Non era inusuale, alla metà degli anni ’70, imbattersi in un curioso personaggio in grado di riempire qualsiasi stadio, auditorium o sala da ballo del pianeta. Cavalcava un piano magico, vestiva abiti sgargianti fatti di raso e paillettes, indossava occhiali fantasmagorici e cappelli dalla foggia improbabile ma soprattutto, aveva un talento ineguagliabile nel raccontare storie. Dopo aver detto “addio al sentiero di mattoni gialli” questo curioso personaggio decide di dotarsi di un alter ego in grado di competere col veneratissimo Ziggy Stardust (impersonato da David Bowie) e di diventare la più pura espressione del glam rock. Captain Fantastic si fa chiamare ma, dietro al nome mirabolante ed all’aspetto decisamente kitsch, si nasconde un timido ed occhialuto pianista inglese: Reginald Dwight meglio noto come Elton John. Dopo una serie di album all’insegna del più classico cantautorato di matrice pop, nel 1973, l’artista britannico rompe ogni indugio e da alle stampe il suo lavoro più ambizioso Goodbye Yellow Brick Road, monumentale doppio album dal successo clamoroso, infarcito di rock, ballads e poesia. Dietro tanta grandeur ci sono tematiche di altissimo spessore umano quale la perdita dell’innocenza ed il passaggio ad una fase più matura e consapevole della vita nascoste dietro melodie di grande complessità tecnica e versi di innegabile valore poetico. Due anni dopo (e dopo il meno riuscito Caribou) Elton John riesce a fare addirittura di meglio. Insieme al fido paroliere Bernie Taupin, progetta un concept album strettamente autobiografico incentrato sul biennio 1967-1969 durante il quale i due cercavano il modo di affermarsi nel mondo della musica. Il risultato è Captain Fantastic And The Borwn Dirt Cowboy, il cui titolo rivela il carattere introspettivo e metaforico del disco. Il Capitano Fantastico è, infatti, l’anima eccentrica e chiassosa del duo (Elton John) mentre Lo Sporco Cowboy Impolverato ne rappresenta il lato più intimista e riflessivo (Bernie Taupin). Questo chilometrico nome può anche essere visto come l’inquietudine che si nasconde dietro la magnificenza o, più propriamente, come la drammaticità dei temi affrontati inseriti in brani di straordinaria bellezza. Il tormento e l’estasi in buona sostanza, le due facce di una stessa medaglia.
“Molte delle canzoni in questo disco sono ispirate alla frustrazione e all’insicurezza, e più in generale alla sgradevolezza del music business. Elton e Bernie sembrano quindi molto forti e sicuri di sé sulla copertina, ma in realtà sono circondati da figure cupe, avide, inquietanti. Una metafora dei contenuti del disco” (David Larkam-1975)
La sopracitata copertina merita una menzione a parte. Affidata al disegnatore Alan Aldridge è semplicemente sensazionale; sembra un quadro di Hieronymus Bosch popolata com’è di creature fantastiche e mostruose, colori accesi ed atmosfere surrealistiche. Un vero e proprio quadro, un’opera pittorica, degna di essere inserita tra le migliori cinque cover del rock al pari di quelle ideate da artisti quali Andy Warhol, Robert Crumb, Rick Griffin e Peter Blake. La musica racchiusa dentro tanto splendore grafico è tra la migliore mai composta dal team John/Taupin.
Si parte con la title track, potente ballata dagli umori country dichiaratamente autocelebrativa e, passando dalla criptica Tower Of Babel ricca di riferimenti alla Bibbia, si arriva, attraverso le strepitose Someone Saved My Life Tonight, Bitter Off Dead e We All Fall In Love Sometimes, alla maestosa Curtains ideale quadratura del cerchio in quanto mirabile sintesi di tutto il lirismo taupiniano. Inciso con la cosiddetta “formazione classica” ossia Dee Murray al basso, Nigel Olsson alla batteria, Davey Johnstone alle chitarre e Ray Cooper alle percussioni, Captain Fantastic rappresenta lo zenith creativo per i due autori e, nel contempo, la loro definitiva consacrazione a stelle di prima grandezza del firmamento musicale internazionale. Il successo di vendite è enorme ed il plauso della critica unanime oltre ogni qualsiasi previsione dal momento che gli intenti di partenza erano ben diversi. Non si voleva fare un album commerciale bensì un opera ben più profonda, piena di riferimenti personali ed argomenti importanti senza essere vincolati in alcun modo ai risultati di vendita. Il fatto che ne sia stato estratto “un solo” singolo, Someone Saved My Life Tonight, è la prova che la libertà da ogni vincolo discografico era pressoché totale. Probabilmente è proprio questa sua autenticità, unitamente all’elevatissima qualità tecnica, musicale e poetica a farne un best seller ed uno dei migliori prodotti della musica contemporanea. Mai Sir. Elton John era apparso così fragile ed umano dietro la sua maschera di lenti colorate.