I deliri e l’ignoranza di Don Roberto Saviano

Roberto Saviano torna nuovamente a far parlare di sé. In occasione del 79° Festival del Cinema di Venezia, ha pronunciato parole che stanno facendo molto discutere:” La cocaina andrebbe legalizzata, solo così si bloccherebbero i pozzi di petrolio delle organizzazioni criminali. La cocaina regna perché la vita è una merda, che ti fa sentire troppo brutto, troppo povero, troppo grasso. Se io le dessi ora un sacchetto di cocaina (ha detto Saviano rivolgendosi al giornalista), lei la venderebbe prima ancora di lasciare il Palazzo del Cinema”.

Mentre in Italia si dibatte da anni se legalizzare la cannabis, Saviano si spinge oltre, proponendo la liberalizzazione della cocaina per contrastare il mercato nero e il business delle organizzazioni criminali. Addirittura, secondo alcuni malpensanti, Saviano avrebbe adoperato queste pericolose esternazioni, che meritano di essere decostruite da cima a fondo, per pubblicizzare ZeroZeroZero, serie Tv tratta da un suo romanzo.

Chiariamoci, la cocaina non va assolutamente legalizzata. A Roberto Saviano che crede che così facendo si sottrarrebbe il mercato alle mafie, rispondiamo ripercorrendo il pensiero di Paolo Borsellino.

Anche se, per usare le parole di Nicola Gratteri: “Non esiste attività lecita o illecita più redditizia del traffico di cocaina”, non si può fare un’equazione tra mafia e traffico di sostanze stupefacenti, perché la mafia esisteva anche prima di questo traffico e, anche se lo Stato riuscisse teoricamente a sottrarre alla criminalità tutto il mercato della cocaina legalizzandola, le mafie non ne uscirebbero sconfitte poiché riconvertirebbero i loro già innumerevoli guadagni in altri settori.

Ma ancora, più realisticamente bisogna ammettere che legalizzando la cocaina non si eliminerebbe affatto il mercato clandestino, perché le categorie più deboli e meno protette, come i minori che non potrebbero accedervi, sarebbero le prime a rifornirsi sul mercato nero, assieme probabilmente alla maggioranza della domanda per ragioni di prezzo.

È terribile da pensare, ma non è sicuro che uno Stato democratico, in cui all’efficienza si preferisce il pluralismo, riesca a sottrarre l’intero mercato ad un’organizzazione non democratica, gerarchizzata, razionale ed estremamente efficiente come la ‘Ndrangheta che già opera a pieno regime, importando dalla Colombia gran parte della cocaina che si vende sul mercato nero. Non è sul terreno dell’illegalità che lo Stato deve rincorrere le mafie per sconfiggerle.

Inoltre, potrebbe essere conveniente ma non giusto moralmente che lo Stato si arricchisca tassando e lucrando su qualcosa che nuoce alla salute e crea dipendenza nei cittadini, in una illogica-logica che vedrebbe innalzarsi vertiginosamente le spese sanitarie per finanziare percorsi di recupero, creando una piega sociale come già accaduto con il gioco d’azzardo.

Legalizzare la cocaina vorrebbe dire diminuire la disapprovazione sociale che il suo consumo comporta riducendo la percezione del rischio, ciò ne farebbe aumentare la domanda. Una società in cui attraverso la legge si incentiverebbe l’utilizzo della cocaina per rincorrere i frenetici ritmi della vita post-moderna e per gestire le relazioni sociali, sarebbe una società intrinsecamente malata, depressa e psicotica, in cui la devianza diventerebbe la normalità.

Caro Roberto Saviano, la vita non è solo una merda che ti fa sentire troppo brutto, troppo povero o troppo grasso, fino a quando si ha la lucida capacità di autodeterminarsi; lo spaccio della droga è una piaga da non incentivare che lo Stato deve sconfiggere, non un terreno sul quale rincorrere e competere con le organizzazioni criminali.

Cari lettori, sceglietevi degli intellettuali che vi mostrino e vi educhino alla bellezza, non alla degenerazione.

 

Matteo Cosco

Nicola Gratteri, “La malapianta”

Nicola Gratteri

La forza della mafia è direttamente proporzionale alla fragilità e all’incapacità delle istituzioni; questo  lapidario concetto emerge dalla lettura del libro- conversazione con Antonio Nicaso (tra i massimi esperti di ‘Ndrangheta al mondo e storico delle organizzazioni criminali), “La malapianta” del magistrato calabrese antimafia Nicola Gratteri (Gerace, 22 luglio 1958).

Tra i magistrati più conosciuti della DDA, Gratteri è   in prima linea nella dura lotta alla ‘Ndrangheta, la criminalità organizzata calabrese, e per questo vive sotto scorta dal 1989; nel 2009 è stato nominato procuratore aggiunto della Repubblica. Solo un mese fa, per il nuovo Governo Renzi, si  era fatto con  una certa  insistenza il suo nome per la carica di Ministro della Giustizia che però alla fine è stata affidata ad Andrea Orlando.

Già con “Fratelli di sangue”  e “La mafia fa schifo”, Gratteri aveva dato prova di particolare cura e meticolosità per quanto riguarda l’aspetto storico-geografico della criminalità organizzata calabrese, una vera e propria mappa antropologica che scava dentro l’animo e la mentalità dei mafiosi; ne “La malapianta”il magistrato prosegue  la sua indagine su questo fenomeno fondato su  liturgie, alleanze di potere, rapporti massonici, religiosità, onore, codici “morali” ma concentrandosi soprattutto sulla portata internazionale della ‘Ndrangheta e sul  rapporto perverso che intercorre tra  quest’ultima e la politica corrotta.

Gratteri approfondisce la sua inchiesta partendo da un’amara constatazione: la mafia è l’organizzazione più potente al mondo grazie al suo  poderoso controllo su quasi tutta la cocaina d’Europa, e prosegue razionalmente e analiticamente fornendoci dati impressionanti come si legge nella sinossi del libro: la ‘Ndrangheta fattura annualmente  44 miliardi di euro, il 2,9% del prodotto interno lordo. Il “core business” è rappresentato dal traffico di droga : un ricavo di 27.240 milioni di euro all’anno, il 55% in più rispetto al ricavo annuo della Finmeccanica, il gigante dell’industria italiana. A questa spettacolare espansione fa da triste  contraltare il degrado sociale e ambientale della Calabria, prigioniera di una criminalità che la opprime, ne sfrutta famelicamente ogni risorsa e poi l’abbandona impietosamente al suo destino. La crescita e la fortuna di questa malapianta viene raccontata attraverso temi ed eventi cruciali: dalle lontane origini alla stagione dei sequestri di persona, all’espansione sul territorio italiano e all’estero; dalle collusioni con la politica alla conquista della leadership nel traffico di droga, alle vicende dei rifiuti tossici.

La famiglia e soprattutto le donne che fomentano la collera dei loro uomini  rappresentano la scorza durissima dell’organizzazione criminale calabrese, di questa malapianta resa fertile negli anni dalle purtroppo famose e lontane stagioni di sequestri di persona, dalla capillare espansione in Italia e all’estero (non a caso i mafiosi si definiscono degli “imprenditori”), di infiltrazioni negli appalti, e ovviamente di collusioni con la politica, considerata purtroppo una mafia istituzionale, l’altra faccia della “piovra”.

fratelli di sangue

Momento cruciale  è stato senza dubbio la strage di Duisburg, la ‘Ndrangheta ha attirato su di sè i riflettori di tutto il mondo, alla domanda di Gratteri su chi avesse deciso che bisognava smetterla con quella faida che si era protratta sino in Germania, Nicaso risponde: <<Dopo la strage i boss più importanti della ‘Ndrangheta si sono riuniti a Polsi, in occasione della festa della Madonna della Montagna. Da un’indagine a Seminara, siamo venuti a sapere della presenza a Polsi, in qualità di pacieri, delle famgle Alvaro e Gioffrè. Da sms inviati da persone oggetto di indagini a San Luca abbiamo avuto conferma della pace che era stata siglata dai clan coinvolti nella faida.Gente che prima aveva paura di mettere il naso fuori dall’uscio ha cominciato a farsi vedere in giro, senza timore di essere ammazzato>>.

L’ aspetto che  più di tutti  colpisce e scuote le nostre coscienze, a parte, naturalmente, quello umano e  personale  del grande magistrato quando si racconta alla giornalista Paola Ciccioli, è la citazione letteraria con cui Gratteri spiega  cos’è la mafia, e che non deve essere combattuta, come sosteneva anche Sciascia, sulla scia dell’emotività, quando siamo davanti ad una tragedia e, a quel punto, non si può fare a meno di intervenire (la politica ha fatto questo).  Ne riportiamo un passo:

La ‘Ndrangheta raccoglie in sè la religione della famiglia, espressa chiaramente ne “I Malavoglia” di Verga, che è sempre stata al centro del modo di essere del calabrese, come del siciliano. Ciò che conta è il legame di sangue, il senso del clan familiare. Come ha scritto Silvia di Lorenzo, “lo Stato è un padre nemico e castrato, di fronte alla Madre.mafia fallica e onnipotente, i cui figli non riconoscono il diritto, ma il legame di sangue, non la legge paterna, impersonale e uguale per tutti, ma la fedeltà di stampo materno […].”

E in Italia i diritti sono stati trasformati in favori , sistema che ci contraddistingue dalla società mitteleuropea..tutto torna, purtroppo.

Nicola Gratteri combatte ogni giorno questa guerra, tra miti da sfatare,uno su tutti il famigerato codice d’onore che vuole che bambini e donne siano intoccabili, (ma la mafia non guarda in faccia a nessuno, in realtà) e clientelismo, non ha mai voluto lasciare la sua terra, e in questo libro è riuscito a trovare parole di speranza e di amore per la parte onesta e bella della sua terra. L’uomo che al telefono invece di rispondere “Pronto?” risponde “Chi è?”, e questo la dice lunga sulla sua storia personale, che ha sempre odiato i prepotenti, che non si è mai pentito della sua scelta, afferma con fermezza la necessità di lottare contro questo fenomeno con forti mezzi: il carcere duro, la confisca dei beni, l’impegno delle istituzioni, la riapertura dei penitenziari sulle isole di Pianosa, Favignana, l’Asinara, Gorgona, chiusi dopo le stragi di Palermo, migliorare l’attuale legislazione antimafia.

 

 

 

 

 

 

 

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