Giorgione e le stagioni del labirinto in mostra tra Venezia e Roma dal 24 giugno

Sarà Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma il titolo della grande mostra in arrivo il 24 giugno e allestita fino al prossimo 17 settembre, presso le due sezioni delle rispettive prestigiose sedi museali di Palazzo di Venezia e di Castel Sant’Angelo, a rendere omaggio a una serie di straordinari capolavori del rinascimento veneto e oltre, ove pittura e sentimenti si incontrano in maniera profonda per dar luogo a un racconto complesso, in cui protaganisti sono gli stati d’animo e l’amore, nell’utilizzo della pittura tonale che permea tutte le opere di Giorgio da Castelfranco, detto ‘Giorgione’, una delle personalità artistiche più significative del Cinquecento veneto, morto di peste poco più che trentenne, in arrivo insieme ad altri grandi interpreti.

La mostra, curata da Enrico Maria Dal Pozzolo, è rappresentata da i Due amici, opera simbolo che fa da ponte al rinnovamento portato da un mito della cultura lagunare nella stagione del rinascimento tra la fine del ‘400 e  gli inizi del ‘500, percepito nell’ambito della raffinata committenza locale tra due città colte e cosmopolite, Venezia e Roma; attorno alla quale opera è stato ideato l’intero progetto. Si tratta di un doppio ritratto datato ai primi anni del Cinquecento e considerato uno dei poco noti capolavori attribuiti questa volta con certezza, su un limitatissimo numero di opere certe, al pittore di Castelfranco, ricostruito sulla traccia delle scarne fonti storiche da una parte e l’analisi dell’opera, dall’altra, dai critici dell’arte che hanno delineato la fama e l’importanza del maestro di Castelfranco in relazione agli ambienti umanisti e ai salotti delle migliori famiglie veneziane entro il quale il maestro entrò in contatto, lavorando per una selezionata committenza patrizia.

Conservato nelle principali collezioni del maestoso Palazzo Venezia – ora sede del Museo Nazionale- , il dipinto, infatti, è stato tenuto per secoli nel chiuso delle collezioni private del cardinale Domenico Grimani, nobile veneziano, titolare di San Marco dal 1503 al 1523, il quale si distinse ancor di più come mecenate per i suoi ampi interessi per ragioni estetiche dando vita a un momento di confronto e di formazione per il suo “cenacolo”, così come avveniva con il Lotto, Tiziano e, soprattutto, con Giorgione. A partire già dall’inizio del Seicento, poi, l’opera è attestata a Roma, testimoniando i rapporti politici, diplomatici e culturali del cardinale Damiani con Pietro Barbo, anch’egli veneziano, divenuto poi papa Paolo II (1464-1471), cui l’opera di Giorgione è legata loro a cavallo tra i due secoli. La seconda sezione della mostra, dunque, prosegue nelle sale degli appartamenti papali di Castel Sant’Angelo a Roma in un percorso espositivo vasto e variegato, comprendendo complessivamente 45 dipinti, 27 sculture, 36 libri a stampe e manoscritti; oltre a numerosi altri oggetti, stampe e disegni.  

Accanto al valore storico per il contesto politico e culturale in cui l’opera si inserisce, per cui nel Cinquecento Venezia era una grande potenza marinara e dunque anche le arti veneziane in quel periodo conoscevano un grande rinnovamento in quanto la città lagunare era il centro propulsore del più raffinato umanesimo, il doppio ritratto conserva un valore unico per aver segnato un svolta epocale nel genere della ritrattistica occidentale con l’idea di ritratto introdotta per la prima volta da Giorgione in una dimensione emozionale attraverso le proprietà psicologiche e direttamente espressive nelle varie combinazioni cromatiche date da un nuovo modo di comporre il quadro basandosi sui colori, sulla scia di maestri come Bellini.

La vera rivoluzione pittorica di Giorgione è quindi rappresentata dal nuovo modo di dipingere ove è il colore (e non il disegno) ad assumere il principale valore espressivo e dall’accento posto sulle emozioni e i sentimenti e delle figure e del paesaggio: è questo il segno profondo che Giorgione ha lasciato nella storia della pittura occidentale, cosicché  già lo storico aretino Vasari aveva riconosciuto come Giorgione fosse “nato per metter lo spirito nelle figure, e per contraffatte la freschezza della carne viva più che nessuno che dipingere non solo in Venezia ma per tutto”, collocandolo tra gli artisti iniziatori della Maniera moderna, subito dopo Leonardo.

La mostra è stata promossa e organizzata dal Polo Museale del Lazio diretto da Edith Gabrielli, con la collaborazione di Civita Mostre.

Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma: prezzi, orari e date

Quando: 24 giugno- 17 settembre 2017

Sedi e orari: Museo Nazionale del Palazzo Venezia, Piazza Venezia

Martedì/domenica 8.30-19.30 (chiuso il lunedì)

Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, Lungotevere Castello, 50

Tutti i giorni 9.00-19.30

Ingresso gratuito prima domenica del mese

Biglietto unico per Castel Sant’Angelo e Palazzo Venezia, valido 3 giorni:

Intero € 14,00, ridotto € 7,00

Solo Palazzo Venezia

Intero € 10,00, ridotto € 5,00

‘Boldini e Van Dyck’: la mostra alla Galleria Sabauda di Torino

Con la mostra Boldini guarda Van Dyck. Bambini nel tempo, inaugurata lo scorso giovedì 29 settembre, lo Spazio Confronti della Galleria Sabauda di Torino ospita il secondo suggestivo «dialogo» tra opere. Dopo il primo appuntamento dedicato ai due dipinti di Botticelli, infatti, questa volta il nuovo confronto è tra due ritratti che, al di là del soggetto, sono davvero «distanti» e non solo nel tempo.

Il primo dipinto rappresenta uno dei capolavori appartenenti alla collezione fiamminga della famiglia Sabauda, I figli di Carlo I d’Inghilterra, olio su tela del 1635, del grande maestro Antoon Van Dyck (Anversa, 1599- Londra, 1641) a confronto con Ritratto del piccolo Subercaseaux, dipinto nel 1891 da Giovanni Boldini (Ferrara, 1842- Parigi, 1931), opera giunta per la prima volta a Torino dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, città natale del pittore.

La ricerca della resa minuziosa della realtà, l’uso dei colori ad olio, il ritratto del viso con la posa di tre quarti sono i caratteri propri di quella pittura definita fiamminga, in quanto originatasi e sviluppatasi nelle Fiandre (attuale Paesi Bassi) nel corso del Quattrocento, e che nel Seicento conobbe uno straordinario sviluppo nel genere del ritratto soprattutto con l’attività del pittore di Anversa Antoon Van Dyck.  È proprio in quella Inghilterra del Seicento che vedeva sul trono Carlo I Stuart che Van Dyck – allievo e amico del pittore Pieter Paul Rubens, altro importante rappresentante della ritrattistica fiamminga – divenne il primo pittore di corte; occupandosi esclusivamente di ritratti di vario formato dei membri della famiglia reale e del suo mecenate raffigurato in pose differenti.

Van Dyck e Boldini: l’infanzia d’élite a confronto

Ritornando alle due opere a confronto in mostra a Torino, è dunque l’infanzia, nelle vere fisionomie dei bambini, come in una moderna fotografia, ad essere fissata sulla tela dai due massimi maestri del ritratto. Il dipinto di Van Dyck, con i principini del re d’Inghilterra: Carlo, Maria e Giacomo, duca di York, rende evidente l’immagine del ritratto ufficiale che il grande maestro fiammingo realizzò nel 1635 su commissione della moglie del re, la regina Enrichetta Maria, come dono da inviare alla sorella Cristina di Francia, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia. Il dipinto di Boldini, invece, ritrae uno dei due figli del diplomatico cileno Ramón Subercaseaux Vicuña e fu realizzato da Boldini intorno al 1880 a Parigi, dove, dopo la frequentazione della cerchia dei Macchiaioli a Firenze, conobbe John Singer Sargent e forse su suggerimento dell’amico commissionò alcuni ritratti, dedicandosi a quella serie fortunata di dipinti di signore e personaggi che egli non abbandonerà mai e che lo renderanno celebre come il pittore alla moda della borghesia parigina.

Accanto alla capacità di ritrarre le fisionomie naturali altro elemento indispensabile in tal genere pittorico che mette in rilievo l’altezza dei due maestri del ritratto è la capacità di indagare l’intimità psicologica dei soggetti la quale emerge, nel caso dei tre principini, dagli sguardi curiosi e vivaci. L’espressività dei bambini, infatti, non sembra rispondere alle esigenze di rappresentazione dinastica richieste dal committente, eccetto lo sguardo penetrante del futuro Carlo II, al pari del piccolo Subercaseaux, nel caso del dipinto di Boldini, dove, però, l’undicenne appare sul divano in una posa non proprio composta, facendo supporre l’insofferenza del fanciullo per le prolungate sedute di posa. Il «dialogo» tra le due opere, infine, si fonde nella resa pittorica di Boldini il quale dimostra qui l’ispirazione per la ritrattistica fiamminga, nell’uso dei colori ad olio nei toni del grigio, del bianco e del nero, dopo un viaggio in Olanda e in Inghilterra.

L’allestimento è visitabile sino all’8 gennaio del 2017.

 

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