Hilda Doolittle, la poetessa americana che amava la mitologia classica e l’imagismo e che stregò Ezra Pound

Nata a Bethlehem, in Pennsylvania, il 10 Settembre del 1886 da Helen Wolle, morava, amante della musica e pianista, e da Charles Doolittle,  professore di astronomia presso la Lehigh University, la vita di Hilda Doolittle è stata molto ricca di viaggi, incontri personali e culturali. La coppia ha cinque figli, di cui una morta subito dopo la nascita. Nella famiglia Doolittle vive inoltre un altro figlio di primo letto del padre. Hilda cresce dunque con cinque fratelli maschi.

Conosciuta semplicemente con le iniziali H.D., la poetessa Hilda Doolittle studia letteratura greca al Bryn Mawr College di Philadelphia, ma si ritira prima di aver concluso gli studi. Nel 1907, per un solo anno, è fidanzata con Ezra Pound. Le sue poesie, apparse su “Poetry” nel 1913, sono da questo definite come un perfetto esempio di poetica imagista.

Tuttavia già negli anni della prima guerra mondiale lo stile della Doolittle si avvicina più a quello dell’antica Grecia, sia per i temi trattati sia per il linguaggio. La Doolittle pubblica alcune traduzioni dal greco come l’Ippolito di Euripide e anche adattamenti di testi teatrali greci, come Ippolito temporeggia (1927). Durante la seconda guerra mondiale vive a Londra e compone The gift, che sarà pubblicato nel 1960 e 1982. Tra il 1944 e il 1946 pubblica Trilogy, Tribute to the Angels e Flowering of the Rod. Successivamente si dedica alla scrittura del poema Helen in Egypt (1961).

Hilda Doolittle è stata una musa scontrosa per molti. Nel 1913 sposa Richard Aldington, poeta potente e studioso di letteratura, da cui ha un figlio. Nel frattempo, H.D. coltiva una relazione con Cecil Gray, compositore decisamente più giovane di lei, di cui rimane incinta, partorendo Perdita, nel 1919. Nello stesso tempo, flirta con D.H. Lawrence benché il rapporto più sincero e duraturo sia con Annie Winifred Ellerman, scrittrice, nota come “Bryher”.

Pressoché sconosciuta in Italia Hilda Doolittle è stata la prima donna a vincere la medaglia dell’American Academy of Arts and Letters.

La sua poetica è caratterizzata dall’intensa forza delle immagini, dall’uso limitato delle parole e della mitologia classica. Non ha mai conosciuto il successo, anche perché il suo nome è rimasto a lungo confinato con il movimento imagista, presto superato. Anche i suoi messaggi potevano non essere compresi o accolti con favore, dal momento che affrontava temi femministi e lesbici, dovuti ad una vita  fuori dal comune. La sua riscoperta è degli anni settanta, quando ovviamente il movimento femminista ne ha fatto un’icona, probabilmente più per l’inusuale stile di vita, che per l’opera letteraria, seppur valida.

La vita e l’opera della poetessa americana dallo sguardo fiero e malinconico, riassumono i temi principali del modernismo: la fine delle certezze vittoriane, un’epoca dominata da famelici cambiamenti tecnologici, la violenza di due guerre mondiali, la distruzione dei sistemi simbolici tradizionali, la ricerca di nuovi miti.

 

CALORE

O vento, strappa il calore,
dividi il calore,
laceralo in stracci.

La frutta non riesce a cadere
attraverso questa aria densa―
la frutta non può cadere nel calore
che schiaccia e smussa
le punte delle pere
e arrotonda l’uva.

Taglia il calore―
apriti un varco attraverso di esso,
ruotandolo in ogni lato
del tuo cammino.

 

ELENA

La Grecia tutta odia
lo sguardo fermo sulla faccia bianca,
la limpidezza degli ulivi
dove si riposa
e le sue mani bianche.
La Grecia tutta disprezza
il candore del suo viso che sorride,
cresce bianco e innocente
insieme all’odio
ricordano l’incanto passato
i passati mali.
La Grecia fissa impassibile
la figlia di Dio, nata nell’amore,
la bellezza dei piedi leggiadri
e le ginocchia sottili,
potrebbe amare quella ragazza
solo se fosse deposta

 

Echi, miti classici e simbologia ne “La morte a Venezia”

La morte a Venezia (1912) è l’opera di Thomas Mann più ricca di echi classici in quanto la passione omoerotica del Professor Aschenbach affonda le sue radici in un substrato cosmico, anteriore al concetto cristiano di peccato, che Platone ha espresso nel Convivio e nel Fedro.

Nel capitolo III il protagonista non appena si accorge dell’assenza di Tadzio, lo paragona ad un piccolo Feace e recita tra sé un verso dell’Odissea: “Continuo cangiar d’ornamenti  e bagni tiepidi e sonno…” Il capitolo IV si apre con un esordio epico: “E si sentiva come trasportato nel suolo esilio, ai confini della terra”. Nel suo delirio Aschenbach, per scacciare l’immagine di un torbido e peccaminoso eros, identifica se stesso con Socrate e Tadzio con il giovane interlocutore del filosofo, Fedro, quando ormai Socrate è vicino alla morte e rivolge ad un Fedro immaginario un discorso dove il concetto platonico non riesce a giustificare il senso di colpa sofferto dalla coscienza lacerata da un desiderio proibito.

Mann, durante gli anni della genesi del romanzo, si era documentato scrupolosamente al punto che quando nel capitolo III, un ragazzo di nome Jascio bacia Tadzio, Aschenbach lo indica tra sé e sé con il nome di Critobulo, storico bizantino che si sottomise a Maometto II. Tale riferimento risulta incomprensibile se si ignora la fonte, i Memorabili di Senofonte dove si cita l’episodio di Critobulo che aveva baciato il figlio di Alcibiade. Dice Senofonte: “Ma ti do un consiglio Senofonte: quando vedi un bello fuggi a tutta corsa; e a te Critobulo, consiglio di star lontano per un anno: nel frattempo potreste forse guarire dalla ferita”. Ed ecco le parole di Mann: “Quanto a te, Critobulo”, pensò sorridendo, “ascolta il mio consiglio, va’ in viaggio per un anno. Ché meno di tanto non ti occorre per risanare”.

Tadzio, contemplato da Aschenbach ha “una testa da Eros, dalla lucentezza dorata del marmo pario” ma non resta statico nella fantasia dell’innamorato che lo tramuta in una creatura mitica che in un’età favolosa ha anticipato i suoi gesti. Ad un certo punto egli prende la figura del giovane e ne fa un modello di un’idea letteraria: quando Tadzio gioca con la palla, si immedesima in Giacinto colpito a morte dal lancio di un disco; quando Tadzio gli sorride, rivive in Narciso che si specchia nella fonte; e mentre Aschenbach di fronte al mare china il capo sul petto e muore, gli sembra che da lontano il ragazzo gli accenni di seguirlo tramutato in Ermes, il dio che conduceva le anime nel regno dei morti. Il racconto, dunque, si snoda solo dalla visuale di chi idealizza l’amato e insegue le inquietudini di un’anima sovraeccitata, tutta rinchiusa nel suo mondo interiore, incapace di uno sguardo disincantato sulla realtà circostante.

Per quanto riguarda il paesaggio, Venezia è percepita da Aschenbach nell’aspetto più cupo di città in decadimento, soffocata da un clima afoso e luogo dove imperversa il colera. I presagi di morte che segnano l’ultimo viaggio del protagonista, non si manifestano solo a Venezia. Lo sconosciuto che incontrato a Monaco davanti al cimitero, ha tratti comuni con il finto giovanotto del battello e con il gondoliere, tutti e tre sono messaggeri dell’ignoto e la loro funzione si preannuncia evidente dal loro fisico: i denti sporgenti fino alle gengive, il loro biancore, che alludono alla mandibola corrosa di un teschio; senza contare l’affinità della gondola nera con la bara sottolineata da Mann. Durante il tragitto sulla barca Aschenbach pensa che quell’uomo sospetto potrebbe anche spedirlo direttamente nell’Oltretomba; il gondoliere non aspetta il compenso perché esercita il suo mestiere abusivamente, in questo modo la figura di Caronte si sdoppia nella sua.

Elementi mitici e simbolici dunque si alternano nel contesto de La morte a Venezia, si richiamano l’uno all’altro e accompagnano la vittima fino all’epilogo; alla vicenda borghese la narrativa di Mann è sempre rimasta fedele sia nei romanzi di vasto respiro come I Buddenbrook, La montagna incantata, il Dottor Faust, che nei romanzi brevi, da La morte a Venezia che accoglie in sé i motivi più importanti della sua problematica giovanile, fino a L’inganno, ultima opera di Mann che, nonostante il parere contrario dell’autore, ha in comune con la vicenda di Aschenbach il tema della simbiosi tra amore e morte.

 

Bibliografia: T. Mann, La morte a Venezia, Prefazione a cura di R. Fertonani.

 

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