‘Da Lubiana a Trieste, la pietra di Aurisina del Carso e dell’Istria in Italia e nel mondo’ fino al 14 luglio a Trieste

Inaugurata  lo scorso 18 maggio 2024 al Magazzino 26 di Trieste una delle più estese ed articolate mostre dedicate alla Pietra di Aurisina, del Carso e dell’Istria: Da Lubiana a Trieste, la pietra di Aurisina del Carso e dell’Istria in Italia e nel mondo”.

Un viaggio materico nella cultura della pietra che permetterà al visitatore di approfondirne la storia, l’uso nell’architettura e nell’arte, al quale si affiancano visite guidate, escursioni, approfondimenti culturali, laboratori, performance.

La mostra è organizzata da Gruppo Ermada Flavio Vidonis in coorganizzazione con il Comune di Trieste e con il sostegno della Regione FVG.

La mostra

L’esposizione, suddivisa in più sezioni nei due padiglioni su vari percorsi (sala Nathan e sala Sbisà) del Magazzino 26 in Porto Vecchio parte dalla storia imprenditoriale e dalla vita di Gustav Tönnies, nato nel 1814 (nel 2024 anniversario della nascita), figlio di un carpentiere navale svedese nella città di Stralsund in Pomerania (Germania). Fu falegname, fabbricante, costruttore, industriale e commerciante, probabilmente il più importante commerciante della Carniola della seconda metà dell’Ottocento. Ha lasciato un importante segno della storia europea. Prima di approdare alla monarchia austriaca, Gustav Tönnies lavorò nella sua nativa Svezia, in Norvegia, in Francia, in Svizzera e in Russia.

Lo scopo della mostra è quello di presentare la pietra carsica e istriana, che ha svolto un ruolo importante nello sviluppo economico e sociale della regione. Nei percorsi espositivi se ne può apprezzare l’uso in architettura, nelle costruzioni, nell’arte, nell’artigianato attraverso fotografie, progetti, plastici, manufatti, installazioni e modellini. Un viaggio che la pietra ha intrapreso nel tempo, approdando in tutto il mondo.

Un ruolo chiave in questo sviluppo ha avuto la costruzione della Ferrovia Sud Vienna – Trieste. Con i collegamenti ferroviari e marittimi, Trieste divenne il principale porto del Mediterraneo orientale, che aprì la strada dall’Europa settentrionale e centrale all’Estremo Oriente e all’America in Occidente con collegamenti via Gibilterra e il nuovo Canale di Suez.

Trieste visse l’epoca d’oro del suo sviluppo economico. Dopo il 1383, quando passò sotto l’autorità della monarchia asburgica; nel 1719, quando acquisì lo status di porto franco doganale, nel 1849, quando gli fu concesso uno speciale collegamento diretto con Vienna, conobbe uno sviluppo straordinario fino agli inizi della Prima Guerra Mondiale. Il numero degli abitanti passò da 60.000 a 240.000 e divenne un centro commerciale e finanziario internazionale.

Lubiana esiste già dai tempi delle province illiriche all’inizio del XIX secolo. Il Congresso di Lubiana del 1822, con una linea ferroviaria e un collegamento con Vienna e Trieste, acquistò sempre più importanza, e il terremoto del 1895 non fece altro che accelerare il suo ruolo di centro regionale della Carniola.

Il Carso con la sua pietra, estratta in numerose cave superficiali locali, con la nuova ferrovia ha avuto la possibilità di vendere la pietra in tutto il mondo. Aurisina e Monrupino ne hanno approfittato e con la modernizzazione della produzione queste cave sono diventate le più grandi cave della monarchia austro-ungarica. La pietra carsica divenne un “prodotto di moda” di quell’epoca. Anche molti edifici pubblici, parlamenti, teatri d’opera, stazioni ferroviarie, uffici postali, banche, assicurazioni, istituzioni culturali, scuole, ospedali, caserme, chiese ed edifici residenziali contenevano elementi di pietra carsica.

 

Giovedì 30 maggio – Magazzino 26 Trieste – Sala Nathan ore 10.30 (conferenza) la “Memoria della città di Carrara: dal bagascio ai giorni nostri“ a cura di Walter Danesi Jr. – Museo Fantiscritti Carrara in un incontro moderato dalla dott.ssa Francesca Bianchi

Venerdì 31 maggio – Magazzino 26 Trieste – dalle ore 17.30 alle ore 18.30 (conferenza) “Parco della Rimembranza, memoria inclusiva” a cura del Presidente dell’Associazione Parleranno le Pietre interverranno il Generale Lucio Rossi Baresca e Mauro Depetroni del Gruppo Ermada Flavio Vidonis

 Sabato 1 giugno – Magazzino 26 Trieste – ore 11.00 fino alle 12.00 Sala Nathan (conferenza in italiano e sloveno)  “Pietra carsica, visione storica dello sviluppo della lavorazione della pietra e delle sue prospettive – Il ruolo della famiglia di Gustav Tönnies Kraški kamen, zgodovinski pogled na razvoj kamnarstva in njegove perspektive – Vloga družine Gustava Tönniesa”  prof. dr. Janez Koželj, “Pietra ed Architettura di Max Fabiani Kamen in arhitektura Maksa Fabiania” geologa Jasmina Rijavec “l’Azienda Marmor Sežana” mag. Matevž Novak, “Pietra Carsica Kraški kamen” Stojan Jakopič, Il secolo della famiglia Tonnies Stoletje družine Tonnies” Sig.ra Majda Božeglav Japelj, Galleria Costiera di Pirano Obalne galerije Piran “La pietra nell’arte forma viva”” Kamen v umetnosti Forma Viva” Irena Klančišar Scuola professionale superiore, materiali di progettazione del programma – “la pietra andrà bene” Višja strokovna šola, program oblikovanje materialov – kamen bo ga.

Sabato 1 giugno  – Magazzino 26 Trieste –  ore 15.00  visita guidata alla Mostra a cura di Massimo Romita

Sabato 1 giugno  – Magazzino 26 Trieste –  ore 17.30 presentazione del Catalogo e dello Spazio Mostra “Arcani di Pietra” dell’artista Claudia Raza intervengono i critici Giancarlo Bonomo e Raffaella Rita Ferrari.

Mercoledì 29 e giovedì 30 maggio – Visita Guidata di Aquileia la visita di Aquileia sarà un’esperienza a 360° lungo un itinerario archeologico e storico, durante il quale, con l’ausilio di una guida autorizzata FVG verrà dato spazio anche ai materiali che hanno reso celebre il sito di Aquileia, tra i quali non può mancare la nostra Pietra di Aurisina. Oltre al Complesso Basilicale con le sue cripte e le sale principali, avremo modo di esplorare le rovine della città romana, il decumano di “Aratria Galla”, sito nei pressi del Foro che rappresentava, in tutta la sua monumentalità, il cuore della città e le banchine portuali. Il decumano di Aratria Galla, attualmente visibile da Via Giulia Augusta, la strada di ingresso ad Aquileia che taglia il Foro e ricalca l’andamento del cardo massimo della città romana, è stato rimesso in luce negli anni ’70 per un tratto di circa cento metri. Non dimentichiamo, infine, di visitare il Cimitero degli Eroi.  Le visite guidate in collaborazione con il Comune di Trieste e il Comune di Aquileia sono curate dall’Associazione PerCarso e NET Srls

 

La seduzione. Mito e arte nell’antica Grecia nel progetto espositivo ‘Il Tempo dell’Antico’, fino al 13 gennaio 2019 a Vicenza

Vicenza – Afrodite, Eros, Elena di Sparta, giovani innamorati e fanciulle intente a farsi belle si sono dati appuntamento il 15 febbraio a Vicenza.
Si apre così un nuovo capitolo del progetto espositivo di Intesa Sanpaolo “Il Tempo dell’Antico”, un viaggio nella storia attraverso i preziosi vasi attici e magnogreci della collezione dell’Istituto che, indagando ogni volta un tema nuovo, fa luce sulla vita quotidiana di secoli lontani.

Nelle sale decorate in stile classico delle Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari, si dispiega il rito della seduzione e dell’amore, cantato dalle liriche di Saffo e dalle leggende della Grecia antica. Il rapimento dei sensi e la potenza di un sentimento talvolta fatale vanno in scena nelle loro diverse componenti, dai culti religiosi alla magia dei profumi, dei monili e della bellezza di corpi dipinti o scolpiti nel marmo.
Tra vasi a figure rosse, specchi ornati da sirene, contenitori di ciprie e unguenti tanto costosi da considerarsi attributi regali, spiccano tre eccezionali esempi di statuaria provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli: l’Afrodite di Sinuessa, acefala ma dalle forme splendenti, l’Afrodite che si slaccia il sandalo, adorna di ricercati gioielli in oro, e l’Afrodite Anadyomene, dai fianchi avvolti in sensuali drappeggi, rappresentata mentre strizza i capelli grondanti di acqua marina. Immagini di una dea che, nella prima sezione della mostra, testimonia insieme al figlio Eros la centralità dell’amore nell’immaginario greco, per poi passare al mito altrettanto proverbiale di Elena, la donna più bella del mondo, soggetto di crateri e loutrophoros, una forma vascolare legata alle nozze e alla femminilità.
Dopo gli dei, tocca agli uomini e le dinamiche della seduzione prendono corpo in gesti, incontri, ornamenti e rituali di bellezza minuziosamente raccontati dai pittori di ceramiche o da accessori che sono indizi di una cultura dei cosmetici estremamente raffinata, in parte provenienti dalle collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.

La seduzione induce all’amore ammaliando e ingannando le menti e i sensi dell’uomo e si realizza attraverso la compartecipazione di diverse dimensioni sensoriali: la bellezza dei corpi, delle vesti e dei monili, il profumo e le parole suadenti. L’esperienza d’amore nella cultura greca è considerata fortemente intrisa di religiosità posta sotto l’egida di Afrodite, la dea seduttrice per eccellenza.
Elena di Sparta (seconda sezione della mostra), è capace di ammaliare e fascinare con la sua proverbiale bellezza principi ed eroi. Le sue vicende e il suo potere seduttivo sono indagate a partire dal cratere di Intesa Sanpaolo che la ritrae insieme ai fratelli Dioscuri. Parallelamente è tracciata la personalità dei maschi seduttori che nella mentalità greca sono agli antipodi dei valorosi eroi guerrieri.

Dalle divinità e dal mito si passa quindi agli uomini: s’indagano le dinamiche di seduzione, realizzate attraverso la beltà – ottenuta con un’accurata preparazione, scelta di abiti, acconciature e gioielli – lo scambio di sguardi e di gesti, gli incontri fugaci. Forme vascolari destinate a contenere olii, unguenti, oggetti della cosmesi e del maquillage insieme a straordinari specchi bronzei dal Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, utensili funzionali al ‘farsi bella’ della donna e dal forte valore simbolico chiudono la visita alle quarantadue opere esposte. Numerose le attività collaterali per approfondire i temi della mostra, arricchita da contenuti multimediali e da un percorso olfattivo.
Ceramiche attiche e magnogreche dalla collezione Intesa Sanpaolo è dedicato alla valorizzazione e alla condivisione con la collettività della importante collezione Intesa Sanpaolo e presenta a rotazione nuclei di vasi selezionati su base tematica dalla raccolta. I vasi dipinti, che nell’insieme forniscono una significativa testimonianza della cultura e dell’arte della Grecia d’Occidente, furono prodotti tra il VI e il III secolo a.C. nelle officine ceramiche dell’Apulia e della Lucania o importati da Atene. Il catalogo è edito da Marsilio Editori.

“Il nuovo appuntamento del Tempo dell’Antico – ha spiegato il direttore centrale di Arte Cultura e Beni Storici di Intesa SanPaolo Michele Coppola – rinnova l’impegno della Banca per la valorizzazione del proprio patrimonio artistico e conferma il dialogo e la collaborazione con due importanti realtà italiane, i Musei Archeologici di Napoli e di Reggio Calabria. Grazie a un’originale mostra che approfondisce il tema della seduzione partendo proprio dai vasi in collezione Intesa Sanpaolo, le Gallerie d’Italia e Progetto Cultura dimostrano ancora una volta di sapersi affermare come luogo di promozione dell’identità e della tradizione culturale italiana”.

La storica Raccolta Caputi, messa insieme nella prima metà dell’Ottocento e oggi di proprietà dell’Istituto, si compone di 522 reperti provenienti dai corredi tombali di Ruvo di Puglia, fiorente città del mondo antico nell’attuale provincia di Bari. Prodotti nelle officine ceramiche dell’Apulia e della Lucania o importati da Atene, i vasi sono stati accuratamente restaurati, studiati e catalogati per essere presentati al pubblico a rotazione, in mostre tematiche che ne mettono in luce il contesto d’uso e di produzione attraverso coinvolgenti itinerari a ritroso nel tempo.

A cura dell’archeologa Federica Giacobello, La seduzione. Mito e arte nell’antica Grecia, sarà visitabile presso le Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari di Vicenza fino al 13 gennaio 2019.

 

Fonte: http://www.arte.it/notizie/vicenza/mito-e-arte-della-seduzione-alle-gallerie-d-italia-14119

Édouard Manet in mostra a Milano dal 3 marzo al 25 giugno

Dal 3 marzo al 25 giugno 2017, Palazzo Reale di Milano ospiterà una grande mostra dedicata a Édouard Manet (Parigi, 1832- ivi, 1883), il più grande pittore francese nella storia dell’arte, considerato il precursore dell’impressionismo. Oltre cinquanta importanti capolavori trasporteranno i visitatori nella Parigi della metà dell’Ottocento, nella quale il maestro ha rivoluzionato completamente il modo di fare arte non solo per i soggetti “sconvenienti” ma per le innovazioni stilistiche, ponendo con la sua pittura a creare più di tutti una cesura con la tradizione artistica precedente aprendone le porte alla modernità.

L’evento, prodotto da Skira in collaborazione con il Musée d’Orsay, che avrebbe dovuto tenersi in autunno a Torino, si svolgerà dunque al Palazzo Reale di Milano. L’intento dell’esposizione è raccontare la trasformazione della Parigi fin de siècle attraverso le opere del grande pittore che si interessò di rappresentare gli eventi a lui attuali e i lati gradevoli e positivi della moderna vita parigina in quel tempo, gli anni definiti “bella époque”, caratterizzati dall’ascesa di quella borghesia moderata e conservatrice con il suo benessere economico e la vita spensierata da sfarzo che vide l’aggiunta di teatri, musei, ristoranti, casinò e soprattutto cafè, con la creazione di grandi viali e piazze, grazie all’intervento di Eugène Haussman, prefetto e urbanista francese, che realizzò lo sventramento del centro medievale della città, trasformando Parigi da città antica a metropoli moderna.

La mostra dal titolo al momento provvisorio Manet, la Parigi moderna comprende, accanto alle tele dell’autore, i capolavori di Cézanne, Renoir e Degas, protagonisti della vicenda dell’impressionismo la quale attraversa la storia dell’arte in una parabola che durò circa venti anni (1860-1880); in un allestimento grandioso, così come hanno preannunciato le curatrici Caroline Mathieu e Isolde Pludermacher.

Manet e la sua sfida all’arte accademica

Autore di opere provocatorie, avverso nei confronti dell’accademismo e acuto osservatore del vero, Manet si distinse nell’ambiente artistico parigino che vide il formarsi di un folto gruppo di giovani pittori antiaccademici: Societè anonyme des artistes, peintres, sculpteurs, graveurs, chiamati impressionisti, come Monet e Renoir, che si riunivano al Cafè Guebois esprimendo le loro idee su tutta la pittura dei secoli precedenti. Édouard Manet fu dunque l’anticipatore e il maestro della pittura impressionista, la quale si differenziava dalle altre per il modo di guardare la realtà esterna.

Figlio di un giudice, nacque a Parigi nel 1832. A diciassette anni, il padre lo avviò alla carriera di ufficiale di marina, attività nella quale egli dimostrò la sua inadempienza. La sua passione era la pittura la quale riuscì a seguirla dopo aver ottenuto il consenso paterno. Fu così che il giovane Manet iniziò la sua formazione. I primi anni furono i più difficili avvennero presso lo studio del celebre ritrattista francese Thomas Couture, dove Manet stette sei anni, nonostante il suo spirito ribelle nei confronti delle regole accademiche e del maestro con il quale si racconta dei loro scontri verbali.

Sulla scia dei pittori realisti dell’epoca, egli preferì rappresentare la realtà com’era e non nella forma astratta e idealizzata come imponeva l’Académie des beaux-arts. L’artista amava rappresentare ciò che l’occhio vede al di là del campo visivo, abolendo i canoni della pittura: come la prospettiva, la rappresentazione per volumi, il chiaroscuro. Egli creava figure bidimensionali racchiuse in contorni, rimeditando, da una parte, le stampe giapponesi, e, dall’altra lo studio del linguaggio tonale dai pittori veneziani del Cinquecento ai fiamminghi del Seicento, alla pittura degli spagnoli Velazquèz e Goya, per l’uso dei colori puri che fissa sulla tela.

Non è eccessivo attribuire l’invenzione dell’impressionismo all’esaltazione della pittura veneziana cinquecentesca. Giorgione, Tiziano, e le opere degli Spagnoli, infatti, influenzarono la definizione del suo stile quando egli passava la maggior parte del tempo al Louvre copiando e ammirando le opere durante i suoi numerosi viaggi in Europa, visitando Firenze, l’Austria, la Germania, il Belgio, l’Olanda, l’Italia.

Un’ulteriore tassello alla definizione della sua pittura fu dato dall’incontro dell’artista con Claude Monet, cambiando idea sulla modalità di lavoro abbandonando l’atelier e cominciando invece a dipingere il quadro en plein air, lasciando che il suo pennello seguisse la spontaneità, secondo una delle caratteristiche principali della nuova pittura.

Differenze tra Monet e Manet

Ma tra Monet e Manet esiste una sostanziale differenza: guardano in modo diverso la realtà. Se il primo è tutto concentrato sulle percezioni ottiche date dalla luce, importante per la percezione dei vari colori nella rappresentazione della realtà sensibile continuamente mutevole, cercando di fissare esclusivamente le proprie sensazioni nell’osservazione della natura, cogliendone l’attimo fuggente, cioè le sensazioni di un istante perché nell’istante successivo potrà generare sensazioni diverse, il secondo dimostra di ritrarre scene di ambientazione quotidiana sollevando scandalo e polemiche negli ambienti accademici, sia per i soggetti trattati sia per le tecniche impiegate, aprendo la strada della libertà espressiva.

Fu specialmente per Colazione sull’erba che, nel 1863, al “Salon ufficiale”, prestigioso appuntamento d’arte parigino, che scoppiarono le proteste, tanto che l’opera comparve solo al “Salon dei rifiutati”, un fatto mai avvenuto prima, aperto per l’esposizione delle opere rifiutate, sebbene il soggetto della gita all’aperto o del concerto campestre, era stato dipinto molte volte in passato da artisti come Giorgione e Tiziano, i riferimenti formali della sua pittura.

Tiziano, Concerto campestre, 1510-12, Louvre, Parigi
Manet, Colazione sull’erba, 1863, Musée d’Orsay, Parigi

L’opera in questione ritrae una scena all’aperto con due personaggi in abiti borghesi, una figura femminile sullo sfondo e una donna nuda in primo piano. Gli accademici e il pubblico dell’epoca considerarono l’opera “volgare” non tanto per la presenza del nudo, ma per il fatto che quel nudo rappresentava una ragazza del tempo, non l’immagine di una figura idealizzata, come una dea o un personaggio mitologico, secondo i dettami della tradizione. Infine i personaggi non partecipano alla colazione ma è come se posassero per una foto, dunque, come la riproduzione di un’immagine reale.

Tiziano, Venere di Urbino, 1538, Galleria degli Uffizi, Firenze

 

Ancora una volta a rimandare a una foto è l’immagine di una modella nuda in una posa sfrontata sul letto: l’Olimpia. Presentata al “Salon” del 1864, l’opera, ispirata alla Venere di Urbino di Tiziano, provocò la rottura con l’Accademia in modo più esplicito. Mentre tutte le Veneri e le dee erano state rappresentate con sinuosità, l’opera risultò di difficile comprensione e la nudità è ribaltata: il corpo della donna emerge con un bianco uniforme che contrasta vistosamente con lo sfondo nero, la posa con la mano sinistra premuta sul ventre, ricorda alcune immagini pornografiche del tempo, il fiore nei capelli e il fiocchetto al collo fanno pensare che sia una prostituta, infine le pantofole mettono in evidenza che per casa giace nuda e ciò è ulteriore elemento provocatorio e dà l’impressione dell’aspettativa.

Come in una fotografia, dunque, ad indicare propriamente lo “scrivere con la luce” – dalla combinazione dei due termini greci phòtos (luce) e graphìa (scrittura) – così come accadeva nell’antica tecnica che proprio in questo secolo conobbe i suoi sviluppi in chiave moderna, Manet descrive virtuosamente la realtà quotidiana fissando attraverso il colore quel particolare istante impresso nella sua mente con l’utilizzo di pennellate giustapposte dai colori puri, cioè non miscelati, compresi il nero e il bianco, differenziandosi in ciò dai pittori propriamente impressionisti che li ritenevano dei non colori, sviluppando un nuovo modo di esprimere in pittura.

Nel 1874, anno della prima mostra dei pittori impressionisti presso lo studio del fotografo Nadar, infatti, Manet non partecipò all’esposizione, anche se questi lo consideravano un maestro e avrebbero voluto che egli facesse parte del loro gruppo.

L’ultimo Manet

Nell’ultimo periodo della sua attività Manet era gravemente ammalato, a causa di alcune forme reumatiche mai curate. Due anni prima della sua morte egli eseguì il suo ultimo importante dipinto: Bar delle Folies-Bergères, un caffè-concerto animato da spettacoli musicali di cui l’artista ritrae la cameriera dietro il bancone in una visione realistica in quel gioco di riflessi dello specchio alle sue spalle in cui si nota l’animata folla del caffè e, più a destra, la sagoma di un uomo che sta di fronte alla donna e le chiede da bere, superando così definitivamente le leggi della prospettiva; senza perdere  il primo piano del volto della ragazza segnato dalla fatica e dalla frustrazione di questa ad attenersi a quelle regole.

Manet rifiutò di far parte dei pittori chiamati impressionisti, volendo più di tutto entrare con un riconoscimento ufficiale tra i grandi della pittura francese. Ci riuscì, ricevendo la Legion d’onore poco prima di morire a Parigi nel 1883 a soli cinquant’uno anni.

Fin dagli esordi realisti, la sua produzione artistica fu discontinua e ricca, comprendendo anche molti ritratti. Tutto questo sarà visibile in una grande esposizione a Palazzo Reale di Milano che rende omaggio a un grande artista della Parigi dell’Ottocento e padre spirituale dell’impressionismo.

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