E poi leggendo questo libro viene rovesciata la prospettiva: non è che le nuove tecnologie di adesso siano esse stesse davvero insignificanti? Ma Milano ha anche un cuore nero.
Freud e il crimine
Nella metropoli vengono compiuti crimini efferati ed anche nel romanzo una bambina scompare. Un interrogativo interessante, che sorge spontaneo, leggendo questo libro è il seguente: Freud riguardo al periodo di latenza, quello riguardante la preadolescenza, aveva ragione oppure no?
Freud descrive questo periodo quasi come asessuato, ma probabilmente non è così. In quegli anni, come rivela Brunetti, facendo un quadro realistico, molto fuoco cova sotto la cenere. L’erotismo non è rimosso, ma tutto al più un poco inibito.
Inoltre l’autore mette in evidenza acutamente anche il fatto che in quegli anni settanta i bambini crescevano in presa diretta con la realtà, frequentavano la strada, giocavano ad esempio a calcio in strada, cosa che oggi nessuno fa più. Non c’era nessun familiare allora che mediava il mondo di un quartiere difficile.
I bambini allora si lasciava che lo affrontassero da sé. I genitori non erano in genere iperprotettivi. Se due bambini facevano a botte nessuno chiamava il legale di fiducia, ma si diceva che erano cose da ragazzi. Le mamme allora non erano delle chiocce, che difendevano i loro ragazzi dai pericoli del mondo.
Eppure anche allora il mondo era pieno di insidie e minacce a non finire. Erano allora i bambini più immorali o amorali? È molto difficile stabilirlo. Di sicuro non vivevano nell’ovatta, in quella che oggi chiameremo comfort zone. Un altro interrogativo sorge spontaneo dalla lettura di queste pagine. Viene da chiedersi se un tempo si maturava più in fretta e se si raggiungeva prima la capacità di intendere e di volere.
L’argomento è controverso, ma la riflessione è più che lecita, anzi doverosa. Altra cosa lodevole è che l’autore ha trovato uno scarto dal senso comune e dal linguaggio convenzionale, un ribaltamento del senso, una parola che indaga, che testimonia l’incredulità di fronte alla brutalità e all’assurdità del mondo.
Dal 10 ottobre la Fabbrica del Vapore a Milano ospita una mostra straordinaria dedicata a Frida Kahlo. Un percorso sensoriale altamente tecnologico e spettacolare che immerge il visitatore nella vita della grande artista messicana, esplorandone la dimensione artistica, umana, spirituale.
Prodotta da Navigare con il Comune di Milano, con la collaborazione del Consolato del Messico di Milano, della Camera di Commercio Italiana in Messico, della Fondazione Leo Matiz, del Banco del Messico, della Galleria messicana Oscar Roman, del Detroit Institute of Arts e del Museo Estudio Diego Rivera y Frida Kahlo, la mostra è curata da Antonio Arèvalo, Alejandra Matiz, Milagros Ancheita e Maria Rosso e rappresenta una occasione unica per entrare negli ambienti dove la pittrice visse, per capire, attraverso i suoi scritti e la riproduzione delle sue opere, la sua poetica e il fondamentale rapporto con Diego Rivera, per vivere, attraverso i suoi abiti e i suoi oggetti, la sua quotidianità e gli elementi della cultura popolare tanto cari all’artista.
La mostra, dopo una spettacolare sezione multimediale con immagini animate e una avvincente cronistoria raccontata attraverso le date che hanno segnato le vicende personali e artistiche della pittrice, entra nel vivo con la riproduzione minuziosa dei tre ambienti più vissuti da Frida a Casa Azul, la celebre magione messicana costruita in stile francese da Guillermo Kahlo nel 1904 e meta di turisti e appassionati da tutto il mondo: la camera da letto, lo studio realizzato nel 1946 al secondo piano e il giardino.
Segue la sezione I colori dell’anima, curata da Alejandra Matiz, direttrice della Fondazione Leo Matiz di Bogotà, con i magnifici ritratti fotografici di Frida realizzati dal celebre fotografo colombiano Leonet Matiz Espinoza (1917-1988). Matiz, considerato uno dei più grandi fotografi del Novecento, immortala Frida in spazi di quotidianità: il quartiere, la casa e il giardino, lo studio.
Al piano superiore la mostra prosegue con una sezione dedicata a Diego Rivera: qui troviamo proiettate le lettere più evocative che Frida scrisse al marito. E una stanza dedicata alla cultura e all’arte popolare in Messico, che tanta influenza ebbero sulla vita di Frida, trattate su grandi pannelli grafici dove se ne raccontano le origini, le rivoluzioni, l’iconografia, gli elementi dell’artigianato: gioielli, ceramiche, giocattoli. Esposti alcuni esempi mirabili di collane, orecchini, anelli e ornamenti propri della tradizione che hanno impreziosito l’abbigliamento di Frida. Nella sezione seguente sono esposti gli abiti della tradizione messicana che hanno ispirato ed influenzato i modelli usati dalla Kahlo: gonne ampie e coloratissime, scialli e camiciole, copricapo e collane.
Il focus sulla tradizione messicana procede con la sezione dedicata ad alcuni dei più conosciuti murales realizzati da Diego Rivera in varie parti del mondo: saranno proiettati nella loro interezza e in alcuni dettagli i ventisette pannelli murali che compongono il Detroit Industry Murals (Detroit, 1932), il Pan American Unity Mural (San Francisco, 1940) e Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central (Città del Messico).
Nella sezione Frida e il suo doppio sono esposte le riproduzioni in formato modlight di quindici tra i più conosciuti autoritratti che Frida realizzò nel corso della sua carriera artistica, tra cui Autoritratto con collana (1933), Autoritratto con treccia (1941), Autoritratto con scimmie (1945), La colonna spezzata (1944), Il cervo ferito (1946), Diego ed io (1949). Il modlight è una particolare forma di retroilluminazione omogenea, in cui ogni dipinto, precedentemente digitalizzato, viene riprodotto su uno speciale film mantenendo inalterate le dimensioni originali.
A conferma della grande fama globale di cui la pittrice messicana gode, la mostra prosegue con una straordinaria collezione di francobolli, dove Frida è stata effigiata, una raccolta unica con le emissioni di diversi stati.
Il percorso comprende anche l’opera originale di Frida del 1938 Piden Aeroplanos y les dan Alas de Petate – Chiedono aeroplani e gli danno ali di paglia e sei litografie acquerellate originali di Diego Rivera.
Lo spazio finale è riservato alla parte ludica e divertente dell’esposizione: la sala multimediale 10D combina video ad altissima risoluzione, suoni ed effetti speciali ed è una esperienza sensoriale di realtà aumentata molto emozionante, adatta a grandi e piccoli.
È la luce che vuole far la protagonista, vuole diventare un fantasma di scena, vuole parlarci: è la luce che si rivela. I colpi di luce staccano dalla composizione, si ergono in rilievo, strappano un pezzo di verità alla scena e lo rendono immortale, ma è solo un dettaglio, la punta di un diamante. Come i gioielli preziosi, alla fine, le tele di Georges de La Tour , si offrono prismatiche, caleidoscopiche, con gerarchie di luci al dettaglio nel mappare categorie sociali corrispondenti.
La luce ruba la natura del gesto e la svela al mondo; e il pittore francese illumina ogni dettaglio da gran detective dell’anima, della meschinità umana in scene di una cattiveria raccapricciante. I temi di fatto gotici dell’esposizione delle emozioni umane, sottolineano l’inevitabile tenebrosità scabra delle scene; e nel dare questa impostazione, l’artista mostra una compiaciuta soddisfazione nell’esporli di fronte a una luce viva, tridimensionale, e giudice.
Il percorso espositivo della mostra si snoda sui flashes del noir francese classico. È un’umanità giudicata dalla luce. Noi non possiamo farci più niente.
Quello che colpisce dell’allestimento è la provenienza dei prestiti: National Gallery of Art Washington D.C.; J. Paul Getty Museum, Los Angeles; Frick Collection, New York; San Francisco Fine Art Museum; Chrysler Museum, Norfolk e la National Art Gallery, Lviv. E la realtà museale che va in scena è quindi prettamente di ricerca; come di ricerca e indagine è l’impostazione del catalogo col colossale apparato di testi.
Quello di cui stiamo parlando è a conti fatti una mostra, una mostra di opere prevalentemente del de La Tour; una mostra che si tiene a Milano fino al 27 settembre 2020 – ma questa è una mostra particolare.
Doveva di fatto terminare il 7 giugno, ma il disastro COVID19 ne ha impedito il normale e regolare svolgimento e le date sono slittate tutte in avanti. Questa per cui è una mostra post lockdown che come tanti eventi altri nel mondo si svolge con determinate regole aggiuntive. E queste sono le norme del distanziamento sociale.
Innanzitutto, quindi, sono spariti tutti i servizi di biglietteria e tutto si svolge online non più on site. Per cui per prenotare l’ingresso, per prendere un biglietto, come nei più consumati musei per evitare la coda, ci si deve registrare su un sito, in questo caso su VivaTicket, e selezionare uno slot di tempo per l’ingresso, impostare un orario di entrata.
Fatto questo ci verrà consegnato o un biglietto elettronico con QR Code da far validare con lettura ottica tramite il telefono o un file da stampare e far validare sempre all’ingresso – ma in ogni caso la procedura è tutta online.
Poi si entra uno alla volta e si sta larghi. La sala contiene meno persone. Ma nel complesso la rappresentazione della streetlife del seicento francese, la stridente bagarre di sensazioni forti dovute al noir quotidiano che impazza su queste tele francesi, rimane un universo di emozioni borderline che non ha trovato ancora pace; e come profughi, ancora maledetti dalle stesse storie, i personaggi delle tele del de La Tour ancora si animano e vagano per le sale di Palazzo Reale in cerca della tridimensionalità di un piccolo raggio di luce per l’eternità.
Ci si deve arrendere a de La Tour. Primo mese di riapertura dell’era covid19 per la mostra a Milano, Palazzo Reale, dal titolo L’Europa della luce, sul pittore francese Georges de La Tour, in linea con Goya e Caravaggio, se non altro, ma con intuizioni e lampi già postmoderni.
La Fondazione Pirellinasce nel 2008 per volere della famiglia Pirelli con l’intento di conservare il patrimonio storico dell’azienda, dalla sua fondazione, nel 1872, ad oggi. Ubicata a Milano, nel cuore del quartiere Bicocca, la sua sede è all’interno dell’Headquarters dell’azienda. Dodici anni di lavoro, 17 membri, tra Consiglio di Amministrazione e staff, per raccontare una storia lunga 148 anni. La Fondazione promuove, in concerto con altre istruzioni culturali, svariate iniziative: progetti editoriali, mostre, eventi, percorsi e visite guidate con lo scopo di valorizzare le attività del Gruppo Pirelli.
Un fiore all’occhiello è senza dubbio l’Archivio Storico, che custodisce oltre 3,5 kilometri tra documenti, fotografie, audiovisivi, disegni, manifesti, pubblicazioni e riveste che ripercorrono tutta la storia dell’azienda dai suoi primi passi. Un ricco e straordinario scrigno di memoria ma al contempo un luogo da cui partire per tramandare l’eredità storica aziendale alle generazioni future. Un testamento visivo, dalla forte potenza comunicativa, che si arricchisce, sempre più, di nuovi materiali grazie ad un lavoro zelante di catalogazione e digitalizzazione. Tutto ciò che l’archivio contiene è stato dichiarato di interesse storico dal Ministero dei Beni Culturali. Il patrimonio archivistico consta anche di significative opere tra cui lo scatto di Luca ComerioL’uscita delle maestranze Pirelli dallo stabilimento di via Ponte Seveso (1905): la fotografia ritrae migliaia di lavoratori all’uscita dal primo stabilimento Pirelli di via Ponte Seveso, che verrà distrutto dai bombardamenti nel corso della seconda guerra mondiale e sulle cui macerie nel 1960 è stato eretto il grattacielo Pirelli. L’immagine è una delle testimonianze fotografiche più significative dell’Archivio Storico aziendale, un ritratto collettivo simbolo dello sviluppo e della solidità dell’azienda.
Unita ad essa la raccolta completa di Pirelli. Rivista d’informazione e di tecnica, pubblicata dal 1948 al 1972, sfogliabile on line sul sito della fondazione.
Per finire il mosaico del dipinto La Ricerca Scientifica (1961) di Renato Guttuso, collocato oggi nella sala consultazioni della Fondazione. L’opera ritrae studiosi in camice bianco in un attento lavoro di ricerca.
Proprio su questo baluardo la Fondazione basa il suo lavoro: le due biblioteche, una Tecnico-Scientifica Pirelli e l’altra della Fondazione stessa, ne sono l’espressione massima,un ambiente fruttuoso di analisi e di studio.
Oltre a Storia, Memoria e Ricerca, a far parte del linguaggio della Fondazione è anche la parola cultura: attraverso Fondazione Pirelli Educational la Fondazione mette in campo interessanti percorsi formativi e didattici gratuiti rivolti agli studenti, della scuola primaria fino agli universitari e ai docenti per accorciare le distanze e diffondere ai più i valori fondanti della cultura d’impresa Pirelli.
Con il Vice Direttore della Fondazione Pirelli, Laura Riboldi, intrapendiamo un viaggio all’interno della Fondazione
La Fondazione propone svariati progetti editoriali, in cosa consistono e perché sono stati messi in campo?
La Fondazione Pirelli è nata 12 anni fa per “custodire la memoria dell’azienda”. Trova infatti collocazione nella sua sede il ricco patrimonio storico-artistico di Pirelli, un archivio di oltre tre chilometri e mezzo di materiali, tra disegni, manifesti, riviste, fotografie, audiovisivi, carte societarie che documentano l’evoluzione di un’azienda, tra i maggiori produttori mondiali di pneumatici, nata quasi 150 anni fa. Mantenere viva la storia di un’impresa significa aiutarla a costruire il futuro. È con questa consapevolezza che ogni anno vengono ideate e promosse molteplici iniziative culturali tra le quali mostre ed esposizioni, seminari, attività didattiche, visite guidate, oltre ai progetti editoriali pensati e curati fino a oggi.
Proprio tra questi ne figura uno, Umanesimo Industriale. Che cos’è e cosa significa umanesimo industriale?
Umanesimo Industriale. Antologia di pensieri, parole, immagini e innovazioni(ed. Mondadori) è il nostro più recente progetto editoriale: un volume che ripercorre la storia della Rivista Pirelli attraverso i grandi autori che sulle sue pagine hanno animato, per oltre vent’anni a partire dal 1948, il dibattito socio-culturale su tematiche molto trasversali, complesse, ma ancora estremamente attuali. Dagli articoli sullo sport, commentati ad esempio da grandi firme come quella di Gianni Brera, a quelli sulla mobilità di massa affrontati da Dante Giacosa. Il cambiamento dei costumi e dei consumi raccontati da Corrado Augias e Albe Steiner, politica ed economia da Gianni Agnelli e Leopoldo Pirelli, le innovazioni della scienza e della tecnologia da Umberto Veronesi. Antonio Cederna e Gino Valle invece sulla tutela dell’ambiente, architettura e design affidati a Gillo Dorfles e Gio Ponti. E ancora arte e letteratura lasciati alle firme, tra gli altri, di Paolo Grassi, Morando Morandini e Ignazio Silone.
Possiamo dire che questo libro rappresenta la celebrazione del legame tra cultura e impresa che la Pirelli ha voluto stringere fin dalla sua nascita: saperi scientifici e conoscenze umanistiche che si fondono per dare origine, appunto, a quello che possiamo definire “umanesimo industriale”. Non è stata un’operazione culturale amarcord, ma pensata per poter discutere dell’attualità di Pirelli e di come, ancora oggi, fare cultura e fare impresa siano la sintesi di uno stesso paradigma.
Allestite anche delle mostre. Cosa esponete?
I locali della Fondazione Pirelli, che si trova nell’Headquarters dell’azienda a Milano nel quartiere Bicocca, accolgono al piano terra l’archivio storico aziendale oltre alla biblioteca tecnico-scientifica del Gruppo costituita da circa 17.000 volumi e alla biblioteca della Fondazione Pirelli.Al primo piano, dove è collocata anche un’ampia sala di consultazione, gli spazi ospitano percorsi espositivi temporanei, rinnovati due volte l’anno, che valorizzano fondi inediti dell’archivio o che approfondiscono tematiche d’attualità, quali ad esempio la sostenibilità,cui nel 2016 è stata dedicata un’importante mostra. Attualmente è allestito il percorso dal titolo “La pubblicità con la P maiuscola” che indaga l’evoluzione della storia della comunicazione visiva di Pirelli dagli anni Settanta ai primi anni Duemila. In questo momento particolare per la vita di tutti noi, abbiamo voluto essere vicini al nostro pubblico, potenziando gli strumenti digitali di divulgazione del patrimonio storico. Abbiamo ad esempio recentemente lanciato il tour virtuale #fondazionepirelliexperience, navigabile dal sito https://experience.fondazionepirelli.org/it/, che permette di muoversi all’interno della Fondazione e di fare un’esperienza immersiva di visita. Uno strumento molto apprezzato anche dalle scuole e dalle università alle quali rivolgiamo la nostra offerta didattica, orientata, anche in questo caso, al digitale.
La Fondazione organizza eventi e percorsi guidati di grafica, arte, musica, cinema, spettacolo e comunicazione. Come si fa a combinare tutti questi elementi e fonderli con l’attività dell’impresa Pirelli con l’unico obiettivo di fare cultura?
Per sua natura, la cultura d’impresa è “politecnica” e inclusiva. È cioè in grado di riunire in un unico approccio integrato diverse manifestazioni della cultura. Proprio il superamento, avvenuto nella seconda metà del Novecento, del solco storico tra cultura classico-umanistica e cultura tecnico-scientifica, permette oggi una visione unica e coerente: tanto la grafica quanto la musica, il cinema, l’arte moderna sono parte della vita dell’impresa nel suo rapporto con la comunità esterna ed interna.
Le collaborazioni di cui vi avvalete sono internazionali. Quali sono e quanto sono importanti?
Nelle sue attività di valorizzazione del patrimonio aziendale, la Fondazione Pirelli si avvale della collaborazione di altri enti e istituzioni culturali, anche di respiro internazionale. Penso soprattutto ai rapporti, storicamente consolidati, con musei come il MoMA di New York, che da decenni ospita opere in un modo o nell’altro legate al mondo Pirelli. Penso alle grandi reti internazionali degli archivi d’impresa, oppure alla fitta attività di dialogo con le università e le comunità accademiche di tutto il mondo, in questo sostenuta anche dalla internazionalità di base del Gruppo Pirelli presente oggi in 12 paesi nel mondo con 19 impianti produttivi.
Chi sono gli utenti della Biblioteca della Fondazione Pirelli?
La Fondazione conserva e gestisce il patrimonio librario aziendale. Dal 2010 accoglie una biblioteca tecnico-scientifica costituita da oltre 16.000 volumi sulla tecnologia della gomma e dei cavi dall’Ottocento fino ai nostri giorni e da riviste tecniche straniere di cui Pirelli detiene le uniche copie presenti in Italia. È stata creata dall’azienda per i suoi ricercatori e ingegneri e oggi è consultata da centinaia di studiosi. Il patrimonio librario è composto inoltre da circa 2.000 libri sulla storia dell’azienda, storia economica, comunicazione d’impresa, arte, architettura e urbanistica, design, sport. Pirelli è da sempre molto attiva anche nella diffusione della lettura nei luoghi di lavoro, seguendo una tradizione che l’ha vista aprire la prima biblioteca aziendale già nel 1928. Oggi sono attive tre biblioteche aziendali rivolte a tutti i dipendenti, nell’Headquarters di Milano e negli stabilimenti di Bollate e Settimo Torinese. Hanno molto successo e contano una media di 300 prestiti al mese.
Attraverso Fondazione Pirelli Educational, la Fondazione offre attività didattiche rivolte a scuole ed università. Com’è l’approccio con uno studente della scuola primaria, secondaria di I e II grado e con il mondo dell’università?
La Fondazione opera in campo formativo dal 2013 con percorsi didattici e creativi gratuiti. Lo scopo principale di questo programma formativo è quello di far conoscere anche ai più giovani il mondo della produzione e del lavoro, avvicinandoli ai valori su cui si fonda la nostra cultura d’impresa. L’approccio adottato è multidisciplinare: la storia e la tecnologia del pneumatico, l’evoluzione della grafica pubblicitaria, la robotica e la trasformazione digitale del mondo dell’industria, il lavoro e i processi produttivi all’interno di una fabbrica, la sostenibilità, e ancora la sicurezza stradale e la mobilità sostenibile, il cinema e la fotografia sono solo alcuni degli argomenti del programma educativo, rinnovato ogni anno scolastico. Le attività, che si rivolgono annualmente a oltre 3.000 studenti, vedono in alcuni casi la partecipazione di esperti dell’azienda e l’utilizzo di nuove tecnologie per agevolare l’apprendimento dei contenuti.
La Fondazione opera la cosiddetta Cultura impresa attraverso blog, approfondimenti e recensione libri. Cos’è per voi la cultura d’impresa e perché avete scelto di realizzarla proprio attraverso questi strumenti?
È ancora una volta una scelta di approccio multidisciplinare alla cultura d’impresa. L’utilizzo dei canali web di comunicazione risponde proprio alla vocazione della Fondazione Pirelli a un dialogo non univoco con tutti gli stakeholders. Significa capire la complessità del mondo e di conseguenza adottare stili e linguaggi diversi, pur nella logica di un sistema unico e coerente di valori condivisi.
Dall’11 al 24 novembre 2019 si svolge nelle scuole pubbliche e private in tutta Italia la sesta edizione di ‘Libriamoci. Giornate di lettura nelle scuole’. L’iniziativa, intesa a promuovere la lettura e l’approfondimento dei testi, coinvolge le scuole pubbliche e private in tutto il paese ed è sostenuta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca attraverso la Direzione Generale per lo Studente e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo attraverso il Centro per il libro e la lettura, in collaborazione con #ioleggoperché organizzata dall’Associazione Italiana Editori.
Possono partecipare all’iniziativa, oltre che alle scuole di ogni ordine e grado sia pubbliche che private, personalità della comunicazione, lettori e scrittori che forniscono la propria disponibilità su base volontaria. Libriamoci ha voluto dedicare quest’anno in particolare all’autore Gianni Rodari.
Abbiamo deciso di raccontare come si è svolta la giornata dello scrittore Davide Amante, che ha scelto di fornire il suo contributo volontario presso una scuola pubblica primaria del centro di Milano, la scuola pubblica primaria Porta-Agnesi, dove ha incontrato i bambini di diverse classi.
‘Vorrei raccontarvi la storia di un sassolino’ così ha introdotto il discorso Davide Amante, invitando poi i bambini a immaginare uno stagno: sulla superficie dell’acqua galleggiano foglie, libellule e numerose altre cose che i bambini hanno elencato; dentro l’acqua nuotano i pesci, sul fondale dello stagno invece riposano sassi, sabbia e alghe. ‘Se io lanciassi il sassolino nel centro dello stagno, esso genererebbe una serie di piccole onde concentriche che si ampliano fino ai bordi dello stagno, proprio mentre il sassolino raggiunge il fondale, smuovendo pesci, alghe e nuvole di sabbia. Ogni cosa nello stagno risentirebbe gli effetti di queste piccole onde, agitandosi e spostandosi. Tutto lo stagno insomma sarebbe in subbuglio e ogni cosa si muoverebbe in relazione con le altre, dato che l’origine delle piccole onde è sempre e solo il piccolo sassolino.’
‘Immaginiamo adesso che io gettassi lo stesso sassolino nella vostra immaginazione, che cosa accadrebbe?’ Davide Amante ha proseguito spiegando ai bambini incuriositi come i nostri pensieri comincerebbero ad agitarsi, stimolati da questa novità, creando nuove associazioni e accostamenti.
Ad esempio il primo accostamento che farebbe la nostra immaginazione potrebbe essere il più semplice, ovvero associare il nome ‘sasso’ a parole con le medesime lettere. Ecco che allora immagineremmo infinite parole, come tasso, spasso, abbasso, fracasso e asso. Ecco che allora avremmo già una nuova storia: un tasso andava a spasso ma cadde d’abbasso e fece un gran fracasso e divenne un asso.
Gianni Rodari, ad esempio, amava molto giocare con questi accostamenti di parole. Ma si può andar oltre. Proprio come un sassolino non genera solo onde di superficie ma smuove anche l’acqua in profondità, un sassolino gettato nella nostra immaginazione scatenerebbe interessanti accostamenti non solo di suoni ma anche di concetti come sasso, masso, montagna, catena montuosa, terra, pianeta, sistema solare, stella, galassia, spazio, universo.
‘Che cosa avete dunque fatto?’, chiede Davide Amante ai bambini. ‘Avete fatto gli scrittori di fiabe!’, infatti abbiamo viaggiato con l’immaginazione partendo da un piccolo sassolino, attraverso catene montuose piene di foreste, per arrivare fino alle galassie.
I bambini hanno poi letto insieme allo scrittore una fiaba di Gianni Rodari, in questo caso la fiaba scelta da Davide Amante è intitolata ‘Il semaforo blu’ e racconta la storia di un semaforo che decide di emettere una luce blu, anziché le ben conosciute luci verdi, gialle e rosse, creando grande subbuglio in città e obbligando i vigili a intervenire per ripararlo.
‘Poveretti’,fa in tempo a pensare il semaforo, ‘Io avevo dato il segnale di via libera per il cielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forse gli è mancato il coraggio.’
Davide Amante ha poi risposto ai commenti dei bambini, invitandoli a osservare che gli scrittori, e in particolare gli scrittori di fiabe, spesso offrono ai propri lettori nuovi punti di vista, invitano insomma, a guardare le cose da un altro lato.
Per questo motivo è sempre molto importante rispettare chi ci offre un nuovo punto di vista, anche quando ci sembra strano o siamo in disaccordo, perché spesso è proprio chi ci offre un nuovo punto di vista ad ampliare i nostri orizzonti e rendere le cose intorno a noi più interessanti.
Ad esempio, ha raccontato in conclusione lo scrittore, a noi tutti sembra di conoscere molto bene il pavimento della nostra classe, di un ufficio o della casa dove viviamo: lo vediamo e lo calpestiamo tutti i giorni! Eppure, a ben vedere, proprio il pavimento della nostra classe potrebbe essere un tappeto volante, che si scolla, sfugge dalla finestra e ci porta tutti insieme, inclusi i banchi, in giro per la città.
E in quel breve volo possiamo salutare le persone negli uffici, i tramvieri che percorrono le strade, donare un sorriso a chi ne ha più bisogno e nelle grandi città c’è sempre qualcuno che ne ha bisogno, fermarci a prender fiato sul tetto di una casa e infine far ritorno alla nostra classe. Insomma ciò che impariamo a scuola ci porta in giro per il mondo e ci insegna a voler bene, proprio come un tappeto volante.
Grazie a Davide Amante che ha partecipato con entusiasmo all’iniziativa Libriamoci 2019
La città di Milano ospiterà a Ottobre 2020 il vertice mondiale delle città della cultura. Abbiamo chiesto allo scrittore Davide Amante, letterato e milanese doc, di spiegarci meglio questa iniziativa, il suo punto di vista sull’amministrazione della città e le opportunità che essa rappresenta. Milano è stata designata da 38 altre metropoli per aver agito nell’inclusione sociale, nella creatività, nella riduzione delle distanze tra centro e periferia, nell’impegno ambientale.
Incontriamo lo scrittore nel suo attico nel pieno centro di Milano, da dove già si ha una rappresentazione visiva imponente della città: dal Duomo di Milano alle antiche cupole delle chiese fino ai moderni grattacieli in vetro della parte più moderna della metropoli.
Lei è d’accordo con la designazione di Milano a città della cultura 2020?
Sì, certo. A mio avviso è una designazione meritata e importante per la città di Milano. Questa è una iniziativa particolare, voluta in origine dal sindaco di Londra, che è riuscita negli anni a coinvolgere oltre 40 metropoli del mondo fra le più attive e impegnate culturalmente. Quindi stiamo parlando già dell’eccellenza della cultura mondiale – così come viene espressa dalle città – e il fatto che Milano sia designata per il 2020 è ancor più significativo considerati i competitor. Va anche detto che è un network di metropoli che collaborano all’iniziativa, pertanto non si tratta di una vera e propria competizione ma piuttosto di portare avanti una comune sensibilità e attenzione al tema della cultura e della creatività, nel senso più esteso.
Perché è stata scelta Milano?
Perché Milano è vitale, esuberante, intensa. Qualche volta anche volgare come spesso accade quando c’è grande vitalità. Ma io vedo una Milano impegnata, che si muove in avanti con fiducia, generosa, portatrice di valori civici solidi, e che è in costante cambiamento. E dove c’è movimento, c’è sempre poesia.
Secondo lei l’Expo Milano 2015 ha determinato questa nomina?
No, non credo. E’ giusto citarlo come un volano perché l’Expo ha dato una grande e necessaria scossa a Milano, coinvolgendo tutti, anche gli scettici. E certamente questa spinta si è riverberata anche e molto sulla cultura. Ma la cultura e la creatività fanno parte di Milano da sempre nella sua storia e nonostante l’opinione un po’ superficiale e frivola che alcuni ne hanno di città che ruota intorno al denaro, chi la conosce davvero sa che Milano ha sempre viaggiato su coordinate culturali e creative di primissimo livello. La differenza semmai è che la città ha sempre voluto amalgamare l’interesse economico e il business con la creatività, e questo a mio avviso è giusto. L’Expo 2015 ha forse messo in risalto, a livello internazionale, l’impegno di Milano nella cultura nel contesto di questi anni. Ma la cultura e la creatività di Milano sono ben altra cosa, vanno viste in un contesto ben più ampio. E questo senza nulla togliere all’amministrazione milanese che ha ben fatto a mio avviso.
La sua conclusione porta direttamente alla domanda successiva: secondo lei l’amministrazione di Milano ha aiutato ad ottenere questa nomina?
Sì, ritengo che l’amministrazione degli ultimi anni abbia ben fatto. Milano ha sempre avuto una tradizione di sinistra moderata che, senza voler entrare in discussioni politiche che poco mi riguardano, si è dimostrata operosa ed efficace. Trovo che l’attuale sindaco, con la sua squadra, abbia ben lavorato nell’interesse della città in questi anni. Penso che sia un buon momento questo per Milano, tutto considerato. L’attuale amministrazione e in particolare il sindaco Sala e l’assessore alla Cultura Filippo del Corno ne sono gli artefici.
Può spiegarci quali caratteristiche culturali di Milano la rendono meritevole di ospitare il Summit?
Milano è una città rinascimentale che a dispetto di quanto molti possano pensare, ha sempre messo in primo piano la cultura, l’arte, la creatività. In Italia c’è la tendenza a vedere la cultura e l’arte come qualcosa di costituito e completo, del resto le città d’arte e Roma stessa sono sature d’arte e purtroppo vi è spesso la tendenza da parte di molti a riconoscere come arte soltanto ciò che proviene dal passato e che è già stato riconosciuto da altri.
L’arte, al contrario, è innovativa, spezza le regole del passato per crearne di nuove, la vera arte non sta mai alle regole perché crea le proprie di regole, e quasi sempre è disorientante per i contemporanei che la affrontano la prima volta. Penso all’arte povera (di origine torinese ma immediatamente compresa e rilanciata soprattutto da Milano), penso alla Transavanguardia, la musica, la grande tradizione dell’editoria illuminata milanese purtroppo scomparsa, penso a quella moltitudine di artigiani specializzati e raffinati che hanno sempre trovato in Milano un cliente d’eccezione, disposto a spendere e investire, penso all’eccezionale fenomeno della moda stessa.
Dare a Milano quel ruolo di capitale finanziaria, sebbene tecnicamente sia comprensibile, significa non aver capito niente dei milanesi e delle famiglie milanesi. E’ proprio quando si ha la disponibilità finanziaria che si comprende che senza la curiosità, senza l’anima, senza il sogno a dare una direzione, il denaro non porterebbe da alcuna parte se non alla noia. Per questo motivo proprio in una metropoli ricca come Milano si può ben comprendere e più che altrove la necessità di circondarsi d’arte e cultura.
Milano è sempre stata rinascimentale nel senso che la cultura e l’arte – non quella del passato ma quella del futuro – sono sempre state nelle sue corde. Milano è una grande capitale della creatività e dell’anima italiana, spesso mai abbastanza riconosciuta per questo.
Lei è uno scrittore e sceneggiatore, come vede la letteratura milanese?
Quando non ci sono più i grandi editori disposti a rischiare e capaci di capire la letteratura, rimangono gli amministratori e le redazioni. Questi ultimi mi fanno pensare a un bell’articolo di Vitaliano Brancati ‘Il Borghese e l’Immensità’. La immagina la brava redattrice o il bravo redattore, o anche i bravi blogger, che si recano in tram al lavoro o che scrivono sui loro portatili, pensando al mutuo, alla spesa per il gatto, alla prenotazione delle vacanze e all’aperitivo, scegliere per la pubblicazione il testo di un grande scrittore, uno che sta cambiando le coordinate del proprio tempo, che ha viaggiato fino ai confini più distanti di se stesso e della vita? La immagina la loro sensibilità nel comprendere queste cose? La scelta dei bravi blogger e dei bravi redattori è quella che vediamo sugli scaffali delle librerie, una foresta di piccoli problemi rappresentati con piccole storie e una piccola competenza letteraria. Cèline li chiama i Goncourtisti con gli occhiali o senza occhiali, i professorini che fanno gli scrittori e così andare. Questa purtroppo è la tendenza della letteratura italiana contemporanea ed anche milanese. Ma i grandi scrittori non se ne curano. Scrivono i romanzi. A un certo punto anche i redattori si accorgono della differenza.
Come vede il ruolo della donna in questa Milano moderna?
Questa faccenda della parità nei ruoli e nei poteri di uomo e donna, la vedo del tutto fuori tempo, ridicola. Il problema non dovrebbe neanche più esistere e invece, purtroppo, c’è ancora gente convinta che via sia una qualche differenza qualitativa. Milano ha il vantaggio di essere concreta e moderna, guarda al risultato e di conseguenza sa bene che non c’è alcuna differenza. Anzi, preferirei semmai vedere più donne nei ruoli chiave che uomini, tendo a fidarmi più delle donne.
Lei vive in una area storica della città, come si vive nel centro storico?
La qualità della vita è alta e negli ultimi anni ho riscontrato una continua tendenza al miglioramento. Rispetto alle altre metropoli nel mondo Milano ha un equilibrio irripetibile. Riesce a mantenere un dialogo e una dimensione umane, pur correndo e lavorando sul piano internazionale. E’ un meccanismo raffinato che le altre metropoli, seppur a volte più efficienti, non riescono a comprendere. Io credo che si stia facendo molto negli ultimi anni per migliorare la città, sia da parte dell’amministrazione sia da parte della cittadinanza. Mi pare che molti abbiano compreso l’importanza di fare questo passo. E i risultati cominciano a vedersi.
Può spiegarci come funziona il World Cities Culture Summit?
Il World Cities Culture Summit è sostanzialmente un network di metropoli di tutti i continenti, che da un’iniziativa nata dall’allora sindaco di Londra, riunisce le città culturalmente virtuose che vogliano collaborare a realizzare policy comuni a favore della cultura. Questo Summit porta avanti un comune pensiero per cui la cultura e la creatività hanno un impatto determinante nella pianificazione e nella legislazione intorno alle grandi città. Ogni anno si organizza un summit appunto, un incontro programmatico fra i più alti responsabili di ciascuna città. Tutte le altre città concorrono ad eleggere la città ospitante ogni anno ed è chiaro che l’elezione avviene sul presupposto che questa città abbia dimostrato sensibilità e attenzione alle tematiche culturali e creative.
Quali opportunità può portare questa inziativa alla città?
E’ una ottima occasione per discutere le best practice milanesi in un’ottica di sviluppo della cultura e delle creatività. Non dimentichiamo che a Milano in particolare la cultura è sempre stata un volano economico importante, a cui volentieri hanno storicamente partecipato grandi imprenditori locali. In senso più ampio è il momento in cui da un senso alla produttività economica della città, redistribuendola attraverso la cultura, la creatività e le inziative culturali per creare nuovi stimoli e nuovi percorsi di cui si può avvantaggiare nuovamente tutta la città. E’ un circolo virtuoso in cui imprenditoria e cultura si tengono per mano, avvantaggiando tutti.
Secondo lei Milano in che cosa può migliorare, riguardo alla cultura?
Milano ha bisogno di più coraggio sui temi della cultura e della creatività. Il World Cities Culture Summit è un nuovo stimolo in questo senso. Se sapremo raccogliere questo stimolo, il coraggio di averlo fatto sarà ripagato, perché una città più colta è una città più pronta ad affrontare il futuro e a creare ricchezza
Aprirà il 6 ottobre presso il Museo della Permanente di MilanoCaravaggio. Oltre la tela, la mostra immersiva, una nuova esperienza multimediale di altissima tecnologia e spettacolarità in cui si potrà ripercorrere, in 45 minuti con l’ausilio di 16 video proiettori, filmati originali e speciali cuffie binaurali, la vicenda artistica ed umana del grande maestro lombardo.
Questi i punti chiave di questa iniziativa ideata da Mondo Mostre Skira, prodotta da NSPRD per Experience Exhibitions con la consulenza scientifica di Rossella Vodret e il Patrocinio del Ministero dei Beni e le Attività Culturali come ideale proseguimento della grande mostra Dentro Caravaggio (Palazzo Reale ottobre 207 – febbraio 2018).
Si tratta di una mostra fatta di opere invisibili al pubblico, custodite in luoghi privati (il Gabinetto Alchemico nel Casino dell’Aurora, Palazzo Odescalchi), inamovibili dalla sede (Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, Cappella Cerasi in S. Maria del Popolo, Cattedrale di Malta), troppo fragili per viaggiare (i quadri del Louvre e del Kunsthistorisches Museum), distrutte (Ritratto di Filide Melandroni) o infine rifiutate perché fuori dal contesto in cui erano state pensate (Deposizione, Morte della Vergine, Madonna dei Palafrenieri).
Nel percorso di mostra ben 40 opere di Caravaggio, di cui solo 9 nella mostra di Palazzo Reale, fotografate ad altissima definizione per catturare ogni dettaglio, ogni pennellata, ogni intuizione creativa. E non solo per presentare le opere, ma inserirle ricostruendo il contesto nel quale Caravaggio le aveva pensate: la Morte della Vergine del Louvre che Caravaggio dipinse per l’altare della chiesa di Santa Maria della Scala o la Deposizione dei Musei Vaticani commissionata però per Santa Maria in Vallicella.
Una mostra per andare oltre le opere e raccontare l’uomo: i luoghi della sua vita (Caravaggio, Milano, Roma, Napoli, Malta, la Sicilia), i successi e gli eccessi (l’assassinio di Ranuccio Tommasoni), le tragedie (la peste che decima la famiglia), gli amici potenti (il Cardinal Giustiniani, il Cardinal del Monte), la vocazione al precipizio (il vizio del gioco, le prostitute, i postriboli, l’alcool).
Sono stati per questo ritrovati e filmati i luoghi dell’anima di Caravaggio: la campagna di Caravaggio in Lombardia, lo studio d’artista di una Milano flagellata dalla peste, la Roma dei vicoli di Piazza Navona, del Palazzo nobiliare dove viene accolto dal suo mecenate Cardinal Del Monte, dei postriboli che frequentava, fino alla fuga verso Napoli, sempre protetto dai Marchesi Colonna e al viaggio a Malta, poi alla nuova fuga in Sicilia dove lascia tracce indelebili di capolavori per ritornare a Napoli, diretto a Roma, dove non arriverà mai.
Una mostra per entrare dentro le opere e capire la genesi creativa dei suoi capolavori fondamentali e spesso poco visibili, i pentimenti (che arrivano nel Martirio di San Matteo della Cappella Contarelli fino a dipingere un secondo quadro sopra al primo), la tecnica di un artista che letteralmente dipingeva la luce su preparazioni scure, che andava oltre le convenzioni dell’epoca, imponendo una propria visione realistica. Con il progetto nato nel 2009 alla Soprintendenza Speciale per il Polo Museale di Roma vengono analizzate nel dettaglio con le ultime tecnologie disponibili le 22 opere di Caravaggio presenti a Roma, e successivamente, grazie alla mostra di Palazzo Reale, sono altre 36 le opere di cui sappiamo quasi tutto, coprendo oltre i due terzi della produzione di Caravaggio, un lavoro che viene portato avanti anche negli archivi storici e ha permesso di capire sempre meglio la tecnica, la vita, la poesia di un grande artista.
La mostra non si limita alla semplice presentazione delle opere in alta risoluzione e dei loro dettagli, ma sfrutta al massimo le più sofisticate tecnologie per una divulgazione scientifica di ultima generazione, per proporre un racconto spettacolare, una lezione avvincente di storia dell’arte, davvero un nuovo modo di accostarsi a una icona della storia dell’arte mondiale.