Guido Gozzano, il mondo dell’infanzia e la bellezza poetica del consueto: Epifania e simbologia della natività

Una breve ma intensa carriera quella di Guido Gozzano, poeta crepuscolare nato a Torino il 19 dicembre 1883 e scomparso a soli 32 anni a causa della tubercolosi che lo affliggeva da tempo. Nella sua produzione poetica rifulgono due tematiche fondamentali: la malinconia e la nostalgia (legate anche all’epifania religiosa).  La vita di provincia che scorre lenta, le piccole cose consuete, l’interesse verso il quotidiano, la borghesia descritta con lucido distacco attraverso  toni raffinati ma disincantati; uomini che si contornano di  buone cose di pessimo gusto senza accorgersi della transitorietà dell’esistere, il fascino per la mediocrità del quotidiano che rifugge il mito sfavillante del dandy di D’Annunzio.

Un’esistenza breve quella di Gozzano che, tuttavia, ha influenzato l’intero Movimento Crepuscolare.  Nella poesia La signorina Felicita contenuta nella raccolta postuma  I Colloqui –  la più nota del poeta torinese e manifesto poetico del Crepuscolarismo – sono contenute tutte le tematiche care all’autore e alla stessa corrente letteraria; l’aulico si mescola al quotidiano, la tendenza all’ironia, la morte e la malattia incastonate in una dimensione malinconica ma  vivida. Le stoviglie azzurre, la semplicità di un’abitudine casalinga:

M’era più dolce starmene in cucina

tra le stoviglie a vividi colori:

tu tacevi, tacevo, Signorina:

godevo quel silenzio e quegli odori

tanto tanto per me consolatori,

di basilico d’aglio di cedrina….

Lo stile raffinato e colto di Gozzano  così come  l’esplorazione di temi legati al fascino della realtà quotidiana, alla borghesia e alla società si espandono anche al tema della religione e alla produzione letteraria per l’infanzia.

La dimensione dell’infanzia

Guido Gozzano è un poeta con lo sguardo rivolto al passato: in questo senso, spesso, nelle sue opere è possibile ritrovare rimandi al tempo che fu e ai contesti familiari e casalinghi. Un esempio è la poesia L’amica di Nonna Speranza ma anche il componimento Il nonno, contenuto nella raccolta I sonetti del ritorno, 1907 in cui Gozzano ricorda la figura del nonno durante la sua infanzia mentre soleva passeggiare fra i sentieri e il suo capo canuto brillava nella luce chiara della campagna salvo poi ritornare alla realtà: il poeta si rivede nello specchio del salotto guardando i suppellettili; frutti di alabastro finti e non le primizie ulimose raccolte dal nonno.

Il tonfo angosciante del reale lo riporta nel presente, appurando che l’amato nonno non c’è più.  Infanzia è sinonimo di calore, casalingo e familiare per il poeta ma non solo, in quanto diventa  passaggio obbligatorio per accedere a ‘’il caro, il dolce, il pio passato’’, citando in questo contesto un personaggio letterario con la testa perennemente rivolta al tempo trascorso: Micòl, protagonista del romanzo Il Giardino dei Finzi-Contini di  Giorgio Bassani. La perenne ricerca del passato da parte di Gozzano risulta tangibile  non solo nella sua produzione letteraria ma anche nell’interesse del poeta verso le simbologie religiose come il presepe e la stessa Natività  di Gesù Bambino che Gozzano amava vivere proprio attraverso questo simbolo.

Una personalità rivolta al passato: la simbologia del Presepe e l’Epifania

Il poeta scrisse numerose composizioni per bambini raggruppate nella raccolta Rime per bimbi. Fine ricercatore della sua epoca, il suo interesse per la simbologia del presepe lo porta  a vivere la nascita di Gesù Bambino proprio attraverso questo simbolo.  Nel componimento La Notte Santa  Gozzano sottolinea l’insensibilità degli uomini nei confronti di Maria e Giuseppe contrapposta alla dolcezza del mondo animale nei loro riguardi:

– Oste di Cesarea… – Un vecchio falegname?

Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?

L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame

non amo la miscela dell’alta e bassa gente.

 

Nuovamente il poeta torinese mette in risalto l’umanità della pecorina di gesso nella poesia Natale, a discapito dell’aridità dell’uomo; la pecorina,  l’asino e il bue  accolgono la Madre e il Padre del Salvatore. Gozzano  intravede il destino del Redentore già nella spoglia capanna che gli dà i natali: quelli che non accolgono Giuseppe e Maria neppure in un giaciglio e neanche in una condizione di attesa come quella della Vergine, sono gli stessi che il Bambino incontrerà sulla Via del Calvario: coloro i quali volteranno le spalle al Salvatore.  Maria e Giuseppe  trovano solidarietà nel bue, nell’asino e anche nella pecorina di gesso che ”chiede umilmente permesso ai Magi in adorazione”.

L’Epifania e la figura della Befana: quando i simboli religiosi incontrano il mondo infantile

La parola Epifania deriva dal greco –  ἐπιφάνεια, epifáneia, epifania – e il suo significato rimanda a una ”manifestazione” o ”rivelazione”; nella religione cristiana indica la rivelazione della divinità di Gesù ai Tre Magi in visita a Betlemme, ovvero la prima  manifestazione pubblica di Gesù ai popoli. Nella tradizione italiana al significato religioso si associa anche la figura folcloristica della Befana, vecchina dall’età imprecisata che dona dolciumi in volo a una scopa.

I versi  di Guido Gozzano dedicati all’Epifania, però, restituiscono al lettore moderno un contesto distaccato dalle epoche moderne dove edonismo del consumo e sprechi si susseguono. Nel componimento del poeta crepuscolare la magia dell’attesa si fonde all’incantata simbologia delle calze appese al camino e alla pura  ingenuità dei bambini; l’ultima festività del periodo natalizio era, infatti, una delle ultime occasioni per gustare qualche leccornia, laddove un tempo si viveva di poco e si attendeva con trepidazione il momento del dono. Anche in questo caso, Gozzano collega una consuetudine casalinga e intima come l’attesa della Befana  e la fine delle festività alla dimensione infantile e al passato, attraverso  lo sguardo strabiliato e trepidante dei bambini che attendono l’ultimo incanto. La Befana di Guido Gozzano appartiene alla raccolta postuma Le dolci rime (1935) e proprio attraverso i versi dedicati alla figura della vegliarda signora che  nei cieli freddi di gennaio si reca a distribuire doni ai più piccoli rivive, pulsante, la memoria nostalgica di un’infanzia perduta e di un mondo sgretolato dalla realtà che presto o tardi travolge gli adulti, facendo perdere la purezza dello stupore infantile.

 

Discesi dal lettino

son là presso il camino,

grandi occhi estasiati,

i bimbi affaccendati

a metter la scarpetta

che invita la Vecchietta

a portar chicche e doni

per tutti i bimbi buoni.

Ognun, chiudendo gli occhi,

sogna dolci e balocchi;

La poesia, nonostante sembri apparentemente una filastrocca, è pervasa da un tono estremamente malinconico. Il messaggio di Gozzano è chiaro: crescendo svanisce la magia dell’infanzia. Nessun adulto rivolge il viso al cielo nella speranza di vedere svettare nell’etere una scintilla luminosa, un baluginio di stelle che anticipa l’arrivo dell’incanto. Da adulti tutto sembra scorrere con un’inerzia di sottofondo che accompagna come una nenia:  la magia dell’infanzia perduta non è recuperabile, così come quel passato ormai troppo antico.

Che visione incantata

nella notte stellata!

E la vedono i bimbi,

come vedono i nimbi

 

degli angeli festanti

ne’ lor candidi ammanti.

Bambini! Gioia e vita

son la vision sentita

 

nel loro piccolo cuore

ignaro del dolore.

 

Come accade per La Notte Santa, anche nella poesia La Befana Gozzano lega il componimento al significato religioso e quindi all’epifania, alla prima manifestazione di Gesù ai popoli e all’arrivo dei Re Magi che, guidati dalla stella cometa, omaggiano il Divin Bambino con i loro doni. Solo i bambini, però, possono avere il privilegio di avere questa visione incantata in quanto un certo tipo di immaginazione incontaminata dalla realtà è tipica di questo periodo della vita che svanisce una volta diventati adulti.  Proprio per sottolineare la purezza dell’animo infantile si serve di un il parallelismo con le creature angeliche.

La meraviglia è possibile grazie a una condizione che, purtroppo, non permane nell’età adulta e, a tal proposito, Guido Gozzano offre una risposta universale attraverso la venatura malinconica che contraddistingue la sua produzione poetica: “il loro piccolo cuore è ignaro del dolore”.  Lo sguardo liliale che si perde a scrutare il cielo in attesa di un brillio è possibile perché il cuore dei bambini non conosce, ancora, dolore: prerogativa a termine, relegata solo all’infanzia, che in un momento imprecisato si dissiperà.

L’incantesimo sarà spezzato dalla realtà e dalla consapevolezza dell’età adulta: sta qui tutta la malinconia del poeta, nel rincorrere una dimensione perduta, nel ricercare l’incanto del passato nelle  atmosfere infantili e in momenti consueti dove intimità, religione e simbologia si incontrano.

 

I migliori e i peggiori film del 2022

In proporzione ai numeri dei biglietti staccati anche nel 2022 un pugno di film belli e brutti potrebbero bastare. Per fortuna o purtroppo ci sono quelli visti in tv e qui il discorso, oltreché allargarsi a dismisura, si farebbe ingarbugliato e per di più superfluo. Infine ci sono da rispettare le categorie: prendersela con i fanti mettendoli in gara con i santi è roba da cinegrilli parlanti. Un minimo di cautela va infine usata con gli interlocutori: tirare fuori dal cilindro titoli cervellotici o invisibili ai comuni mortali è il tipico vizio degli esperti. Per l’agonia delle sale è anche loro un briciolo di colpa.

MIGLIORI. “Ennio”: Tornatore ci tramanda tutto Morricone: l’uomo, la musica, i film, l’empatia tra il regista e il compositore, l’amore degli amici e dei colleghi. Ma soprattutto prorompe dalla sapiente tessitura un amore no limits per l’arte che emoziona e commuove in ogni fotogramma

The Batman”: A partire dai fantasmagorici quindici minuti iniziali, il regista Reeves in stato di grazia riesce a coniugare il mistero con l’orrore, sino a far sì che un film di supereroi non sia più un film di supereroi bensì un’immersione nella paura e il delirio della nostra epoca implosa.

La stranezza”: Andò procede mantenendo vividi il ritmo, la riflessione e lo spasso e facendo risaltare la moderna e acquisita esigenza della fusione tra alto e basso, realismo e metafora, ispirazione e fantasia, attori e spettatori sulla ribalta e nello schermo.

Athena”: Romain Gavras ci regala all’inizio uno dei piani-sequenza più sbalorditivi e memorabili mai visti su uno schermo per poterci immergere nel corso di tutto il film nel caos incontrollabile della banlieue parigina messa a ferro e fuoco dalla guerriglia societaria.

Parigi, 13arr.”: Audiard ambienta nel quartiere di Parigi soprannominato Les Olympiades un triangolo erotico sfrenato e disperato, perfetto per restituire la precarietà della nuova gioventù nel lavoro e i sentimenti.

The Fabelmans”: Nella semi-autobiografia di Spielberg l’epicedio struggente dei passaggi dall’infanzia all’adolescenza e insieme una dichiarazione d’amore al cinema e all’enorme peso epico e simbolico che vi hanno aggiunto i maestri. Truffaut e John Ford prima di tutti.

Maigret”: Depardieu messo in grado d’integrare la propria debordante fisicità nella deriva crepuscolare del personaggio e nella strisciante depressione che conferisce ai suoi movimenti e sguardi la risonanza di un animale morente nella giungla metropolitana. A ben vedere un poliziesco di fantasmi.

Perfetta illusione”: La forma in una brillante, allusiva e maliziosa “tranche de vie” sull’eterno sfasamento degli umani tra l’illusione e la realtà interagisce con il contenuto in linea verticale, cioè facendo affiorare in scioltezza le metafore dai fatti anziché disporle sulla consunta linea etico-sociale orizzontale.

Nostalgia”: Per Martone sulle tracce del romanzo di Rea la ricerca del tempo perduto del protagonista diventa un viaggio re-iniziatico senza uscite di sicurezza napoletaniste, bensì supportato dalla capacità visionaria di illuminare i lati più arcani e infetti del labirinto metropolitano.

PEGGIORI “Il paradiso del pavone”: Lungi dall’accostarsi alle satire antiborghesi bunueliane, il film suscita l’impressione di un’immane pretensione soprattutto nei momenti top come quelli dell’outing lesbico dell’arcigna decana o delle spregevoli performance di (tutti) gli spregevoli maschi. Il colmo del grottesco si raggiunge, però, nella scena del funerale dello stolido pavone Paco fracassatosi al suolo perché ha le ali ma non sa volare. Afferrata la metafora?

Il colibrì”: “Hai letto il libro?”. “No e mi dispiace”. “Hai visto il film?”. “Sì e mi dispiace”. La trasposizione dell’Archibugi sembra l’emblema del cinema italiano più decorativo, un compendio snervante di pretensioni artistiche e iperboli melodrammatiche inanellate con un parossismo che farebbe fatica ad accreditarsi persino nei saggi di Eco sul romanzo rosa di Liala e Carolina Invernizio.

Triangle of Sadness”: Ostlund scivola senza ammortizzatori nel limbo di una satira vecchia e stantia grazie a cui si rivela al mondo che i ricchi sono cinici e il liberismo è una schifezza. Fin qui ci sono arrivati in tanti e tutti – da Bunuel a Ferreri, da Von Trier a i Monty Pyton- più incisivamente di lui; ma il problema sta nel fatto che l’overdose inficia l’allegoria grottesca. Come se il divertimento consistesse nell’umiliare personaggi indifendibili in partenza e nel richiedere al pubblico una gongolante complicità mostrandogli i più odiosi annegare nel loro vomito e la cacca.

Chiara”: La voglia matta di riportare il Duecento alle polemiche odierne, a una modernità da collettivo liceale rende impraticabile l’intento sia di cogliere la pregnanza storica degli eventi, sia di valorizzare la messinscena tra il realistico, lo ieratico e il sacrale. È proprio la premeditazione che raffredda e rende imbarazzanti i balletti in stile Figli dei Fiori o la canzone finale trendy del contemporaneo Cosmo.

 

10 Migliori e 4 peggiori film dell’anno solare 2022

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