Barocco è il mondo: il pastiche linguistico di Gadda come immagine di un mondo aggrovigliato

In uno scritto posto nel 1963 ad apertura del romanzo La cognizione del dolore, Carlo Emilio Gadda precisa la propria poetica e offre l’esempio di una scrittura assolutamente originale. Accostandosi alla pagina per la prima volta, ci si può rimanere meravigliati di fronte ad una lingua diversa da quella utilizzata dagli altri narratori italiani coevi, e confusi per la difficoltà di cogliere sia i tanti riferimenti cui il testo rimanda, sia il significato letterale di molte frasi, nelle quali lo stravolgimento lessicale e l’alterazione sintattica rivelano immediatamente la lontananza dall’uso più convenzionale e comunicativo della lingua. lo scrittore milanese afferma tuttavia che il punto di partenza del suo lavoro di scrittore è la realtà; ma la realtà gli appare immediatamente arzigogolata, strampalata, deformata.

“La sceverazione degli accadimenti del mondo e della società in parvenze o simboli spettacolari, muffe della storia biologica e della elativa componente estetica, e in moventi e sentimenti profondi, veridici della realtà spirituale, questa cèrnita è metodo caratterizzante la rappresentazione che l’autore ama dare della società: i simboli spettacolari muovono per lo più il referto a una programmata derisione; che in certe pagine raggiunge tonalità parossistica e aspetto deforme: lo muovono alla polemica, alla beffa, al grottesco, al barocco: alla insofferenza, all’apparente crudeltà, a un indugio misantropico del pensiero. Ma il barocco e il grottesco albergano già nelle cose, nelle singole trovate di una fenomenologia a noi esterna: nelle stesse espressioni del costume, nella nozione accettata comunemente dai pochi o dai molti […]. talché il grido-parola d’ordine <<barocco è il G.!>> potrebbe commutarsi nel più ragionevole e pacato asserto <<barocco è il mondo, e il G. ne ha percepito e ritratto la baroccaggine”.

Per essere rappresentata, dunque, questa realtà barocca e grottesca, richiede una scrittura altrettanto barocca, che si avvale di lingue diverse, di espressioni ridondanti, di immagini non comuni. La scrittura non deve rispecchiare la realtà secondo i modi tradizionali, oggettivi, del realismo, che ne colgono solo lo strato superficiale, ma riprodurne la complessità, la molteplicità, le manifestazioni aggrovigliate come un gomitolo. Lo stile di Gadda nasce da questo intento “realista” che si manifesta in primo luogo nella lingua: per fedeltà ai caratteri della realtà, Gadda sceglie i più diversi registri linguistici e stilistici, ricorrendo alla mescolanza di termini letterari e forme popolari, alla deformazione e all’invenzione di parole, alla contaminazione di lingue antiche e moderne, compresi i dialetti. Il risultato di tale operazione fondata sulla manipolazione di materiale eterogenei è definito dalla critica pastiche, ed è una delle manifestazioni più significative dell’espressionismo letterario, non solo italiano.

Nella lettura di Gadda non ci si può tuttavia fermare solamente agli aspetti linguistici: il suo gusto per la polemica, la beffa, i sui toni aspri e irritati non segnalano semplicemente uno stato d’animo individuale, ma si legano a una situazione storica. Gadda, educato ai valori tradizionali della borghesia milanese, è insofferente nei confronti che hanno portato alla decadenza tali valori, trasformandoli in apparenze esteriori e superficiali. Nasce dunque da questa insofferenza la critica del grande scrittore nei confronti di Mussolini e dei fascisti, cui aveva dato inizialmente una spontanea adesione, ma che, con la loro grossolanità sociale e culturale, hanno contribuito alla caduta dei grandi ideali ottocenteschi e dei valori borghesi ad essi legati: il lavoro, la riservatezza, l’onestà. Dalla reazione, spesso violenta e umorale, contro il degrado della civiltà nascono pagine di aspra satira e forte vena morale, che permettono di affiancare Gadda a scrittori lombardi come Giuseppe Parini e Carlo Porta.

Nel definire la propria poetica infatti Gadda si richiama a Manzoni che costituisce un modello molto lontano da quelli in auge durante il ventennio, sia presso gli scrittori della <<Ronda>>, che privilegiavano Leopardi prosatore, sia presso quelli realisti, il cui punto di riferimento era Verga. Per Gadda, invece, è Manzoni a cui guardare, in quanto l’autore dei Promessi Sposi, scelse di “esprimere le cose vere delle anime con le vere parole che la stirpe mescolata e bizzarra usa nei suoi sogni, nei sorrisi e dolori”. Prosegue Gadda:

Il mondo bisogna pur guardarlo, per poterlo rappresentare: e in questo modo guardandolo avviene di rilevare che esso, in certa misura, ha già rappresentato se medesimo: e già il soldato, prima del poeta, ha parlato della battaglia, e il marinaio del mare. e del suo parto la puerpera. E questo arfasatti (persone di poco conto), vivendo lor vita, le danno pur luce e colore: quel colore che è cosa povera davanti l’eternità. ma tanto cara ai nostri occhi di poveri diavoli: quello di cui forse non ha bisogno il filosofo ma certamente il poeta.

In una lettera all’amico Bonaventura Tecchi, Gadda confessa che “a fare il letterato puro io non ci riesco. Io sono del parere di accogliere anche l’espressione impura (ma non meno vivida) della marmaglia, dei tecnici, dei ragionieri, dei notai, dei redattori di réclames, dei compilatori di bollettini di borsa, ecc…dei militari oltre che quello che il cervello suggerisce bizzarramente per le sue nascoste vie. Altrimenti che cosa se ne fa di tutta la vita?”.

Queste parole dimostrano ancora una volta come Gadda voglia cogliere la vita fino in fondo, ponendo di conseguenza la sua attenzione all’uomo “concreto” e al suo posto nel mondo, alle sue vicende quotidiane in tutti i loro aspetti, comportamentali, psicologici, linguistici.

 

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