La Notte delle Stelle all’Anfiteatro Campano. Il grande omaggio a Ennio Morricone con il concerto di Lello Petrarca

Musica, arte, enogastronomia ed astronomia. Saranno gli ingredienti di una delle “Notti delle Stelle” più speciali in programma quest’anno in Campania per San Lorenzo. La Notte delle Stelle ideata dall’Arena Spartacus Festival, la rassegna di cinema, danza, letteratura, musica e teatro che anima tutte le sere estive l’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere, il secondo più grande al mondo per dimensioni dopo il Colosseo. Il programma completo del Festival propone per lunedì 10 agosto il concerto di Lello Petrarca pianista, compositore, polistrumentista ed arrangiatore che tra le sue molteplici collaborazioni vanta quelle con Nino Buonocore, Daniele Sepe, Stefano Di Battista, Markus Stockhausen, Fabrizio Bosso, Gabriele Mirabassi e tanti altri. Sarà un viaggio musicale da “Morricone a Napoli” quello di Petrarca. Un concerto inedito che miscelerà le musiche da film del grande Ennio Morricone scomparso da appena un mese con composizioni originali e rielaborazioni dei temi più noti delle varie tradizioni musicali, a cominciare da quella partenopea.

Prima del concerto a partire dalle 20 come ogni sera nell’ambito dell’Arena Spartacus Festival sarà sempre aperta l’area caffetteria, pizzeria e ristorazione stabilmente curata da Amico Bio Arena Spartacus, che dal 2013 è il primo ristorante biologico al mondo in un sito archeologico e che in occasione del Festival propone speciali menù tematici a prezzi ridotti. Dopo il concerto l’osservazione delle stelle cadenti sul prato dell’Arena Spartacus a due passi dall’Anfiteatro Campano nella sua versione notturna illuminata.

Joe Barbieri, Daniele Sepe e Sergio Caputo nel programma musicale di Agosto sul palco dell’Anfiteatro Campano che nella sezione Teatro ospiterà anche “La guerra di Troia” del Demiurgo

La sezione musicale del Festival, diretta da Donato Cutolo, a fine Agosto, dopo i due grandi tributi a Stevie Wonder ed Ennio Morricone, metterà in campo tre calibri da 90 con i concerti di Joe Barbieri (25 Agosto) e Sergio Caputo (30 Agosto) organizzati in collaborazione con il Napoli Jazz Club e con la ‘ciurma’ guidata da Daniele Sepe che il 27 Agosto porterà sul palco dell’Arena Spartacus “Le nuove avventure di Capitan Capitone”.

Dopo le serate comiche di Luglio la sezione teatrale dell‘Arena Spartacus Festival, diretta da Maurizio Zarzaca, il 28 Agosto accenderà i riflettori sull’epica e sulla storia ospitando “La guerra di Troia” rivisitata da “Il Demiurgo”, una delle più importanti compagnie teatrali italiane del settore della narrazione teatrale all’interno dei siti culturali. Un preludio di future iniziative che la rete culturale nata attorno al Festival organizzerà anche con le scuole della Campania.

Dai film d’autore alle pellicole da Oscar musicati da Morricone: la sezione cinema ospita anche nuove uscite e anteprime nazionali come “Il delitto Mattarella” e “Crescendo #makemusicnotwar”

Cinque le serate fisse del Festival, organizzate con la direzione artistica di Nicola Grispello, stabilmente dedicate al cinema (lunedì, martedì, mercoledì, sabato e domenica). Il martedì continueranno le “Anteprime al Cinema“: pellicole mai viste al cinema causa Coronavirus, ma presentate in Premium video on demand, e riproposte ora sul grande schermo con lo scopo di riavvicinare il pubblico ad una visione collettiva del film dopo il ‘lockdown’. Come avverrà, ad esempio, martedì 11 Agosto per “Favolacce” il film dei fratelli d’Innocenzo, con uno straordinario Elio Germano, vincitore dell’Orso d’argento al Festival di Berlino per la migliore sceneggiatura. Il mercoledì saranno presentati i film Premi Oscar e vincitori di Festival internazionali. Una categoria in cui spiccano “C’era una volta a Hollywood” di Quentin Tarantino premiato con l’Oscar 2020 a Brad Pitt (12 Agosto) e “Green Book” di Peter Farrelly trionfatore agli Oscar 2019 come miglior film dell’anno (26 Agosto).

Scarica il Programma Agosto 2020 (1)

Il discorso del Re: linguaggio e stile

Il discorso del re (See-SawFilms, 2010) è un docu-drama diretto da Tom Hooper incentrato sui problemi di balbuzie di re Giorgio VI e sul suo rapporto col logopedista, e in seguito amico, Lionel Logue. Una vicenda sconosciuta ai più, tenuta nascosta per volere dell’attuale Regina Elisabetta d’Inghilterra. Il film ha vinto il premio del pubblico al Toronto International Film Festival, al British Independent Film Awards 2010, ha ottenuto 7 candidature ai Golden Globe 2011 (una ha fruttato il Golden Globe per il miglior attore in un film drammatico al protagonista Colin Firth), 7 BAFTA incluso miglior film dell’anno e miglior film britannico, nonché 4 premi Oscar su 12 candidature: miglior film, miglior regia, miglior attore.

Il discorso del Re: trama, contenuti, stile

Protagonista e miglior sceneggiatura originale. Il cast è d’eccezione: Colin Firth interpreta il principe Albert, futuro re Giorgio VI, Geoffrey Rush veste i panni del logopedista Lionel Logue, Helena Bonham Carter la moglie del principe Albert, Elizabeth Bowes-Lyon, Guy Pearce interpreta Edoardo VIII e Michael Gambon re Giorgo V. La storia, su modello della tradizione teatrale, comincia con un’ouverture che introduce lo spettatore alla prima scena: siamo nel 1925 e il duca di York, futuro re Giorgio VI, deve tenere il discorso di chiusura dell’Empire Exhibition di Wembley. Ma il principe non riesce a parlare fluentemente, a causa di un problema di balbuzie che ha sin da bambino, e purtroppo rende pubblico il suo disturbo a tutta la Nazione grazie a una nuova invenzione: la radio. La trama de Il discorso del re si sviluppa dagli anni ’20 allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, dalla morte di re Giorgio V all’abdicazione del figlio maggiore re Edoardo VIII in favore del fratello, il principe Albert, in seguito alle polemiche causate dal suo matrimonio con una donna divorziata. Albert vive un profondo disagio circa il suo problema di balbuzie e in un clima di demotivazione decide di non tenere più discorsi pubblici, fino a quando la moglie contatta un logopedista di origine australiana, Lionel Logue, famoso per le sue tecniche di cura ‘particolari’. Il professionista, infatti, invita il duca a mettersi in bocca sette biglie, affermando che si tratti di un approccio classico che aveva curato anche Demostene. Elizabeth, la moglie del principe, rimane interdetta davanti ai metodi di Lionel, anche se ripone fiducia in lui: “È stato nell’antica Grecia!”, commenta la donna, aggiungendo: “Ha più funzionato?!”.

Il percorso di cura, fra alti e bassi, e frequenti scontri fra Albert e Lionel, continua anche quando il duca di York sale al trono col nome di re Giorgio VI. Lionel curerà ogni discorso pubblico del nuovo sovrano, dall’incoronazione allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Il discorso del re analizza accuratamente il disagio psicologico e l’ansia da prestazione che impedivano are Giorgio VI di parlare fluentemente, frenato anche dalla derisione suscitata da sempre nel padre e nel fratello maggiore. Grazie a un accurato sostegno psicologico, operato dalla moglie Elizabeth, e da un incentivo professionale, messo in atto da Lionel Logue, re Giorgio VI riuscirà a superare il suo problema, trovando in Lionel anche un amico fidato che gli resterà accanto per tutta la vita. Il discorso del re è stato anche approvato da Elisabetta II, figlia di re Giorgio VI, che ne ha lodato la precisione storica, pur essendo un film basato su un rapporto di amicizia e fiducia, e non un documentario di approfondimento storico, dentro l’Europa dei totalitarismi. Nella sua raffinatezza, la pellicola di Hooper riesce ad essere pop, accessibile a tutti, avvalendosi di un linguaggio aristocratico, alto per il Re, e uno basso, eccessivamente popolano per il logopedista, nonché giocata su diversi piani di lettura: è presente la critica alle regole di corte e alla Chiesa stessa, Chiesa Anglicana apparentemente servile nei confronti del Re ma alla ricerca della supremazia del potere; una riflessione sull’utilizzo delle comunicazioni di massa e sulla propaganda politica; il tutto configurato come un godibile mix di dramma e umorismo per un film non perfettamente riuscito, lacunoso dal punto di vista storico-politico.

Perché il film “La grande bellezza” non può esserci estraneo

Paolo Sorrentino

Molti si chiederanno perché  Novecento Letterario  abbia deciso di trattare un film invece  di un romanzo, seppur non si tratti di un film qualsiasi ma del  film italiano che ha trionfato nella notte degli Oscar lo scorso 2 marzo 2014, “La grande bellezza” del regista napoletano Paolo Sorrentino. La risposta è molto semplice:  crediamo che  questa vittoria possa essere da sprone per riuscire sempre di più, con impegno e passione, in questo progetto culturale. Già, la cultura, la tanto osannata cultura che tutti menzionano ma  sulla quale in pochi vogliono puntare davvero, Novecento Letterario cerca di fare proprio questo: valorizzare la cultura e i talenti, far conoscere giovani scrittori, i romanzi del ‘900 ( celebri e meno celebri),  i loro autori, i più grandi critici letterari,  e tanto altro  ai nostri  lettori. Sorrentino ha portato sul podio più alto la nostra cultura, il nostro Paese invitandoci ad essere ottimisti e a mettere la cultura al primo posto con un film dall’altissimo valore tecnico-artistico, fotografando una città che pullula di cultura, di storia, di arte, quale è Roma. E proprio grazie al film di Sorrentino, Roma è presa d’assalto dai turisti che vogliono ripercorrere le tappe del protagonista del film, scoprendo luoghi meno conosciuti. Fare cinema è produrre cultura,  proprio  come scrivere un libro.

“La grande bellezza” è un film ambiguo, fluido, controverso che non può non dividere e far discutere. Ma quello che sorprende negativamente sono certe prese di posizione a prescindere, soprattutto di chi non ha mai visto un film di Sorrentino e lo ha stroncato gratuitamente e di chi non perde occasione per far valere il detto”l’erba del vicino è sempre più verde”. Dovremmo essere più nazionalistici, sbarazzandoci dell’eccessiva esterofilia che ci contraddistingue ed  essere capaci di gioire se un film italiano dopo 15 anni torna a vincere un Oscar. Ma non solo perché è made in Italy. “La grande  bellezza” è un film bellissimo, potentissimo dal punto di vista visivo che ricorda il miglior Fellini (non tanto “La dolce vita” come si è spesso detto e scritto, ma “Otto e mezzo”). Un affresco umanistico megalomane, dilatato, fatto di rilanci narrativi, e  soprattutto lungo; è stato liquidato da alcuni come “noioso” (e lo ha dichiarato lo stesso Sorrentino)ma come non può essere a tratti noioso un film che parla della noia e della decadenza? Sorrentino ha osato, nel raccontare il nostro smarrimento, tralasciando la politica (scandalizzando i più radical chic) e concentrandosi soprattutto su certe categorie sociali (ricordando la crisi dell’intellettualismo che Ettore Scola ha raccontato nel film “La terrazza”); onore al merito. Tra canti gregoriani che si mescolano con Antonello Venditti e Raffaella Carrà, e aforismi che ci vengono propinati con cinismo dallo scrittore e giornalista fallito Jep Gambardella (uno strepitoso Tony Servillo), l’autenticità e una certa consapevolezza di quello che siamo diventati è facilmente trovabile in spogliarelliste in crisi piuttosto che in cardinali evasivi e che prediligono l’arte culinaria alle questioni spirituali. E come non può essere trasfigurata anche Roma stessa, che sembra una diva morta ma affascinante e suggestiva, attraverso gli occhi disincantati del protagonista?

Non bisogna smarrire la strada che conduce alla grande bellezza che per Sorrentino è rappresentata, secondo me, dalla giovinezza e dalla purezza perdute, da un tempo che non torna più (ma il regista napoletano racconta giù un tempo che non c’è più) e dalla spiritualità e dalla tenerezza incarnata dalla commovente suora in ciabatte che verso la fine della pellicola dirà “che le radici sono importanti”.

A dispetto di chi sostiene che gli Oscar sono una cafonata mercificante e che non contano nulla, a dispetto di chi pensa che sia stato un successo dato dal marketing  (e non è un reato) per compiacere un pubblico becero, poiché un prodotto targato Medusa (con la  Indigo Film) di Berlusconi non può risultare “artistico” e “culturale”,  il successo  e la vittoria de “La grande bellezza”è dovuto in primis dalla straordinaria capacità da parte del suo autore di saper puntare sullo shock emotivo (lontano dalla pietas che Fellini aveva per i suoi personaggi) concetto cinematografico per eccellenza e di assemblare metapersonaggi (Verdone e Ferilli), il grande e il piccolo, il gusto per il  cafonal e la fustigazione dei suoi costumi, ossessione e autocompiacimento. E in fondo Sorrentino ha parlato proprio di quelli che criticano il suo film.Tuttavia all’interno di questo grande e variegato “arsenale”, pare che tutti abbiano ragione.

Ripartiamo dalla bellezza.

 

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