All’epoca del loro secondo album, nel settembre del 1970, i Black Sabbath avevano già scioccato il mondo (musicale e non) grazie al loro epocale debutto. Suoni cupi, atmosfere lugubri, una cover inquietante, una evidente fascinazione per tutto ciò che è occulto, magico e misterioso rappresentano gli ingredienti essenziali per dar vita ad una nuova corrente che da li a pochi anni farà milioni di proseliti: l’heavy metal. Il sound del gruppo è una miscela di hard rock e psichedelia caratterizzato dai poderosi power chords di Tony Iommi, dalla rocciosa sezione ritmica di Geezer Butler (basso) e Bill Ward (batteria) e dal raglio agonico del cantante Ozzy Osbourne. Tecnicamente non si avvicinano nemmeno ai ben più celebrati “colleghi” quali Led Zeppelin o Deep Purple, ma i Black Sabbath hanno il potere di scrivere testi altamente evocativi, che uniti a melodie ipnotiche ed ad uno spiccato gusto per la teatralità, gli conferisce uno stile unico ed inconfondibile. Alla fin fine sono solo un ex gruppo blues con tendenze hippie ma l’appeal sui giovani adolescenti delusi dalla rovinosa fine della “summer of love” è innegabile. I benpensanti del tempo, ovviamente, non sono dello stesso parere e la band diviene oggetto di critiche spietate. A questo punto Osbourne e soci cambiano direzione rivolgendo la loro attenzione alle debolezze, alle deviazioni, alle paure più recondite dell’animo umano.
“Sul loro secondo album estremamente heavy metal, Paranoid, ci sono lamenti sulla distruzione della guerra e l’ipocrisia dei politici, i pericoli della tecnologia, e i pericoli dell’abuso di droga” (Rolling Stone-1970)
La straniante tirata antimilitarista di War Pigs, la poderosa ed alienata Paranoid, la dilatata Planet Carvan, la fantascientifica Iron Man, l’inquietante Electric Funeral, la marcia tossica di Hand Of Doom, la torrenziale Rat Salad (unico brano strumentale del disco), la violenta Fairies Wear Boots, rappresentano tutte tessere di un mosaico atto a scandagliare la metà oscura che ogni uomo ha dentro di se. Il risultato è un album violento, pesante, pauroso ma anche estremamente affascinante, significativo, culturalmente e sociologicamente importante. La generazione dei figli dei fiori entra nell’autunno degli anni ’70 incerta sulle gambe, squassata da dubbi, rabbia, delusione, alienazione e angoscia. Questo cantano i Black Sabbath ed è proprio questo ad attrarre e respingere il pubblico.
C’è chi li ama in quanto portavoci di un malessere generazionale, c’è chi li odia perché quello che dicono mette paura. Sicuramente non passano inosservati anche grazie ad un notevole feeling tra i vari musicisti. A dispetto della semplicità delle incisioni (unici effetti usati l’eco per la voce e l’immancabile overdrive per la chitarra) il gruppo restituisce una compattezza ed una potenza non comune nonostante la strumentazione ridotta e la non elevata cifra tecnica. Il fatto poi che questo lavoro è stato inciso in soli cinque giorni e con un budget limitatissimo denota una comunità d’intenti ed un’ispirazione veramente notevole. Il suo impatto e la sua influenza sono stati e restano enormi e le sue eco si propagano fino ai giorni nostri. Megadeth, Green Day, Pantera, Slayer sono solo alcuni degli artisti che hanno rivisitato i brani contenuti in Paranoid ed hanno ammesso la fondamentale influenza dei Black Sabbath, sia dal punto di vista lirico che musicale, nella loro produzione. Milioni di gruppi, famosi e non, ne hanno copiato il modo di stare in scena, il look maledetto, l’iconografia magico-satanista, gli spunti granguignoleschi e le tematiche tormentate consacrandoli personaggi simbolo, non solo di un modo di fare musica, ma di un vero e proprio stile di vita. A distanza di più di quarant’anni la forza inossidabile di Paranoid resiste costantemente allo scorrere del tempo, al mutare delle mode ed al progresso della tecnica, diventando una vera e propria pietra miliare del rock ed uno dei migliori album mai incisi in assoluto.