Tommaso Cerno è un giornalista diretto e appassionato, provocatorio, sano portatore del dissenso ragionato che ha fatto propria la lezione sul principio di realtà di Pier Paolo Pasolini. Friulano, nato ad Udine, Cerno ha iniziato ad avvicinarsi al giornalismo giovanissimo, è entrato nella redazione del Gazzettino diretto da Giorgio Lago per poi diventare direttore del Messaggero Veneto, de L’Espresso e vice a La Repubblica, fino a passare poi alla politica attiva prima in AN e poi come senatore nel PD di Matteo Renzi. Fortemente critico verso il DDL Zan, Cerno ha lasciato la politica per ritornare ad essere giornalista, o per meglio dire, ha deciso di farla in modo diverso, dato che come giustamente afferma lui stesso, “i giornali fanno politica, ma fanno finta di non farla”.
Tag: patriarcato
Premio Campiello 2023. Benedetta Tobagi vince, ‘ovviamente’, con la Resistenza delle donne
Trionfa al Premio Campiello 2023 Benedetta Tobagi, figlia del giornalista Walter Tobagi, assassinato dalle Brigate rosse nel 1980, con la Resistenza delle donne. Ieri 16 settembre 2023, al Gran Teatro La Fenice, è stato annunciato e premiato il vincitore della 61esima edizione del Premio Campiello.
Un podio tutto al femminile per questo Gran Galà della Letteratura, organizzato dalla Fondazione Il Campiello – Confindustria Veneto. La Giura dei Trecento Lettori ha così votato: sul gradino più alto La Resistenza delle donne (Einaudi) di Benedetta Tobagi, con 90 preferenze.
Al secondo posto La Sibilla (Laterza) di Silvia Ballestra, con 80 voti; medaglia di bronzo per Centomilioni (Einaudi) di Marta Cai; a seguire al quarto posto Diario di un’estate marziana (Giulio Perrone editore) di Tommaso Pincio e quinta posizione In cerca di Pan (nottetempo) di Filippo Tuena.
Durante la cerimonia condotta da Francesca Fialdini e Lolo Guenzi, sono stati assegnati anche gli altri riconoscimenti legati al Premio: Nicola Cinquetti e Davide Rigiani sono i vincitori delle due categorie in gara del Campiello Junior; Emiliano Morreale con L’ultima innocenza (Sellerio)si è aggiudicato il Campiello Opera prima; Il Campiello Giovani è andato invece a Elisabetta Fontana con il racconto Sotto la Pelle. il Premio Fondazione Campiello alla Carriera, invece, è stato assegnato a Edith Bruck, scrittrice, poetessa e regista ungherese sopravvissuta alla Shoah.
Una menzione speciale postuma alla scrittrice Ada D’Adamo, autrice di Come d’aria (Elliot), vincitrice del Premio Strega 2023, scomparsa prematuramente lo scorso marzo. Ricordata anche la scrittrice Michela Murgia, mancata anch’ella prematuramente, autrice tra i tanti, del libro Accapadora, con cui si era aggiudicata il Premio Campiello nel 2010.
La Resistenza delle donne conquista il Premio Campiello: Sinossi
La storia delle donne italiane ha nella Resistenza e nell’esperienza della guerra partigiana uno dei suoi punti nodali, forse il piú importante.
Benedetta Tobagi la ricostruisce facendo ricorso a tutti i suoi talenti: quello di storica, di intellettuale civile, di scrittrice. La Resistenza delle donne è prima di tutto un libro di storie, di traiettorie esistenziali, di tragedie, di speranze e rinascite, di vite. Da quella della «brava moglie» che decide di imbracciare le armi per affermare un’identità che vada oltre le etichette, alla ragazza che cerca (e trova) il riscatto da un’esistenza di miseria e violenza, da chi nell’aiuto ai combattenti vive una sorta di inedita maternità, a chi nella guerra cerca vendetta e chi invece si sente impegnata in una «guerra alla guerra», dalle studentesse che si imbarcano in una grande avventura (inclusa un’inedita libertà nel vivere il proprio corpo e a volte persino il sesso), alle lavoratrici per cui la lotta al fascismo è la naturale prosecuzione della lotta di classe.
Tobagi racconta queste storie facendo parlare le fotografie che ha incontrato in decine di archivi storici. Ne viene fuori quasi un album di famiglia della Repubblica, ma in cui sono rimesse al loro posto le pagine strappate, o sminuite: le pagine che vedono protagoniste le donne.
Un libro che possiede il rigore della ricostruzione storica, ma anche una straordinaria passione civile che fa muovere le vicende raccontate sullo sfondo dei problemi di oggi: qual è il ruolo delle donne, come affermare la propria identità in una società patriarcale, qual è l’intersezione tra libertà politiche, di classe e di genere, qual è il rapporto tra resistenza civile e armata, tra la scelta, o la necessità, di combattere e il desiderio di pace?
Le donne furono protagoniste della Resistenza: prestando assistenza, combattendo in prima persona, rischiando la vita. Una «metà della Storia» a lungo silenziata a cui Benedetta Tobagi ridà voce e volto, a partire dalle fotografie raccolte in decine di archivi. Ne viene fuori un inedito album di famiglia della Repubblica, in cui sono rimesse al loro posto le pagine strappate, o sminuite: le pagine che vedono protagoniste le donne.
L’universo femminile delle Partigiane, quello variegato fatto di donne di ogni classe e ceto sociale, provenienti da svariati luoghi geografici che hanno preso parte alla lotta dei patrioti italiani per la liberazione dal fascismo. Ma allo stesso tempo anche, le collaborazioniste, le indifferenti, le borsaneriste. Due facce della stessa medaglia: donne capaci di protagonismo collettivo ma anche di individualismi cinici.
Quella di Benedetta Tobagi porta alla luce un racconto inedito di emancipazione femminile: donne che, che nel bene e nel male, rompono gli schemi e le convenzioni, combattendo gli stereotipi, per inseguire la propria libertà, talvolta non senza soffrire. Non mancano infatti nel libro anche episodi dolorosi come le torture, gli stupri da parte dei soldati fascisti e nazisti e i racconti di morte.
La Resistenza delle donne è dedicato «A tutte le antenate»: se fosse una mappa, alla fine ci sarebbe un grosso «Voi siete qui». Insieme alle domande: E tu, ora, cosa farai? Come raccoglierai questa eredità? Chiede l’autrice. Insomma nulla di nuovo dal fronte premi letterari: fascismo, resistenza, donne, temi da premiare per contratto e autori che partono da presupposti di comodo per dimostrare l’indimostrabile, ovvero l’esistenza del patriarcato nel nord Italia, in un periodo storico in cui gli uomini erano in guerra o deportati.
Letteratura cercasi.
“Padre padrone”, la storia di affrancazione di Gavino Ledda
Il legame di sangue come unico vincolo per la formazione e la preparazione alla vita adulta, la legge del patriarcato che rende un figlio schiavo, l’asprezza della natura sarda dal sapore deleddiano, la ribellione che cova, la voglia di affrancarsi e di essere libero, la lotta, la meravigliosa scoperta di quanto possa essere rigenerante per l’uomo la cultura; è questa la storia autobiografica di “Padre padrone”, bellissimo e crudo romanzo del 1975, la storia del suo autore, Gavino Ledda, il pastore-scrittore che funge da narratore interno.
“Padre-padrone” è un libro di successo entrato a pieno diritto nell’olimpo letterario soprattutto perché è riuscito a raccontate con estrema intelligenza e profondità il rifiuto della “sacralità” del passaggio di testimone da padre a figlio, di quella perversa e malsana giustificazione delle imposizioni e delle sopraffazioni in nome del sangue e dalla tradizione da custodire a tutti i costi.
Baddevrustana (Siligo,Sassari): Gavino ha solo cinque anni (siamo nel 1943) quando viene strappato alla scuola dal padre Abramo, perché il figlioletto deve essere avviato al lavoro di pastore, è suo, gli serve” per governare le pecore mentre lui pensa ai campi. Il bambino, lasciato solo nell’ovile a giornate intere, custodisce il gregge mentre apprende giorno per giorno la violenza educativa del padre-padrone che impedisce a Gavino di lasciarsi avvolgere dai colori, dagli odori e dai suoni (questi sono per lui gli unici insegnamenti che riesce a recepire) di madre natura che funge da confidente per il bambino. Gavino desidera andare alla ricerca di nuovi spazi, vuole conoscere, imparare, con urgenza. Il padre lo ostacola, ma lui non molla; nonostante la povertà che lo circonda, vuole emanciparsi, sottrarsi ad un destino imposto.
Parte per la leva militare, inizia a studiare, si lascia conquistare dal latino e dalla cultura, sente che è questa la sua strada, lontano da un lavoro senza tutele, minacciato dal banditismo e dalle pessime condizioni igieniche. Ma nemmeno la vita da soldato è semplice, il problema principale è la lingua, dirà infatti Ledda: <<I calabresi, i siciliani, i napoletani, a parità di cultura si esprimevano nel loro dialetto e facevano più figura di noi. La lingua nazionale era sempre più lontana dal sardo che da qualsiasi altro dialetto. Tra di noi, però, potevamo esprimerci in sardo a patto che non fossimo di servizio e che non ci fossero ‘superiori’ presenti […]. E questo era un fatto che costringeva noi sardi a stare sempre insieme: un branco di ‘animali diversi’. La divisa ci accomunava solo per i superiori, ma nella realtà tra noi sardi e gli altri soldati c’era di mezzo la separazione della lingua>>. Gavino (che diverrà anche uno studioso della lingua italiana e di quella sarda) prende coscienza anche di questa particolare diversità anche se l’unico suo pensiero, quasi fosse un tormento è affrancarsi, studiare, e con grande umiltà, sacrificio e libertà conquista pian piano il suo futuro. Lo scontro finale con il padre,una vera e propria lotta, sarà inevitabile.
La parte più suggestiva e poetica della storia è senza dubbio la scoperta da parte di Gavino della musica classica che ormai ha preso il posto nel suo cuore e nei suoi sensi della natura, ora che ha imparato un nuovo linguaggio: <<E sotto le querce, quando la natura si scatenava e il gregge si metteva al riparo, ora non ascoltavo più il suo linguaggio che un tempo mi aveva parlato a lungo. Ora, la natura, la lasciavo parlare per conto suo. Non rispondevo più ai suoi dialetti. E tutto preso da quella dolce ansia che la musica aveva acceso dentro di me, mi mettevo a solfeggiare. Il gelo non lo sentivo più preso dalla mia passione, ceppo acceso che scoppiettava e scintillava sotto l’acqua>>.
Evocativo e palpitante “Padre padrone” (Ledda non trascura l’aspetto psicologico) soprattutto quello del protagonista), né quello sociale ( una Sardegna arcaica), che lo rende un romanzo storico di estrema fattura. Nel 1977 Ledda ha preso parte alla lucida ed enigmatica trasposizione cinematografica (Palma d’oro a Cannes) del suo libro realizzata dai fratelli Taviani, interpretando se stesso.
Il riscatto di Gavino Ledda passa anche attraverso la pubblicazione stessa del suo libro, l’essere riuscito a far conoscere la propria storia, compiendo un atto di pacificazione con sè stesso che sembra dire: << Ce l’ho fatta, il destino si può cambiare, con perseveranza, coraggio, talento e fatica>>.